La Famiglia Religiosa Beato Angelico
"Nuova vocazione al servizio della Chiesa"
Gli antefatti
IL FONDATORE - Per ogni
sua opera Dio suole servirsi delle sue creature, ed elegge chi
vuole. Chi ha conosciuto la vita di mons. Giuseppe Polvara
ha potuto scorgere con chiarezza il segno di Dio che ha guidato
questo figlio di terra lombarda, ad affrontare uno dei problemi
più impegnativi
del suo secolo.
Non comprenderemmo una cosi intensa attività se non ci
soffermassimo sui tratti essenziali della sua figura, onde
vedere come ogni intuizione, ogni esperienza della sua
giovinezza; doveva trovare una esatta applicazione nell'opera
che la Provvidenza gli avrebbe affidato.
Mons. Giuseppe Polvara nacque a Pescarenico il 23 novembre 1884,
da genitori modesti, ma profondamente cristiani.
In quell'angolo poetico del paesaggio manzoniano, Peppino
cresceva sensibile e buono accanto al padre pescatore, sotto
l'attenta, austera vigilanza di mamma Camilla, con altri tré
fratelli.
In un ambiente rude e sano, a contatto diretto delle aspre
montagne e delle limpide acque, già si forgiava mirabilmente la
tempra di un uomo destinato ad una speciale missione.
La vita si apriva ricca di promesse a questo giovane dotato di
eccezionali qualità di mente e di cuore, di grande energia e di
forte volontà di azione.
Ma la prospettiva di una
qualsiasi,
anche brillante carriera, non poteva bastare a riempire la sua
nobile anima, assetata di bellezza e di grandezza.
Sentì la chiamata di Dio e la seguì generosamente.
Trascorse gli anni della vita seminaristica dividendo il tempo
tra gli studi severi delle lettere, delle scienze matematiche e
fisiche, della filosofia e della teologia, e le esercitazioni
dilettevoli del disegno e della pittura che gli meritavano dai
compagni l'appellativo di "artista".
Appellativo tutt'altro che platonico - attesta Don Mario
Tantardini, compagno di studi e infine suo apprezzato
collaboratore - perché se lo doveva comprare e ricomprare in
ogni festa del seminario, progettando e dirigendo addobbi,
dipingendo fregi, cartelloni, simboli, Madonne, Santi. Abilità
questa che scoperta dal suo buon curato, doveva mettere anche a
disposizione della parrocchia, in vari e molteplici servizi.
Intanto nell'animo del giovane seminarista andava sviluppandosi
quel culto appassionato dell'arte, che sarebbe diventato
missione e dovere nel sacerdote.
Appena consacrato sacerdote fu mandato in cura d'anime a Barassa,
paesetto del Varesotto, dove esercitò con edificante zelo il
sacro ministero.
Ma pur nella sua grande modestia non era possibile che tanti
talenti non emergessero dalla sua ricca personalità.
I superiori si avvidero di questa armonia di intelligenza e di
fede, di natura e digrazia, e destinarono il giovane Sacerdote
al Collegio Arcivescovile di Saronno, come insegnante di
disegno.
Nel frattempo Don Polvara poteva ultimare la sua preparazione
per conseguire il titolo di architetto che ottenne a pieni voti.
( 1 )
Questo periodo d'insegnamento costituì un prezioso tirocinio per
il futuro Direttore
della "Scuola d'Arte Cristiana", e servì a valorizzare le
singolari qualità didattiche che possedeva.
Don M. Tantardini, di questi anni, così testimonia: "La
coscienziosità, l'impegno e le numerose ore di scuola avrebbero
dovuto assorbire tutte le disponibilità di tempo di Don Giuseppe
Polvara, se al proprio studio e al proprio ministero non avesse
assegnata una meta più alta, verso la quale ogni piccola pausa
della sua attività scolastica gli bastava per avanzare passo
passo, ma decisamente".
Già in questo fervore di attività si delincava la figura del
Maestro, in quelle esperienze e misure che gli occorrevano per
istituire la nuova Opera: E appunto Dio, suscitatore di ogni
opera altamente buona, che aveva guidato i suoi passi, tra poco
si sarebbe servito di lui per dar vita ad una istituzione che lo
doveva glorificare attraverso l'arte.
Don Giuseppe Polvara comprese il nuovo compito che la
Provvidenza gli additava e l'abbracciò con vera passione
superando lotte e difficoltà durissime.
Non fu mal titubante; egli aveva nella sua indole qualcosa delle
rude roccedelle sue montagne e nelle sue affezioni la
cristallina semplicità delle acque del suo lago che ancora
amava.
Timido e forte, docile alla voce di Dio e generoso nella
dedizione al compito affidatogli, Monsignore persevererà nella
realizzazione di quell'ideale di fede e di amore, che doveva
riportare l'arte sacra alla sua vera funzione : quella di
glorificare Dio ed edificare i fedeli.
I suoi intimi sentimenti che adombravano la nuova vocazione a
servizio della Chiesa, si vedevano riassunti in una frase
scritturale a lui tanto familiare: "Zelus domus tuae comedit
me".
C'era forse in Don Polvara un dualismo, creato dalla duplice
personalità, quella dell'artista e quella del sacerdote? Solo
apparentemente. Perché in lui queste due qualità dominanti,
l'una stava accanto all'altra, mai contrastanti, se mai per
valorizzarsi e completarsi. Don Giuseppe Polvara
artista-sacerdote o sacerdote artista era proprio l'uomo del
momento che Dio aveva preparato per la nuova battaglia.
Mons. Giuseppe Polvara consegue l'abilitazione all'insegnamento
del disegno nelle scuole tecniche e
normali,
all'Accademia Belle Arti di Milano il 2 gennaio 1913.
Nel gennaio 1920 ottiene la Laurea in Architettura all'Istituto
Belle Arti di Bologna.
Movimento di Rinascita Spiritual nell'Arte Sacra
L'Arte cristiana dopo gli splendori di ispirazione e di fede
raggiunti nel Medioevo con l'architettura delle cattedrali, la
loro statuaria, gli affreschi e le tavole dei primitivi, a poco
a poco inquinatasi dalla penetrazione della rinascenza pagana e
dalla superficialità dei secoli successivi, aveva finito per
salvare, anche nei migliori artisti, appena un'ombra di vera e
schietta ispirazione religiosa. Il concetto dell'essenza
religiosa dell'arte venne smarrito.
Cosicché all'inizio del nostro secolo la arte Cristiana per
giunta ad uno stato di grave decadenza.
Era venuta meno anche una cultura profonda, adeguata che
l'alimentasse e la sostenesse.
Gli artisti nella maggioranza o si rifiutavano, o erano incapaci
di accogliere lo spirito della Liturgia in una forma più
coerente alle nuove esigenze, e cristallizzavano l'arte nella
ripetizione monotona e insensibile di stili sorpassati o nel
volgare espediente di stilizzazioni eccletiche. Il Clero, dal
canto suo non andava esente da certe suggestioni, indice di un
ascetismo forse un po'falsato.
Le chiese si popolavano di statue e arredi di fabbricazione
commerciale.
Melense figure di santi, venivano poste a sproposito con la
pretesa di suscitare la devozione nei fedeli.
Da alcune parti si innalzavano grida di allarme.
"Non solo le Chiese di campagna ma anche le Cattedrali e le
basiliche offrono uno spettacolo ben triste: vi troviamo statue
di gesso o carta pesta imbellettate di colori e atteggiate a
un'espressione sdolcinata di sentimentalismo....che offendono il
senso di nobiltà e di austera dignità del culto cristiano". (C.
Costantini in A. C.1913).
Diversi Pastori di Diocesi ne avvertivano il pericolo e
richiamavano il loro clero.
Assai indicativa la circolare che S.E. il Card. Cavallari,
Patriarca di Venezia inviava ai Parroci ed ai Rettori di Chiese
del Patriarcato, in seguito ad un lamento da parte del Direttore
generale delle Antichità e Belle Arti per la sostituzione di
quadri e statue di notevole valore con "mediocrissime statuette
banalmente colorate"che avvenivano nelle chiese.
La suddetta circolare suonava cosi :"... se qualcuno dei nostri
Rettori di Chiese si fosse fatto reo di così poco riguardo agli
oggetti di un certo pregio artistico e li avesse rimossi dai
loro posti, per sostituirvi oggetti di nessun valore secondo
l'arte,
avverto che tali oggetti li dichiaro fin d'ora sospesi...
Ne solo intendo che siano tolti dagli altari ma da qualunque
punto della Chiesa perché il decoro del sacro tempio non
permette che vi si tenga ciò che anche artisticamente può
considerarsi una sconcezza". Ne bastava questo a suscitare
giustificate apprensioni.
Da un altro verso, artisti di grido, i futuristi, su un
programma inventato da Marinetti, volendo uscire dal generico,
fissavano quasi un decalogo in cui si intimava di scordare il
passato con le annesse conseguenze; di coltivare l'originalità,
di ripudiare come facili e mutili conquiste, l'armonia e il buon
gusto; motivi che potevano distornare dall'avvio alla buona
battaglia, appena incominciata.
Questo male che dilagava più o meno in tutti i paesi d'Europa,
trovò uomini di grande fede, che si sarebbero impegnati ad
arginarlo.
Corporazioni di artisti ben intenzionati, sensibili al grave
problema, sorsero in Germania e in Francia.
Venivano organizzate mostre di Arte Sacra, servendosene come
stimolo, e richiamo agli artisti ad un impegno più serio.
A Parigi un gruppo di artisti francesi stabilirono una
esposizione permanente di Arte Sacra, e facevano appello ai
colleghi; a tutte le persone cui stava a cuore la rinascita
dell'arte cristiana.
La causa religiosa che è la causa comune di ogni buon cristiano,
non può che guadagnare (essi affermavano) se la rivestiamo delle
forme di una vera bellezza.
Forti dell'appoggio delle autorità ecclesiastiche, essi
speravano operando, affinchè la fede ridonasse all'arte un nuovo
battesimo, perche l'arte rigenerata servisse a sua volta a
risvegliare nei tiepidi e negli indifferenti l'amore alla nostra
santa religione.
In Francia, dalla quale si era propagato il veleno, la fede
faceva le sue belle conquiste. Artisti come Denis, Forain,
Toorop, Desvallieres, si impegnavano a dare alla loro arte una
più alta finalità, noncuranti della ostilità che suscitavano per
11 nuovo indirizzo che si proponevano.
Maurice Denis merita a questo proposito un rilievo.
Egli si era fatto promotore di una scuola di artisti concordi
nel ritenere che l'arte liturgica sarebbe stata rigenerata
soltanto dalle creazioni collettive di comunità credenti e
oranti.
Sorse così la Società di San Giovanni Evangelista per l'arte
cristiana.
Secondo Maurice Denis (ricorderà più tardi in un suo libro Padre
Couturier) l'arte deve divenire mezzo per ristabilire una
comunione tra gli uomini, deve incitare alla preghiera...
Come la liturgia che ordina la preghiera in comune...l'arte deve
procurare al fedele il beneficio di una ascensione spirituale. E
considerava il Beato Angelico come il tipo dell' artista che ha
pienamente realizzato questo ideale.
Nella sua Scuola-bottega, non accademia, ma raggruppamento di
laboratori, maestri e allievi collaboreranno secondo una
dottrina allo stesso tempo tradizionale e vivente.
Il suo neotradizionalismo non era tanto di mezzi, quanto di
ordine; non di materia ma di idee. Non che si facesse imitatore
di questa o quella maniera, ma tendeva alla creazione di una
forma di espressione propria, mediante i mezzi più moderni che
sapeva far servire ad una sensibilità squisita, disciplinata
dalla ragione e dai caposaldi della tradizione.
Ancora Padre Couturier, che fu suo allievo, in un articolo su
Art Sacre del 1937, confermerà il contributo di Denis al
"rifluire della ispirazione cristiana nella corrente più viva
della pittura moderna". "Noi siamo certi, egli dice, che essi
(il gruppo di Denis) rappresentano Francia una delle migliori
speranze". Più tardi nel 1917 a fianco della Società S. Giov.
Evang. sorgeva la Società degli amici dell'Arte Liturgica con un
assai impegnativo programma in favore dell'arte a servizio del
Culto e degli artisti.
Suo organo era la dotta rivista intitolata"La vie et les artes
Liturgiques". Sintomi questi di un magnifico risveglio.
In Germania il rinnovamento incontrava forse meno ostacoli
perché in questa nazione il soggetto sacro ha sempre costituito
un nobile ramo dell'arte, cui ottimi maestri consacravano
volentieri i loro studi.
A dare
impulso
e un sano orientamento alla produzione d'arte sacra era valsa
anche la Società tedesca di Arte Cristiana, che raggnippava
intorno a sé molti e valorosi artisti, e combattevauna nobile
battaglia con la severa rivista "Die Christliche Kunst".
SOCIETÀ' AMICI DELL'ARTE CRISTIANA
Anche in Italia ci si accingeva alla nobile impresa.
Ad un primo impulso erano giovati il "Motu Proprio" che il Santo
Papa Pio X aveva emanato a favore della Liturgia e della musica
sacra, e i successivi documenti coi quali si faceva obbligo
l'insegnamento dell' arte sacra nei Seminari e 1' istituzione di
Commissariati per i Monumenti in tutte le diocesi.
Nel 1912 veniva costituita la "Società degli Amici dell'Arte
Cristiana" in ambito nazionale e con sede in Milano.
L'Associazione rappresentava una iniziativa audace per quei
tempi, ma essa corrispondeva ad una esigenza spirituale prima
che artistica. Per la verità in Italia non mancavano sodalizi,
ne periodici nei quali si tenesse conto dell'arte cristiana. Ma
(come riferisce il Crispolti, Presidente della nascente Società)
si voleva far opera di concentrazione e di discernimento
insieme.
In una parola si voleva ricongiungere in una, tutte le energie
disperse e assegnare all'arte ispirata dal Cristianesimo un
posto distinto.
Nel 1913 la stessa Società iniziava la pubblicaziane di "Arte
Cristiana", organo col quale i membri dell'Associazione
avrebbero espressi i loro precisi intendimenti e
cioè:"dimostrare nelle opere antiche e nelle opere moderne
quanta superiorità d'arte può procedere dallo spirito cristiano
e quanto danno al Cristianesimo stesso producono la volgarità e
la goffaggine a servizio delle sue manifestazioni; e procurando
di ristabilire l'antica comunione tra gli artefici e il clero,
col fare i primi partecipi degli intendimenti del secondo e col
diffondere nel secondo il gusto dei primi.
In una parola (diceva Crispolti presentando il programma)
vogliamo far si che tutti gli italiani si rendano consapevoli
della ricchezza pervenutaci dagli avi cristiani,... e che
l'accrescimento moderno di questa ricchezza sia voluto, aiutato
e plaudito dal popolo italiano come un trionfo della italianità
più gloriosa e più pura". (A. C. 1913).
Con la rivista mensile Arte Cristiana si voleva altresì
procurare ai professori di storia dell'arte nei seminari, al
Commissariati Diocesani, ai rettori di chiese, nonché a tutti i
cultori dell'arte, una rassegna utile, uno strumento di geniale
e sana istruzione artistica, specifica, che in Italia mancava.
Senza dubbio a uomini ardenti come Crispolti, Don C. Costantini,
Direttore della rivista, Margotti, Biagetti e altri, va il
merito di aver risvegliato il senso di responsabilità e una
maggior sensibilità verso un problema tanto importante.
Rivedendo i fascicoli di Arte Cristiana dei primi anni si può
cogliere l'ardore del loro impegno col quale servivano a questa
grande causa.
Non era una battaglia facile quella cui si accinsero: non
mancavano incomprensioni, diffidenze, negligenza anche da parte
del clero ma che, anziché frenare, acuivano lo zelo dei
militanti.
Lo attestano le denuncie, i richiami, i dibattiti di cui si
faceva eco Arte Cristiana, la quale inoltre, come antidoto alle
brutture dilaganti, pubblicava opere di artisti esemplari.
Altri mezzi di cui si valevano per questo risveglio erano le
Mostre di Arte Sacra e i Convegni che si svolgevano nelle più
importanti
città
d'Italia.
L'Associazione giunse a riscuotere anche consensi, approvazioni
ed adesioni.
Documenti pontifici giungevano a riconfermarla nei suoi
propositi incoraggiando gli aderenti a ricondurre l'arte sacra
alla sua dignità a servizio del culto e a vero decoro della casa
di Dio.
E' facile immaginare che tra i primi e più entusiasti aderenti
ci fosse Don Giuseppe Polvara, allora Professore al Collegio
Arcivescovile di Saronno.
Egli appassionato cultore dell'arte e ammiratore di Don Gelso
Costantini, ben presto si uni alla santa campagna. Ciò che a Don
Polvara stava soprattutto a cuore era l'impulso da dare ad
un'arte moderna cristiana.
Nell'ottobre del 1915 egli veniva presentato ai lettori della
rivista come artista, pittore, architetto con la pubblicazione
di un'affresco che Don Polvara aveva eseguito nella parrocchiale
di Angera e che ritengo opportuno qui descrivere. Nella parte
centrale dell'abside, dietro l'altare il giovane Sacerdote
pittore rappresentò, in un cielo azzurro terso la Assunzione
della Vergine che s'innalza su una nube verso il cielo
circondata da un volo di colombe, distaccandosi da una radura
deserta cosparsa di rose e di gigli.
La pittura è una delicata interpretazione del testo sacro:"Ascendebat
per desertum sicut virgula fumi ex aromatibus mirrae et thurris
- Ascendebat per desertum sicut columba desuper rivos acquarum
et circundabant eam flores rosarum e lilia convaliun".
Ai lati dell'abside affrescò due composizioni l'una
rappresentante il dramma della caduta di Adamo ed Èva: le due
figure dei progenitori fuggenti traspaiono dietro l'albero
fatale da cui pende il serpente che già posa la testa nel fango,
condannato a strisciare.
Un po' scostato è l'Angelo con la spada di fiamma inflessibile
esecutore. Il cielo cupo e saettante, la natura sconvolta
partecipano alla maledizione di Dio.
L'altra composizione, che sta di frontealla prima, rappresenta
la Madonna corredentrice con il Divin Redentore, ed un coro di
giovanotte inginocchiate che la salutano "Ave piena di grazie".
La natura riflette la calma ridonata e il serpente ora vinto, è
sotto i piedi della Vergine, novella Èva.
Ma un saggio di buon affreschista Don G.Polvara l'aveva già dato
nelle pitture della cappella delle Suore di Maria
Bambina
a Saronno.
La critica del tempo così si esprimeva in merito: "l'opera del
Polvara come decoratore, si presenta in queste prime prove con
indirizzo siffattamente sano e promettente da imporne
l'attenzione alla nostra rivista che si tiene fissa al principio
che per un risorgimento dell'arte cristiana è necessario
attingere alla purezza di un sentimento ispiratore, padrone e
regolatore di ogni tradizione di formalismo o di scuola." (AC.1915).
Queste opere di Don Polvara, accolte favorevolmente dagli
intenditori, per il gusto sobrio ed elegante, per una
persistente unità di intenti, davano la misura non solo della
promettente capacità pittorica, ma soprattutto, la prospettiva
delle sue tesi in fatto di decorazione della casa di Dio.
Ma alla passione per la pittura di Don Polvara era congiunta
nella stessa misura quella per l'architettura.
Opere degne di pregio sono: la cappella dell'Oratorio femminile
di Melzo, il progetto di restauro e il nuovo campanile di
Pescarenico, il progetto di una cappella di cimitero, eseguite
in questi anni.
Per l'architettura travagliata al principio del nostro secolo
tra due correnti, passatista una, e novecentista l'altra, Don
Polvara prevedeva una possibilità di accordo.
Egli ricercava questo equilibrio in un accostamento vivo alle
esigenze della Liturgia, convinto che questa potesse suggerire
la formula imprescindibile per ogni opera d'arte,
dall'architettura fino alla suppellettile, da porsi a servizio
del culto.
Intanto la guerra abbattutasi anche sul nostro Paese infuriava,
assorbendo uomini ed energie. Così che verso la fine di essa, la
vita dell'Associazione degli Amici dell'Arte Cristiana riscontrò
un rallentamento. A Don Costantini, che militare si era
insediato in Aquileia, erano state affidate altre
responsabilità.
Erano diminuiti i collaboratori della rivista e ai pochi rimasti
toccava aumentare il coraggio e il lavoro.
E' in queste condizioni che Don Polvara dovette assumersi nel
1920, la dirczione della rivista stessa, alla quale aveva già
dato la sua collaborazione con diversi articoli interessanti.
Divenutone il responsabile diede alla Rivista una impostazione
parzialmente nuova, più pratica e anche più polemica (vedi la
rubrica "Veritatem facentes in Charitate" e i numerosi quesiti
pratici). In questo periodo, per varie vicende : era a Venezia
il nucleo centrale da cui partivano le varie iniziative degli
Amici.
Da qui infatti l'assemblea del 1919 aveva deliberato l'erezione
di una "Casa dell'Arte Cristiana", l'organizzazione di una prima
mostra nazionale di Arte Sacra, e la convocazione di un Congres-
so per l'arte cristiana. Fu proprio durante questo Congresso,
svoltosi a Roma, che si affacciò il problema di una scuola di
arte cristiana.
Ormai altri impegni obbligavano Mons. Gelso Costantini, divenuto
amministratore apostolico di Fiume nel luglio del 1921, ad
estramarsi dal movimento di cui era stato valido promotore ed
animatore, e pur continuando a rimanere capo dell'Associazione,
tutte le
iniziative
della Società finivano nelle mani di Don Polvara. Egli infatti
con il suo ardore di apostolo dell'arte a servizio della Chiesa,
aveva ormai conquistato la fiducia dei superiori e degli amici
della Società, i quali prima della partenza di Mons. Celso
Costantini per la Cina, riunito il Consiglio in una sala del
Patriarcato di Venezia, facevano le consegne ufficiali a Don
Giuseppe Polvara della dirczione di Arte Cristiana.
Il Crispolti rimaneva Presidente della Società.
UNA SCUOLA D'ARTE CRISTIANA (Sue esigenze e sue vicende)
Già da alcuni anni, nelle riunioni degli "Amici", affiorava il
problema sulla necessità di una Scuola d'Arte Cristiana,
convinti che bisognava avviare il giovane (artista) sin dalla
tenera età alle visioni estetiche dei misteri religiosi, perché
potesse dare poi con l'arte appresa, le belle figurazioni, non
di monticando che se il genio dell' arte è un dono di natura,
l'opera d'arte profondamente religiosa, non può che essere il
frutto del dono della grazia in comunione col primo.
Ferventi sostenitori di queste idee si contavano in buon numero:
Mons. Gelso Costantini, Biagio Biagetti, Margotti, personalità
ecclesiastiche, per citarne alcuni, i quali presentavano varie
proposte e programmi in merito, che venivano pubblicati in A C.
La prospettiva della fondazione di detta Scuola destò
grandissimo interesse e plausi soprattutto negli artisti. Ciò
significa che il problema era attuale e sentito e tutt'altro che
pleonastica la realizzazione.
"Parlare di una scuola d'arte sacra in questi tempi (diceva il
pittore Cadorin) è come spalancare una finestra tenuta chiusa da
tanto tempo, su una verde campagna, zampillante d'acqua".
L'Architetto Ruspoli applaudiva all'avvento della scuola-bottega
: "nella quale - egli diceva - 1'umile tagliapietra resosi degno
di speciali doni della Divina Provvidenza, colto e buon
cristiano, conoscitore perfetto dei misteri, della storia sacra
e dei riti della nostra Santa Religione, diviene il grande
architetto, scultore e pittore delle sublimi opere di vera arte
cristiana". (A- C. 1921)
Queste aspirazioni erano tra l'altro giustificate dal fatto che
le accademie di Arte risultavano impari al loro compito, in
riferimento particolarmente all'arte sacra".
Dalle accademie solo per eccezione (si levava a dire un'altra
voce) può uscire un buon artista sacro, quando per privilegio di
natura e per educazione, sappia salvarsi dalle male influenze
dell'ambiente e proweda da sé alla conoscenza delle sacre
discipline.
Intanto Dio nei suoi provvidenziali disegni, accendeva sempre
più di entusiasmo per la bella causa, il cuore di Don Giuseppe
Polvara, che raccoglieva questi appelli di volonterosi artisti,
come la voce di Colui, la cui bellezza increata, che l'arte
cristiana si accingeva nuovamente a manifestare, avrebbe gettata
nuova luce sul mondo maggiormente oscurato dalla recente guerra.
Certo, ci voleva del coraggio per affrontare una nuova
esperienza con le annesse responsabilità. Perché non era mancato
tra le tante voci favorevoli, chi dissentisse, stimando utopia
la realizzazione di questi nobili intenti.
C'erano poi dei pregiudizi da smentire.
Realizzare una scuola come la concepiva Don Polvara equivaleva
lottare per vincere le resistenze di una falsata mentalità, che
non ammetteva la possibilità di tentare vie nuove e più sincere
anche nel campo dell'architettura sacra, che si era fossilizzata
nella insulsa ripetizione dei così detti stili pseudo-gotico,
lombardo, barocco; equivaleva far ricredere il clero sulla goffa
e banale ornamentazione introdotta nelle chiese; equivaleva
inoltre affrontare difficoltà finanziarie per il mantenimento
della scuola.
Don Mario Tantardini che Don Polvara aveva attirato nella
cerchia dei suoi collaboratori, così riferisce le sue
impressioni nei riguardi della nascente scuola: "Nella teoria
forse
tutti furono concordi nell'ammetterne la necessità e
l'opportunità; non tutti forse però hanno saputo o voluto
misurare quale somma di sforzi, quale violenza di lotta
importasse per Don G. Polvara avventurarsi solo e senza risorse
finanziarie, in una impresa tanto nuova quanto rischiosa.
Altro che puntare contro la corrente dell'Adda, per riportare la
barca di papa Napoleone al suo approdo! Le correnti contrarie
più accanite furono le prime accoglienze che il timido vascello
trovò sulla sua rotta".(A. C. 1934)
Fortunatamente Don Polvara non era un uomo che ostacoli e
difficoltà potevano abbattere; intrawista una meta che gli
pareva buona, niente e nessuno poteva impedirgli di
raggiungerla. In questo caso il suo grande cuore di sacerdote e
di artista non poteva rifiutarsi di consacrare energie e talenti
per una causa tanto bella e che gli stava grandemente a cuore.
Si decise pertanto a lasciare gli impegni del Collegio di
Saronno.
Ad un primo momento si era pensato di affiancare la nuova Scuola
alla Università Cattolica del Sacro Cuore. Il Rettore Magnifico,
Padre Gemelli, mente sempre aperta ad ogni buona Iniziativa,
accolse favorevolmente la proposta, stimandola un complemento
della Università stessa; ma poi numerose difficoltà sorte,
tolsero ogni speranza di accordo.
Fallito questo tentativo non si perse tempo, si cercò sede
altrove. Ormai a Milano il dado era tratto. Dopo varie ricerche
si trovarono dei locali provvisoriamente adatti allo scopo.
Intanto nella fertile mente di Don G. Polvara andava
concretandosi il programma per la sua scuola.
Ottenuta l'approvazione dell'alierà Card. A. Ratti, Arcivescovo
di Milano, Don Polvara radunò i suoi primi collaboratori:
l'Arch. Banfi, l'ing. Dedè, il pittore Vanni Rossi, lo scultore
Lombardi, che con lui dovevano formare il corpo insegnante.
Altri valenti maestri si unirono più tardi.
Cosi la Scuola d'Arte Cristiana, come era stato annunciato al II
Congresso di Ravenna, nel novembre del 1921 poteva aprire i suoi
battenti col seguente programma: SCIENZE SACRE : Sacra
scrittura, Liturgia, Agiografia.
STORIA DELL'ARTE: dell'architettura, della pittura, della
scultura.
BELLE LETTERE: Commenti ai capolavori della nostra letteratura,
antichità, classiche e medioevali.
SCIENZE COSTRUTTIVE
PROIEZIONI PARALLELE E CENTRALI
VARIE TECNICHE DEL DIPINGERE
SCIENZA DELLA LUCE E DEI COLORI
Le diverse lezioni venivano variamente distribuite nei sei
giorni della settimana.
Inizialmente si voleva denominare l'opera: Scuola Superiore
d'Arte Cristiana "Ambrogio da Fossano" o "Scuola Bottega
Borgognone" in onore del più spirituale dei pittori lombardi.
Il Card. Ratti dissuase dall'usare la qualifica Scuola-bottega,
perché non tutti l'avrebbero ben intesa e approvata. E consigliò
anche di cambiare denominazione per intitolarla al Beato
Angelico come al più grande degli artisti cristiani.
Occorre rilevare che Don Polvara non intendeva dar vita a una
scoletta innocua; la sua doveva essere una scuola orientata
decisamente verso precisi obiettivi: formare l'artista cristiano
di spirito e capacità, rialzare le sorti dell'arte sacra
producendo nella Scuola, opere d'arte veramente degne d'essere
poste nella Casa di Dio.
Mi piace qui riportare una piccola parte del lungo discorso che
Don G. Polvara tenne durante il II Congresso di Arte Cristiana a
Ravenna del luglio 1921, col quale metteva gli amici a
conoscenza della grande iniziativa: "Adunque - egli diceva - col
prossimo ottobre comincerà a vivere nella nostra Milano la prima
Scuola Nazionale di Arte Cristiana.
II terreno che si è scelto è il più fertile dell'Italia nostra.
La pianticella è appena sbocciata, ha le foglioline ancora
tenere e delicate, è necessario preservarla con cura da tutte le
intemperie.
Ma la nostra speranza è viva; la nostra corporazione si fregia
dell'anagramma di Cristo; lo "zelo per la casa del Signore ci ha
consumato, e chi spera nel Signore non sarà confuso giammai".
Queste poche parole che chiudevano il discorso programmatico,
rivelano l'ingenuo candore dell'anima poetica di Don Polvara, ma
anche la misura della sua incrollabile fede con cui iniziava la
sua Scuola. Non deve stupirci che questa nota di grande
semplicità non sia mai mancata in Don Polvara anche quando ci si
presentava nella distinta veste del maestro e del Superiore.
Fu una qualità sua caratteristica che lo rendeva velocissimo
nelle intuizioni, accessibile a tutti e capace di farsi capire
da chiunque.
La prima sede della Scuola furono alcuni locali presi in affitto
in via Filangeri 14.
Pochi stanzoni, poveri di luce ma ricchi di speranze,
accoglievano
i
primi allievi. Si sarebbe desiderato anche uno studiolo per
ciascun maestro, ma non si potè avere, e solo in parte, che
nell'anno successivo, trovando un ripostiglio umido accanto alla
Chiesa di San Vittore.
I primi scolari di Don Polvara che condivisero le avventure del
sorgere della scuola, ci hanno raccontato che con il loro
Direttore erano costretti a dormire in un bugigattolo della
torre del Monastero Maggiore o nella tribuna di una Chiesa, e
che mentre uno scolaro faceva le provviste il Direttore
cucinava.
Ma queste fatiche non facevano indietreggiare di un passo Don
Polvara dai suoi propositi, da ciò che riteneva buono e doveroso
compiere anche a rischio della vita.
Coi piedi nell'acqua, col fumo negli occhi, con l'uscio
semiaperto per non soffocare gli alunni - raccolgo da testimoni
oculari - si filosofava intorno alla necessità del sacrificio
per l'anima di un vero artista.
E in mezzo a tanta ristrettezza e miseria non mancava una sana,
invidiabile allegria.
Nell'anno seguente, ossia nel 1922, alla prima Mostra d'Arte
Cristiana tenutasi nel Chiostro di S. Maria delle Grazie a
Milano, la Scuola esponeva già diverse opere, riscuotendo
ammirazione per le arti minori, suscitando polemiche per le arti
maggiori. E ciò non deve fare meraviglia perché le novità
incontrano sempre opposizioni. Nel 1924 - mi riferisce uno dei
primi allievi - dietro ordine del padrone, si dovette sloggiare
la casa.
Le ricerche di altri locali convenienti non approdarono, perché
i prezzi di locazione erano senz'altro proibitivi.
Si prese la risoluzione, che allora era giudicata temeraria, di
costruire ex novo una sede.
"Senza denaro, senza conoscenze, diffidati perché poveri e
sognatori di arte, osammo - ricorda Mons. G. Bettoli - e
l'ardire ci fruttò un non disprezzabile trionfo".
Il 14 giugno del 1924 veniva costituita legalmente la Soc. An.
Immobiliare Beato Angelico con capitale nominale di 50.000 lire
allo scopo di gestire Immobili a favore della Scuola.
Vennero i primi soccorsi tra i quali quelli dell'allora
Arcivescovo di Milano Card. A.Ratti che aveva battezzato e dato
il nome alla scuola.
Si acquistò il terreno in via Trivulzio 28.
Iniziarono la costruzione di tré saloni: per l'architettura,
pittura e scultura; di tré sale e di sotterranei, e nel novembre
dello stesso anno, la scuola apriva i suoi battenti nella nuova
sede.
L'insegnamento veniva impartito da un gruppo di valenti
professori:
Direttore Arch. Don G.Polvara Titolare di Architettura.
Prof. Vittorio Trainini Titolare di pittura.
Prof. Augusto Lozzia Assistente di pittura.
Prof. Angelo Righetti Titolare di scultura.
Prof. Fortunato De Angeli Titolare di Arti minori.
Sac. Dott. Adriano Bernareggi Incaricato per le scienze
sacre.
Sac. Dott. Virgilio Cappelletti Incaricato di Letteratura.
Sac. Don Mario Tantardini Incaricato Storia dell'Arte.
Sac. Arch. Giuseppe Polvara Incaricato Scienze dei colori.
Sac. Arch. Giuseppe Polvara e Prof. Sac. Carlo Vago
Incaricati per la proiezione e prospettiva.
Ing. Pino Pasque Incaricato Scienze costruttive.
L'inverno che succedeva dovette essere penoso nel caseggiato
ancora incompleto.
Si mangiava in cantina e si lavorava in ambienti non
sufficientemente asciutti, ciò nonostante la serenità e
l'entusiasmo non vennero mai meno.
Nell'anno 1925 si dovettero aggiungere altri locali a quelli già
costruiti, nei quali presero posto alcuni insegnanti, la
direzione e redazione della rivista A. C., il personale di
servizio e qualche allievo convittore.
Intanto alle funzionanti attività della Scuola si erano
aggiunte, da qualche anno, quelle del ricamo e della confezione
di paramenti sacri, quella del cesello e delle vetrate .
II lavoro ferveva in ogni settore e la Scuola pur nelle sue
ancora modeste dimensioni veniva citata a modello. "La Scuola
Beato Angelico - dichiarava apertamente Mons. A. Bernareggi - è
una affermazione solenne di fede nell'arte cristiana, e un atto
di coraggio per ricondurre l'arte alla sua fonte prima di
ispirazione, alla religione".
Infatti la vita della scuola durante il suo primo triennio si
svolse normalmente sempre ispirandosi alle direttive della
Società degli Amici dell'arte cristiana, benché si noti bene, la
Scuola non fosse una emanazione della Società, ne questa avesse
degli obblighi verso la Scuola. Società e Scuola, pur
condividendo gli stessi ideali, restavano due enti autonomi.
Don G. Polvara, responsabile della Scuola, credette invece
opportuno metterla più direttamente sotto il controllo
dell'Autorità Ecclesiastica, e Sua Em.za il Cardinal Tosi,
ammiratore e sostenitore dell'opera, le assegnò un assistente
per la parte spirituale in Mons. Luigi Testa, l'apostolo della
gioventù cattolica studiosa milanese.
Con questo valido aiuto, nella scuola Beato Angelico la
formazione spirituale degli allievi ebbe un forte impulso.
La produzione della scuola fin dai primi anni risultava
abbondante e svariata. Nel campo della architettura aveva già
dato la Chiesa di Lalatta (Parma), dono del venerato Cardinal
Ferrari alla sua terra.
Ma la prima costruzione grandiosa in cui si attentarono l'Arch.
Don G. Polvara e l'Ardi. Banfi fu con un progetto inviato per il
concorso di una chiesa parrocchiale in Padova, fin dall'anno
1920.
Il progetto fu tra quelli presi in considerazione ma non riuscì
vincitore.
Il risultato del concorso di Padova fu comunque una eccellente
affermazione per i due architetti della scuola Beato Angelico.
Anche
la
"rivista di Architettura e di arte decorative", in un articolo
dell'Arch. Torres ebbe parole di grande lode per il progetto
Polvara-Banfi.
Più tardi la Scuola presentava un progetto studiato da Polvara e
Banfi al concorso per una chiesa da dedicare a S. Carlo in
Monza. Questa volta l'esito era favorevole. Nella costruzione di
questa bella chiesa si trova un'ottima utilizzazione del cemento
armato nell'edificio sacro.
In seguito la Scuola assunse la costruzione di altre due chiese:
la chiesa parrocchiale di Costozza (Vicenza) e quella di Agrate
Brianza.
"In queste due chiese al modello antico apparente, è congiunta
una modernità di interpretazione che piace e lascia
l'impressione di un'attuazione sentita e non di una semplice
rifrittura archeologica" si legge in un articolo di A. C.
dell'anno 1924.
Tante altre opere architettoniche vennero commissionate alla
Scuola, la quale ormai aveva dato prova di notevole ed
apprezzata abilità in questo ramo importante dell'arte sacra.
Meno abbondante allora risultava l'attività della Scuola nella
pittura. In questo campo della pittura il dissidio, fra arte
sacra e arte moderna era stato più accentuato.
Purtroppo la pittura moderna, anche quella che poteva avere la
possibilità di un senso religioso, rimase incompresa al clero e
subì si può dire, un assoluto ostracismo dalla casa di Dio.
Tuttavia la Scuola potè già preparare le decorazioni per le
chiese di Monza e di Agrate, decorazioni pregevoli per la loro
perfetta fusione con l'architettura.
Anche nella scultura la scuola ebbe in questi suoi primi anni
una attività limitata a motivo della concorrenza della solita
arte industrializzata. E' giusto però ricordare almeno 11 ricco
tabernacolo di S. Calmiero (Milano), le statue di legno di S.
Francesco e S. Luigi per Busca, quella del S. Cuore e l'alto
rilievo pure di legno di S. Antonio per la Chiesa di San
Vincenzo in Prato a Milano, opere eseguite dagli scultori
maestri della scuola. Nel settore delle arti minori invece, la
scuola aveva già raggiunto una eccellente affermazione. Calici,
Pissidi, estensori, Lampade, Candelieri in ferro battuto; stoffe
ricami, tagli d'abiti liturgici, bandiere, stendardi
baldacchini, tutto questo aveva già saputo produrre, in così
poco tempo. L'esperienza di tré anni aveva così mostrato alla
Scuola più chiaramente per quali vie essa poteva arrivare con
maggior sicurezza ai suoi scopi. Di qui la elaborazione anche di
un indirizzo artistico più ben delineato ed equilibrato, e una
riorganizzazione interna su basi più salde.
Tuttavia non mancava chi discutesse sull'indirizzo della Scuola;
ma ciò era ovvio. Solo l'arte eccletica e generica che non si
sforzava di creare; l'arte incolore e sopravvissuta, sfuggiva
ancora alle critiche, ai dissensi della maggioranza dei
contemporanei. Ma ciò non poteva accadere per l'arte della
Scuola Beato Angelico, che doveva avere come una delle sue
principali ragioni di essere, proprio l'orientamento dell'arte
moderna a servizio del tempio.
E' ora di domandarci che cosa pensasse la Chiesa di questa nuova
Opera che ormai aveva avuto una risonanza nazionale e oltre.
Il suo pensiero veniva espresso in una lettera che il S. Padre,
tramite la Segreteria di Stato, faceva giungere al direttore in
data 14 giugno 1924.
Eccone uno stralcio: ";..Il rapido sviluppo, avuto in così breve
giro di anni, della geniale iniziativa della scuola di arte
cristiana, mentre conferma la reale opportunità e l'indole
pratica dell 'impresa, è da sé solo ottima garanzia di successo
e consolante promessa di fecondo avvenire. All'incoraggiamento
che recano per sé i primi felici risultati, il S. Padre ben di
cuore aggiunge il suo, e mentre si compiace della lodevole,
illuminata alacrità degli Iniziatori, approva il divisamente di
dare un chiaro e pratico saggio dei suoi propositi per il
maggior decoro della casa di Dio".
Nel settembre dello stesso anno il S. Padre Pio XI si degnava di
ricevere in udienza privata il Direttore della scuola per
esprimergli a voce il suo paterno compiacimento.
Poco più tardi l'abate Ildefonso Schuster, divenuto presidente
della Pont. Commissione centrale per l'arte sacra fondata a Roma
nell'anno 1925, faceva pervenire a Mons. Polvara questa devota
attestazione: "Ildefonso Schuster abate ordinario della Basilica
di S. Paolo, Preside della Pont. Comm. Centrale per l'arte sacra
esprime il voto intenso del cuore, che la scuola Beato Angelico,
così ricca di liete speranze, fiorisca e dilati sempre più la
sua vita, ed assicuri all'arte ecclesiastica, specialmente nella
nostra penisola che dell'arte sacra fu sempre madre feconda ed
autrice, quel rinnovamento spirituale, che tanto efficacemente
può cooperare, e di fatto opera, a quella intensificazione dello
spirito cattolico, che è nel voti dell'Episcopato e del Supremo
Pontefice. Milano 18-2-1977".
Mons. Polvara, che fu sempre rispettosissimo nei riguardi
dell'autorità, avuta una così consolante conferma della bontà
dei suoi sforzi si impegnava a centuplicarli.
Ancora nell'anno 1925 la Scuola dovette pensare a ricostruire la
"Società Amici dell'Arte Cristiana" che si era sciolta.
Il prof. Don M. Tantardini designato segretario, in Arte
Cristiana del 1924, presentava lo statuto nuovo, volendo dare
all'Associazione un'altra struttura organica, pur restando
identiche le finalità, e cioè una fisionomia più "familiare e
più intima".
Alle altre iniziative si aggiunse quella dei ritiri per artisti
che si tenevano in località adatte.
Ottime persone desiderose di unire la propria collaborazione in
una campagna tanto bella si riunirono a formare il Comitato
patronesse, che aveva come principale scopo quello di fare
conoscere la scuola stessa nel suo alto ideale di rinnovazione e
di elevazione dell'arte contemporanea.
Già fin d'ora il seme gettato germoliava e dava succosi frutti.
Al termine dell'anno scolastico 1924-1925 i primi tré allievi
avevano superato brillantemente la loro preparazione nella
scuola. Veniva concesso con lode il titolo di maestro-
architetto al Sac. Don G. Bettoli, che poi si univa a far parte
del corpo insegnante della scuola e a collaborare alacremente
nel settore della architettura; il titolo di maestro-architetto
al sig. Fortunato De Angeli; il titolo di maestro pittore al
giovane
Ernesto Bergagna.
A tutto questo fiorire di promettenti risultati non andavano
però disgiunte penose apprensioni.
Gravi difficoltà finanziarie premevano sul grande cuore di Mons.
Polvara sempre aperto ai bisogni altrui, tanto che dovette, lui
così restio a chiedere per sé, lanciare un appello di soccorso
agli amici. Urgeva nuovo spazio per l'afflusso degli allievi.
Nella circolare che il Direttore, che da poco era stato nominato
Canonico della Basilica di S.Ambrogio, inviava agli amici, tra
l'altro diceva: "...ci piange l'animo al pensiero che in questo
nuovo anno scolastico 1925-1926 noi abbiamo dovuto rinunciare a
urgenti iniziative e abbiamo dovuto lasciare lontano dal nostro
insegnamento giovani buoni e appassionati per mancanza di posti
e di mezzi.
L'opera nostra è troppo santa e urgente e noi non possiamo stare
con le mani in mano come servi inutili ad aspettare che gli
eventi maturino da se...".
Questo accorato appello veniva fortunatamente accolto da molti
ammiratori dell'opera di Mons. Polvara. Si costituì un apposito
comitato intitolato "Pro Metro", che si occupò di questa
battaglia di raccolta fondi per l'acquisto di altro terreno. Si
chiedevano 100 lire per ogni metro di detto terreno.
Tra i primi accorsi all'appello il S. Padre Pio XI, i fratelli
Polvara e altre buone persone che con le loro generose offerte
permisero al Direttore di sperare in un ulteriore ampliamento
della scuola.
Notevole importanza ai fini proposti, avevano i Congressi
nazionali che venivano indetti dall'Associazione degli amici
dell'Arte Cristiana con la Scuola Beato Angelico.
In quello svoltosi ad Assisi nel settembre del 1926 si è potuto
notare la partecipazione anche di alte personalità
ecclesiastiche e della cultura, la cui presenza significava una
conferma dei meriti della Associazione e della Scuola, e della
validità dei loro obiettivi.
Proprio durante questo III Congresso di Assisi, l'opera di Mons.
G. Polvara si affermava pienamente e veniva riconosciuta la sua
vitale importanza in ambito nazionale ed intemazionale.
L'arch. Don G. Bettoli, apprezzato e devoto collaboratore, si
era impegnato in una precisa e chiara illustrazione della Scuola
d'Arte Cristiana, dei suoi fini e delle sue realizzazioni.
La Scuola presentata all'esame dei congressisti nelle sue
origini, nella sua natura, nei suoi propositi e nelle sue
benemerenze sia nel campo dell'insegnamento, quanto in quello
della produzione, provocò un cordiale plauso da parte del
congresso e vivissimi voti di
prosperità.
Calorosi applausi erano seguiti anche alla brillante relazione
del Direttore Mons. Polvara, nella quale aveva messo a punto
come dall'architettura, sintesi di tutte le arti, deve prendere
le mosse l'arte Cristiana per risorgere. Secondo Mons. Polvara
non c'è arte sacra perché non c'è architettura sacra moderna.
A questa bisognava arrivare allacciandosi al passato che meglio
prudusse per la casa di Dio, ma non per ripeterlo in edizioni
peggiorate; solo invece valersi dei suoi buoni insegnamenti onde
arrivare alla creazione di uno stile che si possa dire moderno
in relazione coi nuovi metodi costruttivi, coi gusti e con le
possibilità nostre. Allora anche il decoratore moderno troverà
l'ambiente adatto per l'opera sua che sarà più viva, più
sentita, più bella. Tutto ciò era quello che si voleva
realizzare alla Scuola Beato Angelico. Infatti nel 1928
risultavano già costruite 22 tra chiese e cappelle, eseguite
diverse opere di decorazione e di scultura. E l'esame di tutta
questa produzione aveva ormai trovato molti competenti che vi
riconoscevano ottimi sintomi di sana rinnovazione, ispirata alla
migliore tradizione, ma più libera e nuova.
Nel frattempo, pur nell'assorbente, quasi estenuante attività,
Mons. G. Polvara sentiva la voce di Dio che gli additava un
ideale, che già da qualche anno coltivava segretamente in cuor
suo, ma che solo dopo lunga e penosa gestazione avrebbe potuto
relizzare.
Agli inizi dell'Opera, come abbiamo visto, il programma della
Scuola era limitato al problema di risolvere la fusione degli
studi accademici, sul modello delle gloriose botteghe della
rinascenza, dove maestri e allievi collaboravano con i medesimi
intenti. Ma l'esperienza di sette anni di lavoro andava
persuadendo il Direttore che ciò era ancora troppo poco, e che
non poteva bastare a portare un efficace contributo alla
rinascita dell'arte sacra. Col suo acuto intuito egli si avvide
della
necessità
di un'unica direzione che tutto coordinasse. "Soltanto così -
affermava il Direttore - può nascere un vero concerto, dove
tutti gli artisti portano il contributo della loro arte e della
loro genialità inventiva, ma dove tutti sono diretti da una sola
mano e da un solo intelletto, alla identica meta" (A.C. ottobre
1928).
Mons. Polvara, pur aperto com'era sulla necessità e sulla
possibilità di un arte moderna, non disdegnava ciò che la storia
può insegnare.
Secondo il suo giudizio era opportuno, anzi necessario che
artisti e professori si unissero a formare una corporazione sul
modello di una famiglia, in cui tutti potessero con fede, umiltà
e purità dedicarsi esclusivamente alla grande missione.
E in un articolo pubblicato in A.C. dell'ottobre 1928 fa
trapelare il suo nobile sogno: "...le meravigliose cattedrali
lombarde, romaniche e gotiche fiorirono quando vissero le
corporazioni di artefici che si iniziarono con le maestranze
comacine e cessarono con le corporazioni monastiche.
Quando cioè un esercito di artisti animati di entusiasmo per la
bellezza della Casa di Dio e ripieni di fede e di amore per Lui
abbandonavano le loro case, i loro paesi per convivere insieme
in una vita sacrificata per l'esaltazione della bellezza divina.
E più ancora quando queste maestranze furono veramente formate
da monaci; i quali dato l'addio a tutte le cose del mondo, si
ritiravano a lavorare in preghiera ed ogni loro linea, ogni
pennellata, ogni colpo di scalpello o di bulino era un pensiero,
ed un inno al Creatore".
Mons. G. Polvara, come si è già potuto notare, era uno di quegli
uomini che sanno perseguire tenacemente un'idea e subordinano ad
essa tutta la loro esistenza.
Infatti egli, sacerdote, artista, direttore e superiore,
raccoglieva le sue esuberanti energie in un centro focale: lo
zelo per il decoro della Casa di Dio.
Sempre coerente e animato da questa passione, egli pensava di
dover dare alla sua Scuola un'impostazione che garantisse una
continuità, affinchè la missione intrapresa a servizio della
Chiesa
non si perdesse nel tempo.
L'ardito progetto era stato ormai svelato, e l'invito a seguirlo
veniva esteso agli artisti in primo luogo, e a tutte le persone
di buona volontà cui stava veramente a cuore la glorificazione
di Dio attraverso l'esaltazione della Sua Increata Bellezza.
"Sine effusionis sanguims non fiat remissio".
Forse nel suo ingenuo candore che lo tratteneva nelle sfere più
alte dello spirito, Mons. Polvara non immaginava che da quel
momento gli sarebbe toccato uno di quei dolori capaci o di
schiantare o di sublimare un cuore. Si sa che ogni ascesa verso
mete più sublimi chiede il contributo di dolore e sofferenze
anche atroci.
E Monsignore non si ritrasse e lo pagò abbondantemente.
Ma non tutti i suoi amici gli si associarono. La vocazione
religiosa è un dono di privilegio pertanto non deve stupire che
l'idea di una vita associata e in comune, abbia dato luogo ad
animate discussioni tra i mèmbri della scuola, che non tutti i
suoi collaboratori abbiano potuto condividere l'alto e quanto
difficile ideale, e che richiedesse molto tempo prima che si
concretasse pienamente.
Tuttavia la scuola continuò con il solito ritmo di fervore.
Nell'anno scolastico 1929-1930 in seno alla stessa scuola si
aprì la scuola di musica sacra e di canto gregoriano. Era
conforme alla sua indole il voler che anche la musica e il
canto, destinati al decoro delle sacre funzioni, venissero
appresi scientificamente e religiosamente.
Di questo periodo risulta la data della pubblicazione del primo
numero dello "Amico dell'arte cristiana", supplemento alla
rivista, del quale la Società degli amici dell'arte cristiana e
la Scuola si volevano servire per la diffusione più popolare
delle loro attività e per la formazione estetica dell'anima.
Tante altre attività, che potremmo chiamare parascolastiche,
come le Settimane artistiche e le lezioni d'arte nei seminari,
le edizioni di trattati d'arte e di immaginette non permettevano
alcuna tregua.
Un altro problema che non si era voluto trascurare fu quello
dell'assistenza alle modelle che prestavano servizio nella
Scuola. Si fondò allora "L'Opera modelle" consistente
nell'assistenza spirituale e morale che veniva esercitata
specialmente nelle giornate festive con conferenze, ritiri e
ricreazioni.
In questa breve storia della Scuola non è possibile, per evitare
di essere lunghi, tralasciare almeno un accenno su una vicenda
che ha la sua importanza. Sin dall'anno 1928 Mons. G. Polvara
con suo immenso piacere che poteva pareggiare con l'onere che
gli sarebbe toccato, potè occupare nonché occuparsi del vetusto
monumento di S. Pietro al Monte sopra Givate, che aveva scelto
come dimora estiva ideale per la sua famiglia spirituale.
Ci sarebbe troppo da dire a proposito di ciò che fece il nostro
Fondatore per salvare da irreparabile rovina uno dei più bei
monumenti romanici di Lombardia. C'era molto, per non dire
tutto, da rifare.
Ci basti la testimonianza del Dott. Ugo Nebbia; allora
sovrintendente ai monumenti ed ammiratore del nostro Direttore,
apparsa in
un
articolo commemorativo su Arte Cristiana, marzo-aprile 1950:
"...se oggi di S. Pietro al monte e di S. Benedetto non si parla
più come di due pittoreschi ruderi votati all'abbandono o ad un
fatale deperimento, si deve alla fede, alla tenacia; alla
passione per ogni cosa bella di Mons. Polvara".
Tra queste sacre mura Mons. Polvara si immedesimava totalmente
alla spiritualità di quei bianchi monaci che prima di lui vi
avevano vissuto, sotto l'egida del "Ora et Labora". Anche lassù
la preghiera e il lavoro avevano il loro posto preciso e i rari
sollazzi che si concedeva, consistevano nelle soste vespertine
trascorse ad ammirare, quasi rapito, gli stupendi, rosati
tramonti.
La sua famiglia artistica, lassù tra lo ampio e silenzioso
paesaggio, tra la maestosa ricchezza d'arte del tempio e la
povertà francescana della casa, temprava le forze e lo spirito
per poi riprendere le proprie attività con i-innovellate
energie.
L'anno 1931 vide la Scuola impegnatissima in una mostra
intemazionale d'arte sacra. Con tale mostra, indetta dalla
Società degli Amici e dalla Scuola e premurosamente sollecitata
da Sua Em. il Card. I. Schuster, da due anni, arcivescovo di
Milano, si voleva celebrare una duplice ricorrenza: il terzo
centenario della morte del Card. Federico Borromeo, mecenate e
fondatore della Ambrosiana e della prima accademia di arte ad
essa unita, e il decennio di vita della Scuola Beato Angelico,
in felice coincidenza.
L'esposizione ebbe luogo nei mesi di novembre e di dicembre nel
palazzo della Permanente di Milano. La Scuola era presente con
molte opere di architettura, di pittura, di scultura, di arti
minori e paramenti liturgici. Maestri, ex allievi ed allievi in
quella occasione diedero prova soddisfacente di capacità,
avvalorata dalla nobiltà di indirizzo, dando lustro alla Scuola
e al suo Direttore che si battevano indefessamente in una
diuturna campagna per la elevazione dell'arte e degli artefici.
Da quel medesimo anno, compiuto il primo ciclo di prova
decennale, doveva maturare secondo i disegni di Dio, un tempo
nuovo per la
Scuola
Beato Angelico.
COME SI CONCRETA GRADUALMENTE L'IDEALE DI MONS. G. POLVARA
In un primo tempo, "nell'intento di riacquistare alla Chiesa un
campo interamente abbandonato da più di un secolo, e cioè il
campo dell'arte sacra, per poter di nuovo rivelare agli uomini
gli splendori della divina bellezza", Mons. G. Polvara aveva
concepito un piano di corporazione di artisti disposti a
dedicarsi ad una produzione di arte sacra, ma in seguito vide
"con maggior chiarezza" che questi artisti e collaboratori
sarebbero dovuti essere religiosi e religiose, perche una
società di anime alla ricerca dell'Assoluto nella pratica dei
consigli evangelici e della vita in comune, avrebbe sentito
meglio la necessità di effondere nelle sue opere quei doni di
grazia e di verità attinti dalla quotidiana contemplazione di
Dio e dalla totale dedizione al suo servizio.
Intanto la rivelazione di questo nobile disegno, fatta sin
dall'anno 1928 andava operando una naturale selezione tra i
mèmbri della Scuola Beato Angelico. C'era chi pensava di
rimanervi accettando di vivere la vita di consacrazione a Dio
per dedicarsi esclusivamente alle attività della Scuola, altri
che sarebbero rimasti solo come collaboratori dell'Opera, pochi
altri che addirittura abbandonavano la Scuola, anche se con non
poco rimpianto.
Nel frattempo Mons. G. Polvara aveva tracciato uno schema di
Statuto che doveva regolare la vita degli associati.
Sulla traccia di quello degli Oblati di S. Carlo, il Regolamento
comprendeva l'emissione del voto privato di permanenza nella
Scuola, del voto di ubbidienza al legittimo superiore
nell'osservanza delle regole che comportava altresì la cessione
a favore della Scuola di ogni provento materiale. I laici
(giovani e signorine) dovevano emettere anche il voto privato di
castità.
Il sacerdote chiamato a far parte della famiglia doveva
rinunciare ad ogni ufficio stabile di cura d'anime. Tutti i
sodali dovevano escludere qualsiasi miraggio di lucro e di fama,
mentre potevano e dovevano nutrire l'ideale di riuscire valenti,
ma solo in vista della gloria di Dio e per il bene degli
artisti.
Dovevano accontentarsi di un assegno annuo, uguale per tutti,
che poteva bastare per il vestiario e le eventuali necessità
personali. La Famiglia poi doveva provvedere secondo i propri
mezzi al vitto, all'alloggio, agli studi, alla assistenza medica
e a quei viaggi necessari per ragioni di studio e di cultura, e
assicurava alla vecchiaia un onorevole riposo. Nella Famiglia
venivano accolti non solo gli artisti, ma anche quelle persone
che potevano riuscire utili alla Scuola per il disimpegno di
vari uffici.
La Famiglia veniva così ad assumere la fisionomia di un cenobio
con scuola-bottega, composta di due sezioni, una maschile e una
femminile.
La fraternità e la collaborazione dovevano essere guidate dal
Regolamento religioso, morale, disciplinare, approvato
dall'autorità ecclesiastica; la vita spirituale era ispirata
principalmente alla liturgia della Chiesa cattolica.
Codesto Statuto veniva approvato in via di esperimento dal Card.
A. Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano, il 13 Aprile
dell'anno 1934 .
I Era questo uno dei gradini che dovevano condurre a quel piano
su cui il fondatore pensava di stabilire la sua Famiglia
Religiosa.
Infatti dagli scritti del fondatore appare costante l'anelito a
una meta ben definita verso la quale procedeva passo, passo,
costantemente, senza smarrimenti e alternative, nonostante gli
interminabili ostacoli che vi incontrava e che avrebbero potuto
far cadere chiunque non avesse la certezza di eseguire un
preciso comando divino. Egli sfuggiva come da cattivi
consiglieri coloro che, vedendolo sballottato tra le più penose
difficoltà, lo esortavano a tirare i remi nella barca e ad
accontentarsi di quello che con onore già faceva per la Chiesa.
Ma era troppo convinto, e nessuno può negare, che ogni
apostolato non ha che da guadagnare quando chi lo svolge è
libero da mire, da preoccupazioni e sollecitudini personali. Se
cosi non fosse non avrebbero ragion d'essere le molteplici
congregazioni religiose nella Chiesa. E perché alla missione in
favore dell'arte sacra e degli i artisti non si doveva pensare
di assicurare un tale i beneficio? Mons. Polvara che aveva
compreso, più di ogni altro,l'importante ruolo dell'arte sacra a
servizio della santa religione, non esitò a rinunciare a tutto
per rendersi totalmente disponibile a questo nuovo apostolato
nella Chiesa di Dio.
"...Vogliamo il porrum unum necessarium della Maddalena -
lascerà scritto ai suoi figli - che tenga noi incatenati da
indicibile amore al piedi del Maestro, che ci dia forza di
trascinare con noi tante anime. Raramente l'arte di chiesa
raggiunge un'alta meta e solo nei momenti di maggior fede: noi
vogliamo che diventi tutta la nostra vita.
Ecco il nostro programma... Da queste considerazioni è nata la
nostra Scuola Superiore d'arte Cristiana, è nata faticosamente
la nostra comunità e dolorosamente si è epurata a diventare
Famiglia religiosa.." (dagli scritti).
Egli si sentiva irresistibilmente attirato verso la vita
cenobitica che non cerca onori, non ambisce ricchezze e non
brama soddisfazioni se non quella di dar gloria a Dio. Per
questa strada conduceva i suoi fedeli seguaci.
Una tale successione di tappe e di termini verso una forma di
vita migliore, nella mente del fondatore, non doveva però
equivalere a un mutamento del fine cui ha sempre mirato, bensì a
un perfezionamento dei mezzi, degli strumenti per attuarlo.
Infatti leggendo la parte introduttiva dello Statuto per la
Famiglia del 1934 ce ne possiamo assicurare. "Per risollevare
davvero l'arte sacra, per arricchire di nuovo la veste della
Chiesa di gemme nuove, si comprese la necessità di avere degli
artisti veri e grandi, ma soprattutto credenti e di una fede
viva ed attiva. Di qui sorse l'idea di una Scuola Superiore
d'Arte Cristiana che lavorasse a creare opere degne per
pensiero, per bellezza tecnica, e che coltivassero un seminario
di artisti, il quale aumentasse le falangi per le battaglie
venture.
Ma la diuturna esperienza ha dimostrato che anche quest'opera
non sarebbe stata sufficiente. Sono troppi i preconcetti, i
traviamenti del gusto artistico cristiano, gli interessi umani
che si oppongono al lavoro per l'ideale superiore e spirituale,
troppe le passioni personali e gli individualismi: onde si è
sentito profondamente la necessità di formare un pio consorzio
di artisti cristiani, una maestranza spirituale, una Famiglia
che legasse in santo vincolo i cultori delle arti sacre. Li
collegasse in una vera vocazione religiosa alla loro missione
nel campo dell'arte sacra, in un lavoro che assicurasse
l'attività i e tutte le forze di tutta la vita in una fraternità
bene organizzata all'ubbidienza pia di un capo, il quale a sua
volta dovesse ricevere gli ordini dall'autorità ecclesiastica
per tradurle in espressione d'arte".
Da ciò risulta evidente che Associazione "Amici dell'Arte
Cristiana", Scuola Superiore Beato Angelico, Famiglia Religiosa,
non sono state che tappe o, se vogliamo, elementi strumentali di
volta in volta sempre più perfetti, per giungere ad un'unica
meta, ad un identico fine che è la rinascita di un'arte
cristiana a servizio della Chiesa.
Presa questa decisione si doveva pur pensare ad una sistemazione
residenziale conveniente che comprendesse, in ambienti ben
distinti e separati, le due Comunità, le aule, i laboratori
sufficientemente attrezzati e i vari uffici.
Non era possibile però contare sulle deboli forze finanziarie
della Scuola.
Che cosa si poteva fare? Quando c'è l'amore non c'è barriera che
resista!
Il 16 Giugno 1934 il direttore Mons. G. Polvara doveva celebrare
il 25" anniversario di sua ordinazione sacerdotale. Per una
grande riservatezza innata in lui, a qualche audace che
sussurrava di festeggiamenti, aveva risposto scrollando la testa
che sarebbe stato tempo sciupato. Il rifiuto non disarmò
tuttavia Coloro che gli volevano bene e che ammiravano la sua
opera. Pensarono anzi non ci poteva essere circostanza più
propizia per lanciare una proposta agli Amici ed invitarli a
procurare a Monsignore un dono tanto desiderato : il terreno per
costruirvi una grande sede. Si costituì subito un comitato, si
corse e si ricorse per
la
tumultuosa Milano, adocchiando appezzamenti di terreno,
chiedendo prezzi, che risultavano sempre favolosi. Il bollettino
"Amico dell'arte cristiana" acconsentì entusiasticamente di
farsi portavoce ufficiale di tale movimento. La proposta
"audace" raccolse in breve molte adesioni e vivi consensi. Ormai
le benemerenze della scuola e del suo indefesso direttore
inducevano molte persone a ricordare, quale tributo di stima e
di riconoscenza, il suo 25" di ordinazione sacerdotale.
Dopo varie trattative si decise sul terreno da comprarsi.
L'ubicazione piacque all'Em.mo Card. Schuster, arcivescovo di
Milano, che spontaneamente si assunse l'alto patronato
dell'iniziativa e si rallegrò che finalmente l'Istituzione,
purificata da continue traversie, si stabilisse in una degna
sede.
Altri Ecc.mi Vescovi inviarono la loro adesione e benedizione.
Di particolare conforto giungeva quella del S. Padre Pio XI che
aveva seguito sin dalle origini gli sviluppi della Scuola.
Sarebbe troppo trascrivere qui le attestazioni assai
significative che giungevano ogni parte d'Italia, al Fondatore.
Rimandiamo i lettori alla lettura dei fascicoli di "Arte
Cristiana" e del "Bollettino" del dicembre dell'anno 1934.
' Volendo far coincidere i festeggiamenti di Mons. Polvara con
la posa della prima pietra della nuova sede, (si, perche
soltanto a questo patto si sarebbe rassegnato a lasciarsi
festeggiare) si dovettero rimandare all'autunno successivo,
quando il miracolo, frutto della confidenza in Dio e della
fiducia negli amici, poteva giungere a matura- zione .
Seimila metri quadrati di terreno, una verde distesa percorsa da
rivoli di acqua, tra l'area di viale Pisa, ancora pressoché
solitària, era ad attendere vita, una vita di preghiere e di
opere che la giovane Istituzione vi avrebbe portato.
Il 16 dicembre 1934 vedeva radunati attorno a Mons. G. Polvara,'"m
gioiosa solennità, molti collaboratori, allievi e amici. Il
festeggiato celebrò, palesemente commosso, la sua Messa
Giubilare nelle chiesa di S. Sepolcro, dopo la quale volle
esprimere ai numerosi convenuti i suoi ringraziamenti ed
esternare con accenti di sincera convinzione, la consapevolezza
della sua indegnità per la grande missione che Dio gli aveva
affidato.
Quasi tutti i quotidiani milanesi, oltre 1' Osservatore Romano
ed altri, uscirono portando, con la notizia della posa della
prima pietra, il progetto della nuova grande sede che la
Famiglia Beato Angelico
doveva
erigere in prossimità del vasto piazzale Giovanni delle Bande
Nere. Nel pomeriggio del medesimo giorno, Sua Em. il Card. A. I.
Schuster, circondato da una grande folla plaudente, svolse la
religiosa cerimonia. Vescovi, autorità religiose e civili, che
qui non possiamo enumerare, vollero presenziare per testimoniare
a Mons. Polvara, pioniere del grande movimento in favore
dell'arte sacra, la loro benevolenza, ad incoraggiamento per gli
sviluppi della sua bella opera.
Più che la cronaca della straordinaria giornata a noi interessa
il valore e il significato della devota e sentita celebrazione,
a ricordo della quale si volle dedicare il fascicolo di dicembre
di "Arte Cristiana" di quell'anno.
In questo numero unico, in cui e stata raccolta la vasta
testimonianza di consensi, di stima e di affetto, venne inoltre
tratteggiata la figura del Fondatore con le sue benemerenze e le
sue aspirazioni.
Quanto poi sia costato al festeggiato, estremamente schivo di
onori e di complimenti, sottostare a tanta incensazione
tributata alla sua persona, è bene espresso in una parabola che
egli stesso compose a conclusione della festa, con la quale come
dice il titolo, voleva far luce sulla verità, cioè disingannare
tutti con la confessione della propria miseria che lo rendeva
strumento indegno e immeritevole di qualsiasi considerazione.
E' bene ricordare che di questi sentimenti di vera umiltà, che
danno la misura della sua grandezza, traboccano si può dire,
tutti i suoi discorsi e 1 suoi scritti . Anche quando faceva
prevalere la sua voce sostenendo con forza certe tesi, appare
evidente come egli si sia sempre considerato niente altro che
uno strumento nelle mani di Dio. Ed era proprio questa solida
convinzione che gli forniva il coraggio, la tenacia di resistere
nella lotta, anche quando prevedeva che difficilmente sarebbe
uscito illeso dalla mischia.
Ripetutamente, specialmente quando gli giungevano attestati di
lode e di stima scandiva questa affermazione:
"noi siamo convinti che il Signore ha voluto affidare a noi
questo mandato e solo ci siamo meravigliati che egli abbia
guardato a noi strumenti cosi miserabili ed indegni, mentre
avrebbe potuto scegliere anime sante... "Nel direttorio
spirituale viene infatti ribadito questo pensiero : ". . .Lo
Spirito Santo ha illuminato anche noi a vedere nuovi splendori,
più intensi di pensiero a rivelare la sua increata bellezza. E'
quindi nostro dovere inabissarci innanzi a Dio, innalzare a Lui
un inno di lode e di grazie mentre pensiamo alla nostra miseria.
Lo strumento acquista la maggior potenza nel suo operare dalla
mano che lo guida, però qualche qualità apporta anche da parte
sua. Uno strumento perfetto facilita l'azione dell'operatore,
uno strumento imperfetto la rende più difficile. Di qui la
necessità e il dovere che noi abbiamo, come strumenti in mano di
Dio, di renderci il meno indegni possibile. E ciò possiamo fare
con l'aiuto della Grazia dalla quale siamo invitati ad una vita
purgativa, illuminativa, unitiva. Quando sapremo lavorare uniti
in Cristo faremo meraviglie..."
Ciò spiega la sua insistenza a che tutti i suoi figli fossero
pienamente convinti che ogni apostolato non si dispiega sul
piano soprannaturale senza mezzi soprannaturali; di qui la
necessità di una vita santa, veramente protesa alla ricerca
sincera e costante di Dio. E questo spiega ancora perché il
clamore delle risonanti manifestazioni non abbia mai lusingato
il Fondatore. Non quello che aveva fatto, ma quello che ancora
rimaneva da fare costituiva la preoccupazione del suo spirito,
ben lungi dal cullarsi sui conquistati allori.
Alla già grave responsabilità di Direttore era venuta ad
aggiungersi quella di superiore della Famiglia religiosa.
Anche questa naturalmente doveva affermarsi e crescere,
alimentata soprattutto dal sacrificio di Mons. G. Polvara. E'
certo che la somma degli assillanti impegni lo avrebbe portato
presto ad uno sfibramento fisico, se non avesse avuto sempre il
correttivo della riflessione calma, attenta a scoprire il
momento giusto e la misura adeguata per ogni cosa, volta per
volta, solo e sempre per la maggior gloria di Dio.
Il terreno e il progetto per la nuova sede erano ormai pronti,
ma quando si sarebbe compiuta l'opera? Era l'interrogativo che
spronava a confidare nella divina Provvidenza e a lavorare con
sempre maggior impegno.
E' da ascriversi a questo periodo lo sviluppo della seconda
parte del programma del Fondatore, cioè l'assistenza agli
artisti, compresa nell'Opera Beato Angelico facente capo prima
alla Scuola e poi alla Famiglia.
Dalla cronaca pubblicata nel fascicolo di marzo 1935 del
bollettino "Amico dell'Arte Cristiana" che dava l'annuncio di un
corso di estetica che Mons. G. Poi- vara teneva agli artisti,
riporto : "... La opera di assistenza spirituale per gli artisti
che la Scuola Beato Angelico ha promosso a Milano, non si limita
a radunarli per la S. Messa festiva, che sarebbe già molto, ma
si preoccupa anche di elevare lo spirito di tutta la classe dei
creatori ed esecutori di opere d'arte, col correggere certe
false ideologie a proposito del bello, della sua natura, delle
sue funzioni...". Questa attività, che vedeva impegnati i mèmbri
e i collaboratori più idonei, in conferenze, giornate di studio,
ecc... e che l'autorità ecclesiastica
sollecitava
e benediceva ( 1 ), si può concepire in un duplice aspetto.
1) Come l'estensione dell'opera formativa che già si impartiva
agli allievi : "...ai quali si deve spezzare il pane della
materia e dello spirito dell'arte, perche la bellezza, come la
verità e la bontà, abbiano a diffondersi e fruttificare nel più
grande raggio possibile a vantaggio della S. Chiesa ed a gloria
di Dio..." (dal Direttorio Spirituale).
2) Come forma di apostolato diretto, inerente alla missione
stessa dell'Istituto.
Il Fondatore, potendo contare sulla disponibilità dei
collaboratori che con lui si erano votati al nobile ideale,
decise di estendere l'apostolato di bene agli artisti di tutti i
settori dell'arte.
Infatti lo Statuto del 1934 della Famiglia dice a proposito :
"... Incalzati dagli avvenimenti... la Famiglia Beato Angelico
si permise lo sviluppo di altre opere laterali, come la
propaganda di bene in Nota (1) Si legga in "Amico dell'A.C." n.
1, anno 1934, le lettera che Sua Em.za il Card. A. I. Schuster
inviò a Mons. G. Polvara in merito. Fine nota mezzo agli artisti
già maturi, ma lontani dalla nostra mentalità...."
Nell'anno 1935 nasceva "Theatrica", rivista mensile del grande
teatro cristiano. Ai pavidi che ponevano obiezioni, vedendo una
sproporzione tra i mezzi e gli impegni assunti, Mons. G. Polvata
rispondeva : "Siamo persuasi anche noi che sarebbe maggior
fortuna l'aver una pianta carica di frutti, dalla quale poter
raccogliere, ma se questa pianta non c'è ancora bisognerà che ci
mettiamo a dissodare il terreno, dove è possibile, e porre il
seme e stare vigilando all'opera, sino a tanto che la pianta sia
cresciuta" ("Amico dell'AC.," I, 1935).
Secondo Mons. Polvara era necessario che anche il teatro fosse
riformato, perché ridiventasse veicolo di bene in mezzo alla
società.
Ma chi provvedeva alle spese esigile da un sinule apostolato? "Quaerite
primum regnum Dei ed omnia adttcentur vobis", aveva detto Gesù.
Sostenuto da questa fede il Fondatore estendeva la sua
battaglia, purché il regno di Dio si dilatasse anche attraverso
l'arte e i suoi artefici. Occorre dire che l'alimento per una
vita così dinamica, la Famiglia lo riceveva quotidianamente
nella piccola e devota cappella, quasi catacomba, che vedeva
radunati insieme i mèmbri per la celebrazione dei divini
misteri, memori dell'avvertimento del Signore: "Quando due o più
persone sono radunate a pregare in nome mio, io sarò con loro".
Nutrendosi del Corpo di Cristo e della divina parola,
intensificavano la loro vita intcriore come condizione
indispensabile a controbilanciare il dispiego di tante forze, e
come segreto per un proficuo apostolato.
Non si pensi però che il maligno, nemico del bene, avesse
cessato di circuire, nell'intento di abbatterlo, il piccolo
naviglio che dirottava verso il buon porto. Da questo stato di
cose il Fondatore ricavava simili riflessioni:
"Quando pensiamo all'odio (che ci circonda) siamo costretti a
fare una meditazione sui nostri difetti che il Signore vuoi
castigare, o sulla nostra fede che la Provvidenza vuoi mettere
alla prova, e quando pensiamo all'amore non sappiamo spiegarci
tanta generosità se non nel conforto più grande che il Signore
vuoi dare, non a noi poveri uomini, ma all'opera che il Signore,
Jure. castigando noi. non vuole abbandonare..." ("Amico A.C.",
4, 1936).
Che si perseguiti un' opera tesa a promuovere la gloria di Dio
non deve meravigliare. Anche la Chiesa, fondata da Gesù e
modello di ogni istituzione, non ha ancora cessato di segnare
col sangue il suo cammino incontro ai popoli. La guerra, a base
di pregiudizi e di calunnie, che non cessava di infierire contro
la giovane Istituzione la stimolava, se non altro, a mantenersi
in una vigile umiltà e le toglieva il pericolo di una ricerca di
facili, accomodanti posizioni, possibili quando vengono a
mancare le prove purificatrici.
Non mancavano però anche tra le file del clero e dei
seminaristi, entusiasti per questo nuovo apostolato nella
Chiesa, coloro che con l'amicizia, sostenevano e incoraggiavano.
E' qui doveroso ricordare il nome di Mons. Adriano Bernareagi
che Mons. Polvara, in un suo scritto, non esitò a considerare
confondatore della Scuola, per la pro- fonda, fraterna
solidarietà e collaborazione, l'aiuto morale, l'illuminato
consiglio, che non gli lasciò mai mancare specialmente nei
momenti più delicati e penosi in cui venne a trovarsi il
Fondatore nella realizzazione di quell'ardito ideale che Sua
Ecc. il Vescovo A Bemareggl pure sostenne e pienamente condivise
fino alla morte. Proprio a questi amici, oltre che alla divina
Provvidenza, si deve il merito se dopo quattro anni di
trepidante attesa, dalla posa della prima pietra, si è potuto
iniziare la costruzione di una parte del grande progetto della
nuova sede. Certo, se si fosse trovato un mecenate, che avesse
compreso l'utilità di una istituzione "unica nel suo genere, nel
mondo" e che aveva già dato dei buoni risultati, non sarebbe
andata avanti così a rilento, si sarebbero potuto accogliere
tutti gli allievi e i volenterosi collaboratori che per mancanza
di spazio si dovevano dolorosamente rifiutare, ma invece, lungo
tutto il cammino della Istituzione, non se ne è incontrato
neppure uno.
"Eppure - diceva Monsignore, confrontando la sua fondazione con
alcune altre coetanee - anche le nostre fatiche dovrebbero
essere accolte nel novero delle opere buone".
Ma poi si consolava al pensiero che la povertà fu sempre il
distintivo delle migliori congregazioni nella Chiesa.
Dando poi uno sguardo al passato, nonché al presente, sembra
essere nei disegni imperscrutabili di Dio che, non a mezzo di
travolgenti acquazzoni che possono nascondere l'insidia di una
crescita troppo precoce, bensì attraverso povere goccioline
d'acqua che silenziose penetrano nel terreno, sia destinata a
maturare la seminagione della Famiglia Beato Angelico.
Ebbene l'affluenza di queste preziose gocce, unite alla somma di
grandi sacrifici e rinunce che gli " sgobboni", (come si
autodefinivano i primi operai ) generosamente facevano per il
grande amore alla bella causa, acconsentirono al Fondatore di
iniziare, dopo varie e laboriosissime trattative, nel gennaio
del 1939, la costruzione della Casa, che veniva affidata
all'impresa Moretti di Busto Arsizio. C'entri poco o tanto la
avversità, lasciamolo a Dio, ma di una cosa siamo sicuri, ci
dicono i testimoni, e cioè che molto si deve alla fede
incrollabile dell'indefesso Fondatore che lo spingeva fino
all'ardimento e all'eroismo, se si è potuto in quei difficili
frangenti, con le sanzioni e la minaccia di guerra, risolvere il
difficilissimo problema. E' pertanto spiegabilissimo il fatto,
che da quando si diede mano alla costruzione, tutti i figli e
collaboratori del Fondatore, cominciando dall'Arch. Don G.
Bettoli, apprezzato amministratore della Famiglia, che si doleva
di non possedere il carisma dei miracoli, sentissero uno strano
fermento, come un'agitazione. E chi voleva gustare momenti di
intensa felicità bastava che si recasse con Monsignore a
visitare i muri che si alzavano da terra a vista d'occhio.
C'era da commuoversi, affermano testimoni oculari, vederlo
raggiante d'incontenibile gioia, salire da un ponte all'altro,
non tanto per controllare i lavori, quanto per pregustare la
sospirata e sudata soddisfazione di poter finalmente disporre di
più ampi locali necessari allo svolgimento delle molteplici
attività. In pochi mesi, senza aspettare, secondo una
ragionevole cautela, che i muri fossero asciugati e i vani
completamente finiti, si passò dalla vecchia casa, resasi ormai
insufficiente, nella nuova e più agevole.
La benedizione e l'inaugurazione della sede ebbe luogo il 18
gennaio dell'anno successivo, con una larga partecipazione di
autorità e di persone che seguivano con vero interesse gli
sviluppi della benemerita Istituzione.
Sua Em. il Card. A. I. Schuster che svolse la cerimonia, con
parole di congratulazione incoraggiò il Fondatore a continuare
nel suo nobile apostolato che aveva già fruttato bene alla
Chiesa.
Questo passo doveva ripercuotersi notevolmente sulla vita della
Famiglia. Infatti solo dopo la sistemazione definitiva nella
nuova e più capace sede, vi poteva maturare, secondo
l'aspirazione del Fondatore, la fisionomia di vera e propria
Famiglia Religiosa, che però per alcune difficoltà, tra cui la
guerra mondiale, doveva concretarsi nel Sabato Santo dell'anno
1946, con la professione dei voti semplici di povertà,
ubbidienza e castità, del primo gruppo di confratelli e
consorelle compreso lo stesso Fondatore.
LA PRIMA PROFESSIONE RELIGIOSA
Alla Famiglia Beato Angelico, che dalla vecchia casa era passata
nella nuova e più capace sede, si presentava impellente la
necessità di trovare vocazioni. Data la natura della sua
speciale missione, vi si attendevano artisti di ogni settore,
"anime elette per una elettissima missione", Sacerdoti,
indispensabili per la dirczione dell'Istituto (2), nonché anime
buone desiderose di collaborare in svariati modi, in questa
vigna del Signore.
Il problema del reclutamento delle vocazioni, se è sempre
esistito per tutte le istituzioni, per la nostra è risultato
particolarmente difficile, per il fatto che, come si è poturo
constatare, il possesso di speciali talenti può costituOe una
remora dal seguire la vocazione religiosa, per il timore di non
poterli esplicare secondo una propria direttiva. Non è certo
senza fondamento l'asserzione di molti, secondo i quali
all'artista che si fa religioso può essere richiesta una
vocazione eroica.
Consapevole di ciò e tuttavia sorretto dalla certezza che la sua
Famiglia era voluta da Dio perche utile alla Chiesa, Monsignor
G. Polvara non esitò a comporre una preghiera, sintesi del suo
apostolato e delle sue aspirazioni,
per
impetrare dal Padrone della messe santi operai: "O Signore
che fai risplendere ìa Tua bellezza per attirarci alla Tua
verità e al Tuo amore guarda misericordioso la nostra Familia
che sorge per rivelare il Tuo splendore agli uomini; fa che
questi tuoi primi figliuoli, non vengano meno alla fede promessa
e che altri operai generosi si uniscano a loro per conoscerti,
amarti e lodarti, insieme col Figlio Tuo Gesù Cristo Signor
nostro, il quale vive e regna con Tè e con lo Spirito Santo per
tutti i secoli dei secoli".
A risolvere più facilmente un tale problema sarebbe bastato alla
Famiglia ridurre il suo programma di apostolato entro gli ambiti
dell'insegnamento e dell'assistenza agli artisti, come è stato
anche suggerito. Ma ciò non corrispondeva al piano voluto e
stabilito dal Fondatore, suggellato altresì dal consenso Nota 2
2) si legga a questo proposito l'articolo del Fondatore
pubblicato in "Amico dell' Arte Cristiana" 1942 - pag. 21 Fine
nota 2 dell'Autorita Ecclesiastica (3), che ne auspicò
ripetutamente lo sviluppo.
"Senza produzione la nostra Scuola diventerebbe accademia e si
svaluterebbe di quanto le è più importante e più prezioso, cioè
della possibilità di lasciare degli esempi che arricchiscono la
veste preziosa della Santa Chiesa. Ed è proprio una speranza e
un voto nostro di non lavorare inutilmente nella vigna del
Signore..." ("Amico dell'A.C.", dicembre 1940 ).
E' questa una convinzione che il Fondatore ha più volte espresso
anche nei suoi scritti.
La Provvidenza intanto aveva permesso l'enuclearsi della piccola
Famiglia, nonostante l'imperversare della disastrosa guerra, che
minacciava di distruggere la Casa e di paralizzare ogni
attività. Confratelli e consorelle dovettero sottoporsi a gravi
disagi di spostamento e di adattamento a precarie sistemazioni
di emergenza. La durata dell'immane guerra, si può dire che
costituì il periodo, di noviziato della piccola comunità, in
quanto servi a provare la fede, lo spirito di dedizione, 1'
idoneità alla vita di sacrificio che era richiesta, in una
parola la vocazione delle prime reclute.
Il Fondatore stesso guidava questi figli generosi, volendo
coltivare in essi una profonda e soda pietà, scevra da
sentimentalismi, alimentata dalla par- tecipazione attiva e
devota alla
vita
liturgica. Sulla traccia della spiritualità benedettina aveva
articolata l'intera giornata dei suoi religiosi, suddividendola
tra la lode Divina e il lavoro.
Infatti Egli ci lasciò scritto :"Dove veramente cercheremo Dio,
dove lo troveremo se non nel suo monastero a tipo nuovo, sulla
porta del quale an- che noi scriveremo: Ora et labora? Anzi se
fosse possibile vorrei fondere in una queste parole : orando
labora. E' così eccelsa la visione che i nostri occhi non la
possono penetrare se non traducendo tutti i momenti della nostra
giornata nella contemplazione divina. Perciò (ecco) una casa che
sia santuario-cenacolo, nel centro del quale abiti Dio in
ispirito e verità e Gesù nella sua presenza reale " (dagli
scritti).
Egli, guardando fiducioso il lento comporsi della sua
figliuolanza spirituale, era portato ad immedesimarsi nella
figura degli antichi patriarchi, che arrivati alla tarda età,
passavano alla loro discendenza la lampada accesa, ricevuta da
Dio. Da un suo scritto leggiamo: "... Senza alcun merito nostro,
ma solo per generoso disegno divino, anche noi abbiamo un poco
questa consolazione di vederli i nostri figliuoli spirituali
prendere da noi, con trasporto, il lume che ha affidato a noi il
Signore.
E prenderlo col desiderio di aumentarlo, per passarlo più acceso
e più luminoso a quelli che verranno dopo ancora... " ("L'Amico
dell'A.C.", maggio 1942 ).
Cosicché, passati gli anni cruciali della guerra, doveva
sorgere, quasi premio a tante dolorose peripezie sopportate con
magnanima fortezza e generosa fede, uno dei giorni più radiosi
che ab- bia conosciuto nella sua vita il nostro venerato
Fondatore. Un gruppo, anche se sparuto, di confratelli e
consorelle che avevano resistito alla prova, (altri avevano
messo mano all'aratro poi lo avevano abbandonato), il Sabato
Santo, 20 Aprile dell'anno 1946, nella devota cappella della
Famiglia, pronunciava insieme con il Fondatore, la Professione
religiosa.
A ricordo di questo grande giorno furono stampate imaginette con
la seguente dedica: CANTIAMO AL PADRE, AL FIGLIUOLO ALLO
SPIRITO SANTO UN CANTICO NUOVO PERCHE o DI GIOIA HA COLMATO LA
NOSTRA CASACOL NOSTRO PADRE E CON LA NOSTRA MADRE SIAMO SALITI
ALL'ALTARE E AL SACRIFICIO DI NOSTRO SIGNORE ABBIAMO UNITO
L'OLOCAUSTO DEI NOSTRI CUORI PER MAGNIFICARE QUAGGIÙ- IN TERRA E
POI LASSÙ' IN CIELO GLI SPLENDORI DELLA BELLEZZA INCREATA
Fu questo un anno di grazia, perché prima che si concludesse,
altre reclute vi iniziarono il loro Noviziato.
Con la pubblica testimonianza di fede e di amore resa a Dio e
alla causa dell'arte liturgica dai primi coraggiosi operai, il
sabato santo dell'anno 1946, la Famiglia Beato Angelico aveva
indubbiamente compiuto un importante passo. Per benevolenza
dell'Arcivescovo Card. A. I. Schuster, il 28 settembre 1942, era
stata inoltre legalmente costituita, con decreto arcivescovile,
Fondazione di culto.
Sbocciato quale tenero virgulto dal tronco vitale della Chiesa,
conserverà i segni delle opere di Dio : umili origini, povertà
evangelica e dedizione talvolta nascostamente eroica.
IL LAVORO IN COMUNITA'
Chi varca la soglia della sede di viale S. Gimignano 19
nell'orario riservato alle attività, potrà osservare il
sollecito andirivieni di persone intente a svolgere un preciso
dovere. Sono collaboratori, allievi, committenti, visitatori,
preti, laici, che vi affluiscono nelle ore stabilite, ma quelle
che maggiormente attirano attenzione per prevalenza di numero
e... di colore, sono le giovani suore azzurro vestite, che
silenziose e solerti, formicolano per tutta la casa. Che fanno?
Svolgono attività artistiche o artigianali nei diversi
laboratori: di disegno, di tessitura, di confezione, di ricamo,
di doratura e argentatura dei vasi sacri; alcune studiano per
diplomarsi o laurearsi; altre sono impegnate nella scuola, o
addette alla amministrazione, alla biblioteca, alla guardaroba,
e a quei compiti attinenti alla psicologia e sensibilità propria
della donna, che comporta una Comunità.
I confratelli, sacerdoti e fratelli laici, li troverete nei
laboratori o uffici cui vengono preposti a seconda della loro
peculiare specializzazione: di architettura, di scultura, di
pittura, di mosaici, di smalti, di arti minori, di tipografia, o
nelle aule scolastiche come insegnanti, tutti impegnati in un
servizio diligente e disinteressato alla Chiesa. Ed è facile
rilevare che l'efficacia e i frutti di una tale operosità sono
in dipendenza della fede che l'ispira e della ubbidienza a un
direttore che ne è il coordinatore responsabile.
Una novità che può benevolmente sorprendere i committenti è
quella di vedersi accompagnati nei laboratori stessi a trattare
direttamente con il responsabile o la responsabile per l'opera
da eseguirsi. Infatti non vi sono magazzini o negozi con molta
scorta di opere, perché la Famiglia Beato Angelico nella sua
Scuola-bottega non produce in serie, ma esegue ogni lavoro volta
per volta, su indicazione anche del committente, salva restando
però la dignità dell'opera per il nobile uso cui è destinata.
Non pochi visitatori che vengono a rendersi ragione
dell'esistenza di questa piccola Famiglia nella Chiesa di Dio,
provano meraviglia e soddisfazione nel constatare come la
multiforme attività possa svolgersi in armonia ed unità di
intenti, così da raggiungere veramente gli scopi che la Famiglia
Beato Angelico si è prefissa e che costituiscono il suo
specifico apostolato. Infatti i diversi settori della produzione
non stanno a sé indipendenti, ma sono idealmente collegati tra
loro, subordinandosi in una stretta collaborazione che
costituisce, possiamo dire, il segreto della riuscita
dell'opera, nella sua completezza.
Ad assicurare tale indispensabile collaborazione e altresì
l'ubbidienza di tutti i mèmbri ad un unico capo che, a guisa di
un direttore d'orchestra, guida e coordina l'attività e le
competenze di ciascuno, onde ottenere il risultato desiderato.
Questo principio importantissimo, fu, se così si può dire, il
"chiodo fisso" nella mente del Fondatore:
"L'ubbidienza nell'opera d'arte sacra diventa di somma
importanza perché non è e non deve essere, e non può essere,
data la sua vastìtà, opera singolare di un maestro, ma dev'essere
una opera composta col concorso di molti, come un concerto nel
quale molti si mettono insieme a suonare, dove ciascuno fa la
sua parte ma sono tutti guidati da un unico direttore il quale
unisce a comporre la grande sinfonia..."
(Fine e scopo della Fam . B. A. ).
Pertanto, allorché viene affidata alla Famiglia Beato Angelico
la costruzione di una chiesa, il confratello architetto, già
nella progettazione dell' edificio sacro, si avvale del
consiglio e tiene conto dell'opera degli altri confratelli
decoratori, artigiani e delle consorelle che, secondo lo spirito
dell' Istituto, sono chiamati a cooperare, nei limiti delle loro
competenze, alla edificazione e al decoro della Casa di Dio. In
tal modo, qualunque siano i posti che i mèmbri occupano,
l'attività di ciascuno si riduce ad una testimonianza di fede
nei valori trascendentali ed eterni, e alla manifestazione agli
uomini della divina Bellezza, nella comune convinzione che il
Bello, splendore del Vero e del Bene, possa ancora aiutare
l'umanità ad elevarsi al di sopra dell'incombente e banale
materialità, fino a trovare e a gustare Dio.
Per riuscire in questi intenti, è ovvio ricordare che, tutte le
opere che escono dai nostri laboratori obbediscono a delle
direttive, in forza delle quali, si devono distinguere dai
prodotti commerciali e dai frutti di un semplice professionismo.
"... L'opera nostra dev'essere solo di collaborazione alla santa
Liturgia. . . Si tenga come fondamento la logica specie
nell'architettura. Non si seguano le mode ma la praticità e su
di essa si costruisca con ar monia. Nella decorazione si cerchi
un tema elevato, grande; si svolga con cultura, con fede e più
dì tutto con amore. Non per danaro ma per l'esaltazione di Dio.
Se si verrà meno alla pietà si perderà la sensibilità
indispensabile per l'opera di arte..." (dal Testamento del
Fondatore ). Ed ancora: ". . Noi non cerchiamo la costruzione di
templi grandiosi e ricchi ma tendiamo a raccogliere in umili
orti conclusi i più delicati profumi dell'amore, noi vogliamo
lavorare nella esposizione fiorita dei fatti evangelici, ma
tendiamo a svelare in ogni episodio della vita del Cristo il
miracolo dell'a- more..." (Dagli scritti).
In questi principi fondamentali è racchiuso possiamo dire, in
sintesi tutto 11 pensiero di Mons. G Polvara circa le
prerogative e la natura della speciale missione che la Famiglia
Beato Angelico è chiamata a svolgere nella Chiesa di Dio.
Missione che alla luce del Concilio Ecum. Vaticano II, risulta
nella sua piena attualità, in quanto risponde alle autorevoli
disposizioni conciliari a proposito dell'arte sacra a servizio
del Culto.
Vivente il Fondatore, egli guiderà con mente illuminata e mano
sicura ogni progettazione, sorreggendo i suoi collaboratori
nelle loro esecuzioni, con la forza del suo zelo appassionato e
convincente. Conscio della sua paterna responsabilità, del
delicato compito e delle vie difficili che si stava battendo,
preferì educare ed istruire Lui stesso i figli della prima ora,
forse, talvolta a scapito di una cultura più generale^
nell'intento di trasfondere in essi, con l'azione formativa,
tutto lo spirito di cui egli stesso era animato.
Appena un soggetto veniva ad aggregarsi alla Famiglia, suo
pensiero era anzitutto di collocarlo, dopo le dovute prove, a
coprire i posti liberi nei diversi laboratori. Non che
disdegnasse gli studi accademici ed universitari,tutt' altro,
tanto è vero che appena fu necessario e possibile non esitò ad
avviarvi i soggetti capaci e quelli che riteneva dovessero, a
suo tempo, prendere le redini dell'Istituto.
Più che convinto dell'apporto della cultura nella formazione
dell'apostolo e nella esplicazione dell'apostolato di bene,
determinò che alla Dirczione generale accedessero i membri
insigniti della dignità sacerdotale. Questi infatti, secondo il
suo chiaroveggente giudizio, accoppiando alla conoscenza delle
varie scienze una profonda cultura teologica e liturgica, nonché
la grazia del Sacerdozio, ne sono i più idonei.
Nel decorso del periodo bellico (1940-45) si erano
inevitabilmente verificati alcuni mutamenti e una riduzione di
attività in qualche settore della produzione.
Alla Scuola Sup. d'Arte Cristiana, il cui numero di allievi si
era alquanto ridotto, si era aggiunto, dietro consiglio e
incoraggiamento delle Autorità Ecclesiastiche, il Liceo
Artistico con programma governativo, nel desiderio di offrire,
in un ambiente sano, una garanzia di serietà di metodi e di
esercitazioni, anzitutto al ceto ecclesiastico e religioso,
nonché ai giovani di buoni costumi che, stimolati da necessità
contingenti, desideravano conseguire un diploma. Secondo quanto
ebbe a dire Mons. Polvara, questo nuovo ordinamento scolastico
per l'apprendimento delle materie artistiche non corrispondeva
però ad un suo ideale, data l'inadeguatezza del programma a
formare l'artista. Proprio in merito al programma dei corsi e
degli esami di maturità di questo Liceo, che nell'anno 1946
aveva ottenuto la parifica, egli diede inizio ad un'audace
polemica, che tramite la rivista "Arte Cristiana", sostenne con
coraggio e valide ragioni, che oggi gli sono riconosciute.
Comunque, attualmente il liceo artistico Beato Angelico è
frequentato da molti allievi dei due sessi; la Famiglia,
interpretando questo fatto come un disegno della Provvidenza, vi
impegna un gruppo dei suoi mèmbri in veste di insegnanti e di
educatori, nel desiderio di contribuire allo sviluppo dei
talenti artistici in coloro che ne sono dotati, ed impartisce a
tutti gli allievi che lo frequentano, i principi dì una
cristiana formazione.
Un altro mezzo di cui la Famiglia Religiosa B. Angelico si
avvale nella esplicazione del suo apostolato è quello
dell'editoria. Sue pubblicazioni ordinarie sono la rivista
mensile "Arte Cristiana" che ha già sorpassato il suo
cinquantesimo anno di vita, e 1' "Amico dell' Arte Cristiana",
con le quali la Famiglia B. A. intende diffondere sani principi
e contribuire alla sincerità e nobiltà dell'arte liturgica. Alle
pubblicazioni di Mons. Polvara, come "Domus Dei", "L'Arte", "II
bello" - trattazione teorico-pratica di principi estetici,
"Architettura razionale ", "Veritatem facientes in Charitate" e
manuali di disegno, si aggiungono, di volta in volta,
interessanti quaderni monografici di "Arte Cristiana", con
importanti temi sull'Arte di Chiesa.
Abbiamo così tracciato il quadro delle attività di cui ferve la
vita della Famiglia Religiosa B. A., logicamente subordinate
alla preghiera, di cui parleremo.
Come è possibile notare, il Fondatore di codesta originale
aiuola nel giardino della Chiesa, sull'esempio di Gesù Maestro,
volle che il piano del suo apostolato comprendesse il Tacere et
decere", vale a dire la produzione e lo insegnamento, affinchè
l'arte, ancella della Santa Liturgia, ritornasse a lodare Dio.
Missione certo non comune nella Chiesa, ma non per questo,
secondaria, se fece dire : "Io chiamo il loro un apostolato
sacro. 11 culto esterno è esso pure una predica ed aderge in
alto le nostre menti ed i nostri cuori, come e forse meglio di
un discorso sacro. La Santa Chiesa riconosce in loro un manipolo
di collaboratori nella preparazione del vero e del bello
divino". (Card. Tosi, 23-2-1928).
Se la Famiglia Beato Angelico non esistesse la fonderei io e
sarebbe per me una grande gloria " ( Card. A. Schuster ).
"... Voi Ci offrite l'occasione di lodare la vostra sorte di
allievi, di eredi, di continuatori del compianto vostro padre e
maestro; e questo facciamo tanto più volentieri quanto meglio Ci
è nota la duplice vocazione, fusa in un solo amore, che sostiene
ciascuno dei mèmbri della Famiglia spirituale Beato Angelico,
quella religiosa e quella artistica. Dio vi benedica, Figliuoli
carissimi. La vostra elezione merita per se stessa venerazione e
simpatia; illustrata poi dalla dedizione che fa del servizio
all'arte religiosa il programma della vostra vita, e comprovata
dalla qualità degna e significativa dei risultati del vostro
lavoro, essa si pone tra i fenomeni autentici del mondo
artistico, perché ne esalta l'eccellenza, ne sviluppa le
funzioni, ne suscita le speranze..."
(S.S. Paolo VI, dal discorso in occasione dell'udienza del
20-2-6S).
LA VITA LITURGICA
"Orando labora". "Dobbiamo lavorare pregando" fu la classica
esortazione del Fondatore. Nei suoi discorsi e nei suoi scritti
è insistente il ritorno sulla necessità della preghiera intensa
e profonda che metteva come condizione "sine qua non" della
bontà delle opere dei suoi seguaci in quanto religiosi, ma
altresì in quanto chiamati, secondo la missione propria della
Famiglia, a tradurre in realtà sensibili, cioè in immagini, i
misteri della santa Religione.
Non si può dare se non ciò di cui il cuore è pieno. La
consapevolezza della nobiltà nonché delle difficoltà di un tale
compito, induceva Mons. G. Polvara a rifuggire da ogni
faciloneria e lo impegnava ad approfondire la Sacra Scrittura,
la dottrina dei Padri e la S. Liturgia, per attingervi luce e
consiglio, e ciò faceva abitualmente e con vera edificazione da
risultarne uno degli aspetti più salienti della sua personalità.
Infatti era ritenuto un pensatore, uno che "meditava sempre".
Questa esigenza del suo grande spirito giustamente la propose
anche ai suoi figli in uno dei suoi scritti : "... In questo
(nostro) cenobio dobbiamo lavorare a perfezionare sempre più gli
schemi della Casa del Signore, nella più ampia conoscenza della
Liturgia della Santa Chiesa, nella comprensione del suo pensiero
fino a poterlo tradurre nella Domus Dei più vitale, più
affascinante, fino a leggere il Santo Vangelo non appena nei
fatti e nelle parole materiali, ma nella visione del divino che
quei fatti e quelle parole sempre rappresentano. Tutti i
confratelli e le consorelle che lavorano insieme non devono
vedere, per esempio, la moltiplicazione dei pani e dei pesci,
come un semplice portento sopra la natura sensibile, a sfamare
uomini affamati di pane materiale, ma anche il portento più
grande di sfamare i loro animi, i loro cuori con la parola di
Dio, ma ancor più a sfamarli totalmente nel bisogno
soprannaturale della incorporazione con Cristo nella visione di
Dio.....". Ed ancora : "... Dobbiamo riempire la giornata di
sguardi a Dio con l'aluto della Vergine, degli Angeli, dei Santi
per rendere la nostra vita e le nostre opere una continua
comunicazione con Dio..." (Dagli scritti).
Vero sacerdote di Dio e degno ministro della Chiesa, celebrava i
sacri misteri con un fervore intenso e viva partecipazione che
commoveva e trascinava. Per questa sua pietà genuina, schietta e
profonda non ritenne necessario comporre, e tanto meno
raccogliere in fascio, come hanno fatto diversi fondatori, delle
formule di preghiera da destinare, come manuale di pietà, alla
sua Famiglia. Escludeva l'accessorio dispersivo, i formular!, le
"preghierine zuccherate" che favoriscono il sentimentalismo, e
volendo assicurare una impostazione solida alla pietà dei suoi
religiosi e delle sue religiose, scelse la preghiera della
Chiesa.
Cultore e difensore dell'arte sacra a servizio del Culto, lo era
necessariamente anche della S. Liturgia al cui spirito affidava
la vera rinascita cristiana ed artistica. Infatti Mons. G.
Polvara è riconosciuto come uno dei più tenaci assertori di un
ritomo alla Santa Liturgia, in difesa della quale affrontò
dibattiti e lotte 11 cui valore forse solo oggi, periodo
postconciliare, è compreso e rivendicato. Questo grande amore
per la Liturgia lo spronò anche a comporre il romanzo di "Aurea
e Pipino", forse come pretesto per far comprendere e amare le
funzioni liturgiche che diligentemente vi sono descritte, e la
conoscenza dei santi Sacramenti della Chiesa Cattolica, che
accompagnano l'uomo lungo tutto il suo pellegrinaggio terreno.
Romanzo quindi assai formativo, ma che per la repentina morte
dell'Autore, è rimasto interrotto. (1)
Nota
1) il romanzo è stato pubblicato a puntate su 1' "Amico
dell'Arte Cristiana"
Fine nota
"Con la Liturgia celebrata devotamente con spirito di fede e di
amore alimentiamo la mente e il cuore e riceviamo le ispirazioni
per lo studio e l'attuazione delle opere d'arte sacra". ripeteva
con tanta convinzione ed insistenza.
Per questo, secondo il grande piano dal Fondatore intensamente
desiderato, la preghiera liturgica occupa il posto d'onore nella
vita della Famiglia religiosa Beato Angelico. Tutti i suoi
mèmbri ne iniziano la celebrazione con le Lodi (Mattutino nei
giorni festivi), la prolungano con la Santa Messa e la recita
delle Ore canoniche dell'Ufficio Divino nel tempo assegnato, e
la concludono al termine della giornata con la preghiera di
Compieta.
Nelle diverse ore del giorno la cappella risuona di voci e di
suoni ; sono i confratelli e le consorelle che, interrotta ogni
possibile attività; si raduna- no per 1' Ufficiatura, mediante
la quale elevano alla Trinità S.S. la lode divina.
Volendo assecondare l'aspirazione del suo Fondatore, la Famiglia
B.A. dovrebbe diventare scuola di liturgia, beninteso una scuola
pratica che insegni attraverso la celebrazione delle sacre
funzioni, in cui siano rispettate le rubriche, ma dove
soprattutto si esprima la vera adorazione che la creatura umana,
intelligente e responsabile deve al suo Dio, anche ad
edificazione ed ammaestramento dei fratelli.
Occorre ancora notare che, secondo un'espressione cara al
Fondatore, nella Famiglia B A., preghiera e lavoro vengono a
fondersi armoniosamente in una ininterrotta "Laus gloriae".
Proprio in questo si vede configurata la spiritualità dei suoi
religiosi che, per alcuni aspetti, risulta affine a quella
benedettina, tanto apprezzata e gustata da Mons. Polvara. E ciò
in forza della funzione dell'arte di cui i mèmbri della Famiglia
si occupano, la quale, scrive il Fondatore - "non può essere che
preghiera, espressa in forma di bellezza. E' arte
l'architettura, la pittura, la scultura, la poesia, la musica, e
tutte diventono sacre quando esprimono preghiera; sia essa lode,
domanda, ringraziamento, o anche semplicemente manifestazione
della verità..." (A.C 1948 P. 51).
Una tale concezione dell'arte sacra non può scadere, come oggi
non pochi sono tentati di credere, senza che perda o travisi la
sua alta finalità di servizio alla Chiesa e di edificazione del
Popolo di Dio. A riconfermare questa tesi sono le disposizioni
del Concilio Vaticano II, e il discorso autorevole che il S.
Padre Paolo VI rivolse il 20 Febbraio 1965 alla Famiglia B. A. e
ai suoi collaboratori, allievi ed amici, durante l'udienza
benevolmente concessa per commemorare il quindicesimo
anniversario della morte del Fondatore:
"...inserite la vostra arte, l'opera vostra, la oblazione del
vostro genio e del vostro lavoro nel grande ciclo della
preghiera della Chiesa, nella sacra Liturgia; entrate nello
spirito e nella finalità della solenne Costituzione conciliare
che la riguardano; troverete un posto che vi impegna a fondo e
che esalta, accanto a quello del Sacerdote e a vantaggio di
tutto il popolo di Dio, il vosro regale servizio" (2).
Nota 2
2) Chi volesse conoscere per intero tale discorso, lo trova nel
fascicolo supplementare al nro 527 di "Arte Cristiana".
Fine nota 2 In codesto servizio e nella piena comunione con la
Chiesa, le feste liturgiche assumono una particolare solennità
nella Famiglia religiosa B. A. che si imbeve dello spirito per
assimilarlo onde diffonderlo, attraverso la vita e le opere,
agli altri fratelli.
In ordine di solennitaà, alle tré classiche feste dell'anno
liturgico del Natale, della Pasqua e di Pentecoste, presso la
Famiglia Religiosa B. A. segue quella della Trasfigurazione di
Gesù sul Monte Tabor, che Mons. Polvara, nel suo finissimo
intuito, destinò quale festa Patronale della sua Famiglia.
Davvero non poteva scegliere un Mistero che fosse, come questo,
in piena, felice sincronia con la nostra vocazione.
Contemplata aliis (radere", è secondo S. Tommaso, l'essenza di
ogni apostolato, ma starei per dire, che ancor meglio si addice
alla missione affidata alla Famiglia B. A. Questa infatti
predicherà con le sue chiese, con i suoi dipinti, con le sue
statue, con i suoi arredi o paramenti, non tanto perché
perfezionata nelle scienze e nelle tecniche umane, ma
soprattutto perché i suoi religiosi si rendono costantemente
spettatori della Divina Bellezza.
Come ci awerte S. Pietro, uno dei privilegiati con Giacomo e
Giovanni, in un passo della sua lettera che si legge nella festa
della Trasfigurazione:
"... non per aver seguito argute dottrine vi abbiamo annunciato
la grandezza di Gesù e la Sua venuta, ma perche fummo spettatori
del Suo splendore.. mentre eravamo con Lui sul monte santo ..."
Felice coincidenza! Ricorrendo la bella festa il 6 Agosto, viene
celebrata ogni anno, presenti le due comunità, nella vetusta
basilica, preziosa reliquia di un monastero benedettino, di S.
Pietro al Monte Sopra Givate, ove si trascorrono i mesi estivi
in turni di vacanza. Inutile dire che in questo sacro luogo, la
millenaria testimonianza di fede e di arte del suo monumento e
la stupenda circostante natura, rendono più sentite e suggestive
le straordinarie funzioni liturgiche.
Questa Basilica con l'abitazione annessa, venne fatta restaurare
con gravi sacrifici da Mons. Polvara, e con il contributo di
alcuni amici, tra cui Sua Em. il Card. Schuster che nell'anno
1947 volle onorarla di una Sua visita, salendovi a consacrare
l'altare.
Ancora a proposito di celebrazioni liturgiche, torna qui
opportuno ricordarne due eccezionali ed indimenticabili che
onorarono l'Istituto e furono di grande consolazione al
Fondatore : le ordinazioni diaconale e sacerdotale del
confratello Don Valerio Vigorelli, (che gli doveva succedere
dopo Mons. Bettoli, nella
direzione
generale della Famiglia) avvenute rispettivamente l'I gennaio e
l'il maggio dell 'anno 1947, per le mani del Vescovo consacrante
Mons. Domenico Bernareggi, Ausiliare di Milano, e per benevola
concessione dell' Em.mo Card. Schuster.
Il grande avvenimento, di cui sono normalmente testimoni le
grandi cattedrali, venne inteso come un segno di predilezione e
di approvazione dell'Autorità Ecclesiastica nei confronti della
piccola Famiglia religiosa, ovvero un premio e uno stimolo per
queir amore alla S. Liturgia in cui fin d'allora si distinse.
GLI INCONTRI PERIODICI DEL FONDATORE CON LE COMUNITA'
E' lecito pensare che tutti i religiosi del mondo siano
dell'avviso di ritenere inestimabile fortuna l'aver vissuto a tu
per tu con il proprio Fondatore. E ciò per diverse ed ovvie
ragioni.
Mons. Polvara, nonostante i suoi molteplici impegni, non
trascurò nei riguardi dei suoi religiosi gli incontri
individuali quando se ne faceva richiesta o ne vedeva la
necessità e quelli settimanali con le due distinte comunità.
In questi ultimi specialmente effondeva la piena dei suoi
sentimenti, puntualizzando situazioni, preoccupazioni,
necessità; richiamando, ammonendo esortando tutti ad un impegno
fedele ai propri doveri, inteso come immolazione a Dio e
contributo al progresso nel bene della Comunità.
Come succede a tutti i Fondatori di opere sante, anche il nostro
- abbiamo già avuto modo di dirlo - conobbe guai,
incomprensioni, lotte senza fine, i quali per la sua estrema
sincerità ed apertura, diventavano negli incontri con le
Comunità, oggetto di discussioni, di considerazioni e persino di
meditazioni. Chi, tra coloro che vi parteciparono, non ricorda
l'insistente ritomo su un fatto accaduto, buono o cattivo che
sia, per trame ammaestramento? Non sapeva far mistero su nessuna
cosa e con nessuno. Se c'era un errore da correggere o un'idea
da raddrizzare, specialmente tra i suoi discepoli, lo faceva
senza frapporre troppa morbidezza di modi e lassi di tempo. Era
un modo di educare anche questo, forse pedagogicamente
sorpassato, ma per diversi aspetti ancora positivo. Infatti
correggeva, non offendeva, ne deprimeva. D'altra parte era tanto
l'orrore che provava di fronte alla incoerenza o all'ipocrisia,
che gli era impossibile sopportarla senza indicarla e
sbarazzarla al più presto.
Voleva che la verità trionfasse su ogni cosa, pur sapendo che
essa talvolta "odium parit".
Con lo stesso ardore con cui amava Dio, la Chiesa, la Liturgia,
lo splendore dell'arte e gli amici, egli insorgeva contro
opposizioni dottrinali, culturali, slealtà, senza alcuna paura.
Sia ben inteso, egli mirava a colpire e a debellare l'errore non
l'errante, eccetto che ciò non fosse richiesto per un bene
maggiore. Questo suo modo d'agire, apparentemente impulsivo, mai
però inconsiderato, potè lasciare in qualcuno, è il caso di
dirlo, non sempre ottima impressione, e di questo se ne doleva
fino ad abbassarsi a riparare.
"Ma in compenso, quanta lealtà in lui, quanto senso di
giustizia, quanta rettitudine di intenzione, quanto disinteresse
"attesta nei suoi riguardi il Rev.mo Mons. Cesare Dotta che lo
conobbe in profondità ( "A .C .", 1950, pag. 23). Virtù che
tutti gli hanno riconosciuto e che nei colloqui con i suoi figli
trasparivano, oltrepassando la scorza che le celava.
Rileggendo i verbali su cui venivano annotati questi incontri
del Fondatore con le comunità, c'è molto da imparare nel
rilevare come egli fosse stato sollecito a promuovere il bene
comune e del singolo, insistendo sulla pratica della fede, della
speranza, della carità divina e fraterna, vincolo di perfezione,
e sulla umiltà, fondamento di ogni virtù. Benché portato dalla
sua abituale elevatezza di pensiero, a conversazioni più che
umane, spirituali e soprannaturali, non mancava tuttavia, di
tanto in tanto, quando la sua squisita sensibilità gliene faceva
intuire la opportunità, di fermarsi in suggerimenti di indole
pratica e concreta, al pari di un padre buono che trepida per i
propri figli.
Naturalmente gli argomenti più trattati nei suoi colloqui con le
comunità, non potevano essere che quelli riguardanti lo spirito,
le virtù e l'osservanza della disciplina religiosa. Quasi
presago della sua prematura dipartita, ve le inculcava
spiegandone il valore e la necessità con argomentazioni ricche
di unzione divina. Ci parlava del nostro ideale con un tale
entusiasmo e fervore da sbarazzare ogni perplessità in chi fosse
ancora dubbioso della sua importanza. L'arte sacra poi, intesa
come mezzo di glorificazione di Dio, trovava posto anche nelle
più disparate conversa- zioni.
In questo modo, senza darsene Paria, impartiva al suoi seguaci
sagge ed importanti lezioni.
Fino agli ultimi istanti della sua laboriosa esistenza terrena,
lo si vide preoccupato di lasciare ai suoi eredi quelle solide
convinzioni da lui stesso acquisite attraverso un diuturno
travaglio ed incessante studio, che costituirono le basi del suo
operato e che riteneva indispensabili perché l'ideale che loro
affidava si sviluppasse e si perpetuasse nel tempo.
Risuonano ancora chiare alle orecchie le ultime raccomandazioni
fatte sul letto di morte, ora raccolte nei "Ricordi" : "...
Vigilate sempre perché lo spirito del mondo e del demonio non
entri in voi. Godete di appartenere alla bella famiglia che è la
Chiesa. Amate la santa vocazione che avete ricevuto quale dono
prezioso da Dio. Lavorate per l'Istituzione, fate che in essa
fiorisca lo spirito benedettino, e che con questo spirito duri
possibilmente in eterno. Io - aveva detto - non avrei finito,
vedo ancora tante cose da fare, ma se il Signore desidera che io
muoia, offro la mia vita per il bene della Istituzione... ".
Dichiarazioni queste che bastano da sole a rivelare la statura
morale e spirituale del Venerato Fondatore, e lo spirito di
assoluta dedizione con cui servì la santa causa ed amò la sua
Famiglia religiosa.
VICENDE ISTITUZIONALI E ORGANIZZAZIONE GERARCHICA
Nel ricordo di quei memorabili incontri con il Fondatore,
risulta che poche volte si sia intrattenuto su questioni
giuridiche riguardanti la forma da dare alla Istituzione. La sua
cristallina semplicità forse non gli faceva supporre la
complessità delle prassi incluse nel Codice di Diritto canonico,
e le molteplici pratiche che si sarebbero dovute espletare,
anche nel caso di Istituti religiosi, prima di ottenere un
riconoscimento legale.
Mons . Polvara era di quegli uomini superiori, che in tutte le
cose mirano all'essenziale e vi tendono tenacemente, senza
troppo preoccuparsi dell'accessorio. E l'essenziale non era
forse stato raggiunto con la pubblica consacrazione a Dio di un
drappello di anime che, abbandonando tutto, si erano messe al
seguito di Gesù, per meglio glorificarlo e servire la Sua
Chiesa? Risulta comunque indubbiamente inequivocabile che Mons .
G. Polvara abbia preferito per la sua Famiglia la forma di
Congregazione religiosa. Ad attestarlo sono i suoi scritti e
tanti particolari, quali l'Ufficiatura divina, la vita comune,
l'abito religioso, cose che mai si pentì d'aver imposto, sebbene
sotto certi aspetti, secondo alcuni, poterono sembrare
inconciliabili con il genere di apostolato, proprio della
Famiglia B. Angelico. Non mancò chi, nel desiderio di
facilitargli la strada per l'approvazione canonica, consigliasse
al Fondatore di piegare verso una forma più moderna, più sciolta
come l'Istituto Secolare, ma egli, nonostante la prospettiva di
una più sollecita approvazione, dopo aver presa visione della
Costituzione "Provvida Mater" relativa agli Istituti secolari, e
le opportune riflessioni, dichiarò che essa non si addiceva alla
spiritualità della sua Istituzione. Ed è facile ormai intuirne i
motivi. La lunga esperienza l'aveva fermamente convinto che la
forma di vita comunitaria, di preghiere e di opere, quasi
cenobitica, era quella che meglio rispondeva alle fondamentali
esigenze della missione della Famiglia religiosa, come già,
negli appunti della presente storia, è stato dimostrato.
Occorreva ormai prepararne le Costituzioni: nessuno si meravigli
nello apprendere che Mons. G. Polvara non vi riuscì. Non è raro,
del resto, il caso di fondatori che muoiono prima di aver
compiuto questo dovere. Aveva stilato un "Regolamento
spirituale" ricco di elevati consigli, importante, ma non
sufficiente.
La competente Sacra Congregazione dei Religiosi richiede che
ogni Istituto nascente compili un "elenco di norme" o adotti una
Costituzione già approvata, che ne regoli la vita, in tutti i
suoi aspetti: spirituali, sociali, patrimoniali, in conformità a
delle leggi relative allo stato religioso, contenute nel Codice
di diritto canonico.
Ma l'anima d'artista di mons. G. Polvara amava la disciplina
religiosa, e la praticava con spontaneità e naturalezza, senza
studiarne il codice; lasciò 1' "improba fatica" ai successori, i
quali, dopo laboriosi tentativi, la portarono a termine.
Finché visse il Fondatore, anche l'organizzazione interna non
diede pensieri.
La sua autorità, forte ed indiscutibile, si estendeva su tutti i
campi, forse escluso quello amministrativo, nel quale si
avvaleva di esperti collaboratori.
E' qui doveroso ricordare con gratitudine la disinteressata,
preziosa prestazione, prima come amministratore, e poi come
Presidente, del Comm. Umberto Bonetti, che da anni segue lo
sviluppo dell'Istituzione, presiedendo, con la sua rara
competenza, alla amministrazione patrimoniale della Famiglia.
Egli, nella successione di tempo, è il quarto dei Presidenti che
sono stati a capo della "Fondazione di culto Beato Angelico", e
precisamente: N. Gr. Uff. Biagio Gabrardi, Gr. Uff. Aw. Cunietti,
On. Tommaso Zerbi ed attualmente il Comm. Rag. Umberto Bonetti.
Dopo la prima professione religiosa, il Fondatore ritenne però
necessario scegliere una supcriora da destinare alla Comunità
femminile e, d'accordo con le consorelle, la trovò nella Madre
Pierà Salina che, per molti anni, aveva svolto egregiamente la
funzione delicata di segretaria del Fondatore stesso, dal quale
meritò la massima fiducia per le sue belle virtù e per il
sostegno morale che gli seppe dare anche nei momenti più
cruciali della vita della Famiglia.
In seguito designò un confratello e una consorella, come maestri
dei rispettivi noviziati, al quali demandava, con piena fiducia,
la formazione delle giovani reclute.
Convinto com'era della necessità di far precedere alla
Professione religiosa un periodo di prova ed una solida
formazione ascetica, si preoccupò sollecitamente di procurarne
le Case in località adatte, dove la preghiera e la ricerca
assoluta di Dio, fosse facilitata anche dall'ambiente. Destinò
pertanto al Noviziato maschile la residenza di S. Pietro al
Monte, sopra Givate, con i suoi sacri monumenti e la sua solenne
solitudine, mentre nutrì il sogno di far sorgere quella
destinata al Noviziato femminile, sulla riva del suo bei lago,
nel territorio di Cariate. Infatti comprò il terreno, ma alla
sua morte, per varie ragioni, si desistette da tale progetto; ed
in seguito alla buona offerta di una antica villa, con giardino
e bosco, in Givate, si decise per questa. Oggi la vecchia e
diroccata casa, dopo un totale restauro, ha raggiunto
l'efficienza di una confortevole abitazione, in clima salubre, e
con una vista incantevole, dimora ideale per anime che vogliono
trovare Dio.
Ma purtroppo Mons. G. Polvara doveva vedere la realizzazione di
questi bei sogni dal cielo, dove il Signore lo chiamava.
LA MORTE DEL FONDATORE
L'intrepido operaio del Signore ancora nella piena attività
veniva chiamato dal Padrone a ricevere la sua mercede.
Mons. G. Polvara per quello zelo che lo spingeva al sacrificio
totale di sé, a glorificare Dio, a servire la Chiesa e a
preparare una strada luminosa al suoi discepoli, dimenticava di
avere un corpo che lentamente ma inesorabilmente subiva l'usura
de] tempo e delle continue fatiche, e che negandogli
l'indispensabile sollievo, si appressava ali' ultima tappa della
sua corsa.
Troppo aveva insistito in un'attività che non conosceva tregua.
Si diceva che dormisse pochissimo per impiegare anche le ore
notturne nella preghiera e a scrivere articoli per la rivista
"Arte Cristiana". Inoltre le tribolazioni di ogni genere, fedeli
compagne del giusto, che in esse e per esse, come l'oro nel
crogiolo, si raffina dalle scorie, non avevano cessato di
premere sul suo povero cuore. Evidentemente il divino Artefice
col bulino del dolore voleva dare all'anima sua gli ultimi
tocchi che ne completassero la bellezza.
Infatti poiché sapeva Mons. G. Polvara che ogni grazia
scaturisce dalla Croce e che ogni apostolo vede benedetta la sua
opera in quanto è segnata dalla Croce, si disponeva, in un
crescente abbandono, ad offrire in unione col sacrificio di
Gesù, l'ostia di una sempre più perfetta adesione alla santa
Volontà di Dio.
Giunse il pomeriggio del sette febbraio dell'anno 1950.
Un indefinibile malessere obbligò Monsignore a mettersi
finalmente a letto; il medico consultato ordinò assoluto riposo:
più avanti ci venne dichiarato che si trattava di un infarto
cardiaco.
Nessuno pensava alla repentina catastrofe.
Nonostante le assidue cure prestate dal medici e dalla Rev.da
Madre Supcriora, coadiuvata da una consorella infermiera,
l'ammalato peggiorò.
Si raddoppiarono le suppliche per intercedere da Dio la grazia;
ma al Padrone assoluto premeva attirare a se il suo servo
fedele.
Monsignore soffriva tanto e le sue condizioni fisiche si
aggravavano ogni giorno; il suo sguardo profondo e chiaro si
velava di malinconia.
Per maggior prudenza venne trasportato in una cllnica onde
sottoporlo a più accurati esami, e i1 caro infermo lasciò la sua
casa con quel tremore che prova una mamma quando lascia i propri
figli.
In cuor suo però non era morta la speranza di un ritomo più
felice.
Ma purtroppo gli esami cimici confermarono le gravita del male.
Intanto la bella anima del Fondatore, sotto le morse di un
atroce dolore, si affinava cercando di avvicinarsi sempre più a
Dio per essere pronta nell'ora dell'eterno incontro. Nell'animo
suo si susseguivano alternative di timore e di fiducia, che poi
si fondevano in una pacifica disposizione di assoluto abbandono.
Quando, per l'asprezza del male, gli usciva dalle labbra qualche
involontario lamento, e noi ci offrivamo a dividere la sua
sofferenza, egli subito soggiungeva che non ne avrebbe dato a
nessuno perché, chi più ha peccato, più deve soffrire. Come si
vede, 1 capisaldi della sua vita inferiore, fede ed umiltà, sul
letto del dolore si ingigantivano. E - santa ingiustizia delle
anime grandi - egli che davanti ai bisogni degli altri
raccomandava non si facesse economia alcuna, si doleva di
vedersi di peso alla Comunità, ricoverato in cllnica e con la
degenza da pagare.
Intanto la notizia della sua grave malattia, fece accorrere al
suo capezzale, per benedirlo, per testimoniargli l'imperitura
amicizia e gratitudine, Sua Emza il Card. Schuster, Sua Ecc.za
il Vescovo Bemareggi, Mons. Cesare Dotta, suo intimo amico,
Mons. Leoni, Mons. A. Aidè, Mons. Bossi e tante altre persone
che lo avevano amato e stimato. Queste visite lo commovevano
fino alle lacrime, tanto che i medici le proibirono.
La rev.da Madre Supcriora, fortunata testimone dei suoi ultimi
giorni, attesta come Monsignore, ormai stremato di forze,
sapesse raccoglierle per offrire a Dio incessanti preghiere e
atti di profonda umiltà. Così a mano a mano che si avvicinava
verso l'eternità, questo duplice sentimento di umile compunzione
e di amore confidente che sempre regolò la sua vita interiore,
si affermava con maggior forza e precisione.
Venne il giorno in cui i medici curanti dichiararono che la
scienza
umana
era ormai impotente a salvarlo: Gli furono pertanto amministrati
gli ultimi sacramenti che ricevette con edificante amore: solo
pochi furono testimoni di questi sublimi momenti, mentre il caro
Padre morente cercava con lo sguardo la presenza di tutti i suoi
figli. L'indomani il venerato Fondatore faceva ritomo alla sua
casa ma solo per passarvi gli ultimi istanti, per benedirla con
l'estremo dolore e per deporre nei cuori dei figli e delle
figlie le più illuminate e preziose esortazioni, confermandoli
nell'amore all'ideale abbraccio.
Lo schianto di un dolore indicibile infieriva negli animi dei
discepoli, dei parenti e degli amici che seguivano atterriti le
fasi della malattia: nessuno riusciva a stare lontano dal suo
letto diventato cattedra ed altare.
La biblioteca, adibita a camera, accoglieva le ultime voci, gli
ultimi aneliti di una vita nobilmente spesa per la maggior
gloria di Dio. E noi assistevamo alla morte di un giusto. Finché
il suo cuore ebbe palpiti, la mente fu quasi sempre lucida; solo
brevi assopimenti interrompevano la sua piena coscienza. Cercava
Dio, si affidava alla Santa Vergine, invocava San Giuseppe.
Pianse quado comprese che pur essendo domenica, giorno del
Signore, gli si impediva di celebrare la S. Messa; chiese il
messale perché gli si leggesse il brano del Vangelo della
domenica; letta che fu la parabola del buono e del cattivo
seminatore, disse: "Ebbene, anche in mezzo a noi ci fu chi
seminò la zizzania, però forse involontariamente, ed io perdono
con tutto il cuore".
L'ardore della sua vita interiore non si spegneva come le sue
forze fisiche.
Fino all'ultimo istante sentì la responsabilità verso quel figli
che stava per lasciare con un avvenire avviato ma non ancora del
tutto definito. Cercava allora la Rev.da Madre Supcriora che da
tanti anni condivideva esperienze e prove, per affidarle la
preziosa eredità, imponendole di confidare con coraggio nella
divina Provvidenza, e a non desistere dalla via intrapresa. E
noi tutti, inchiodati da una forza superiore, al letto del Padre
morente, si costatava come la morte del giusto non sia davvero
distruzione, ma un transito, doloroso sì ma pieno di confidente
speranza, da una patria provvisoria alla vera, definitiva degli
eletti. Monsignore ci fissava con compassionevole tenerezza e
con lo sguardo ancora penetrante raccomandava a ciascuno degli
astanti, quello che con la parola non poteva più dire.
Verso le dieci del mattino del 20 febbraio, dopo aver ribaciato
con appassionato amore il Crocifisso, l'amatissimo Fondatore
della Famiglia religiosa Beato Angelico, esalava l'ultimo
respiro: la sua bell'anima, dopo una vita edificante e una morte
santa, lacerato l'involucro mortale, volava a Dio.
Inutile dire con quale angoscia dovettero arrendersi i suoi
figli e le sue figlie alla triste realtà.
Appena fu diffusa la dolorosa notizia, giunsero da ogni parte
commosse dimostrazioni di vivissimo cordoglio alla Famiglia
religiosa colpita dal grave lutto. La cara salma, rivestita dai
sacri abiti, venne collocata nel salone principale adibito a
camera ardente, ove una sempre numerosa folla di sacerdoti,
religiose e persone di ogni ceto, affluiva a venerare le spoglie
di colui che nella sua vita terrena non aveva fatto che del
bene.
Tutti passavano in raccoglimento a fissare ancora una volta il
volto, ora più che mai sorridente. Tra i visitatori, molti
pregavano, tanti piangevano e si appressavano a toccargli, quale
sacra reliquia la candida mano, come se da quel contatto dovesse
uscire una forza nuova, confortatrice.
Prima che le venerate spoglie partissero dalla sua casa, il
Confratello Don Valerio Vigorelli, sulle cui spalle doveva
cadere buona parte del grave peso, volle che tutta la comunità
inginocchiata intorno alla salma, facesse solenne promessa al
Fondatore, che ormai ci assisteva dal cielo, di mantenersi
fedele agli insegnamenti e alle direttive che ci lasciava, quale
preziosa eredità, per la continuazione della Istituzione.
Dopo due giorni la salma veniva accolta con altrettanta
dimostrazione di stima e di dolore, nella perinsigne Basilica di
S. Ambrogio di Milano, essendo stato Mons. Polvara per tanti
anni decano del Capitolo. Qui vennero celebrate con grande
solennità e commozione dai rev.ml Canonici le funzioni dei
morti, accompagnate dal canto di uno stuolo di chierici del
Seminario maggiore, presso il quale il Fondatore lasciava il
ricordo del suo chiaro insegnamento e della sua passione per lo
splendore del Vero e del Bello nella Casa di Dio.
1 funerali riuscirono, inaspettatamente, quasi un trionfo. Tra
le file dei dolenti non mancarono anche coloro, che
involontariamente, gli avevano procurato dolori e sofferenze.
Terminata la commovente Liturgia, il corteo funebre prese la via
per Malgrate e nella cappella della famiglia Polvara di quel
cimitero, venivano provvisoriamente tumulati i resti mortali
dell'indimenticabile uomo di Dio, pioniere di una importante,
prossima rinascita nella Chiesa.
Diversi giornali, con articoli elogiativi, annunciarono la grave
perdita che il mondo cattolico subiva con la scomparsa di
Mons.Giuseppe Polvara. Anche il Comune di Milano a Palazzo
Marino ne commemorò la dipartita.
Il Fondatore della Famiglia Beato Angelico è scomparso, ma la
sua personalità sopravvive su questa terra, così come
sopravvivono coloro che, consacrati a Dio e ad un nobile ideale,
li hanno generosamente serviti.
OGGI E DOMANI
La prematura scomparsa di Mons. Giuseppe Polvara, fondatore ed
animatore dell'Opera, se non arrestò dal procedere verso la sua
rotta la Famiglia Religiosa "Beato Angelico", ne rese però più
titubante e difficoltoso 11 cammino.
Gli anni che seguirono sottoposero a nuove prove i mèmbri delle
due Comunità. Non poteva certo risultare facile aprirsi a nuove
prospettive che gli eventi stessi proponevano, timorosi come si
era di transigere da certe posizioni ritenute sino allora
irremovibili, e trovare un accordo alle molteplici voci di un
governo interno decentrato, divenuto ormai necessario, dopo anni
di pacifica sottomissione all'unica ed incontestabile autorità
del Fondatore.
A succedere a Mons. G. Polvara era stato eletto nell'anno 1950
il Rev.mo Don Giacomo Bettoli, zelante sacerdote ed architetto,
che sin dall'anno 1921 aveva aderito al nascente movimento in
favore dell'arte sacra in Italia, collaborando con passione e
fedeltà a fianco di Mons. Polvara, per l'affermazione della
Scuola Beato Angelico e del suo apostolato.
Egli, benché meritevole di succedere a colui con il quale per
tanti anni aveva operato e patito, misurandosi con la forte
personalità del predecessore, si dichiarava impari al grave
mandato. Ma era la volontà di Dio ad affidargli in frangenti
assai delicati le redini della giovane Istituzione. Ciò bastò
perche accettasse. Così Mons. Giacomo Bettoli che nel febbraio
dell'anno 1958 veniva nominato cameriere segreto di Sua Santità,
con senso di responsabilità e malcelata trepidazione, resse per
sette anni le sorti della Farmiglia religiosa e della Scuola,
sino a quando, per l'accumularsi degli anni sulle sue spalle,
decise di dimettersi dalla gravosa carica. Tra i meriti che gli
sono stati riconosciuti, due hanno avuto tanta importanza per la
continuità della Istituzione:
1) Quello di aver coraggiosamente affrontato e risolto il
problema della
improrogabile
qualificazione artistico - culturale dei membri più giovani
della Comunità, problema che si era alquanto acuito dopo la
scomparsa del Fondatore.
2) Di aver aperto il problema dello sviluppo edilizio che ha
reso possibile al suo successore, dopo una fase di vera
austerità economica, di lanciare la iniziativa di successive
costruzioni ed ammodernamenti di quelle già esistenti.
Alcuni avvenimenti nuovi per la giovane Istituzione, che
sottoposero a serio vaglio la sua consistenza, se da una parte
creavano disagi, dall'altra favorivano ai mèmbri una presa di
più cosciente responsabilità nei riguardi dei loro impegni in
seno alla Comunità e dell' ideale abbracciato.
Nessuno si meraviglierà di un fatto, che mi pare giusto rilevare
per non mancare di obiettività, e del resto riscontrabile anche
tra le più stimate società; voglio dire del verificarsi dello
scontro di tendenze contrastanti, ancorché lodevoli, tese a
salvaguardare i diritti inviolabili di una tradizione, o a
cogliere le voci ed i problemi particolari del tempo per
adeguarvisi con innovazioni anche ardite.
E' un fatto normale, necessario direi, in quanto proprio dalla
confluenza equilibrata, non esorbitante, di più tendenze, può
nascere un giusto e fecondo equilibrio operativo.
Tale tensione, apparentemente forse inopportuna ma inevitabile e
comprensibile, caratterizzò, si può dire, il periodo succeduto
alla morte del Fondatore.
L'otto giugno dell' anno 1958, Sua Em.za il Card. G. B. Montini,
Arcivescovo di Milano, nominava Direttore generale della
Famiglia Religiosa "B. A-" il confratello Don Valerio Vigorelli,
che veniva poi riconfermato in tale carica nelle successive
elezioni capitolari, ed è tuttora.
Il Rev.mo Mons. Ferruccio Bizzozero, rettore del Seminario del
Duomo milanese, nell'anno 1956 era stato designato, da Sua Em.za
l'Arcivescovo Card. G.B. Montini, come protettore ecclesiastico
della Famiglia Rei. Beato Angelico. Già in antecedenza la
Famiglia aveva beneficiato della protezione spirituale di
zelanti Sacerdoti milanesi. I loro nomi che meritatamente
figurano nella storia della Istutuzione, sono: Mons. Emilio
Pasini, esimio benefattore; Mons. Cesare Dotta che un'affinità
di ideali aveva reso particolarmente devoto al fondatore e alla
sua Istituzione, sostenendoli con saggi consigli ed assidua
protezione; e Mons. Giu- seppe Maino.
Un altro sacerdote che la Famiglia ricorda con riconoscenza è 11
Rev.mo Mons. Ambrogio Aidè, come i soprannominati, canonico del
Duomo di Milano, che, per molti anni e con ammirevole
abnegazione, favorì la Comunità della sua opera di ministero
sacerdotale, come confessore ordinario. L' elenco si
prolungherebbe all'infinito se mi fosse consentito di nominare
tutti coloro che, in un modo o nell'altro, si sono resi
meritevoli della nostra gratitudine. Ma il loro nome sta scritto
in un altro... libro.
Soltanto mi permetto di rievocare, tra queste note, la cara
figura di una Consorella che il 6 Maggio dell'anno 1962, dopo
una vita di fedele dedizione alle attività della Famiglia B. A.,
passò al premio etemo, promesso a coloro che hanno cercato e
servito Dio.
L'indimenticabile Suor Celestina Bellosi, Architetto e pittrice,
è stata la prima Suora della Famiglia B. A. che il Signore ha
chiamato a sé.
II suo spirito buono, semplice e generoso è rimasto tra le sue
consorelle per indicare loro come si deve vivere per felicemente
morire.
La seminagione faticosamente compiuta da Mons. G. Polvara,
incominciava a maturare, e la pianta ormai uscita da terra
estendeva i suoi rami.
Infatti lentamente ma progressivamente presero a svilupparsi le
diverse
attività,
anche quelle che negli anni precedenti avevano subito una stasi,
come l'architettura e la scultura.
La sezione ricamo e confezione di paramenti sacri sta tentando
l'apertura di una filiale nella casa di Scola, frazione di
Givate.
Nel Liceo artistico in pochi anni, la popolazione scolastica si
è più che raddoppiata.
Mi esimo dall'elencare le opere di architettura eseguite in
varie regioni di Italia e all'estero; di quelle scultoree,
pittoriche e musive, che in numero veramente considerevole sono
entrate a decorare diverse chiese, per soffermarmi invece su un
avvenimento inconsueto e assai significativo per noi.
Nel mese di giugno dell'anno 1963, a pochi giorni dalla
incoronazione pontificia, veniva comunicato alla Famiglia B. A.
che era stata scelta per l'esecuzione della Tiara del Santo
Padre, Pao- lo VI, da poco eletto.
Quando il rev.do Direttore, Don Valerio Vigorelli, ne diede
notizia alla Comunità, tutti, Confratelli e Consorelle, furono
presi da intensa e gioiosa com- mozione.
A questo sentimento si aggiunse però presto un senso di
trepidazione per l'importante compito che ci veniva affidato.
Forse i nostri amici che ci conoscono e che sono soliti a
rimproverarci la nostra riluttanza a suonare le trombe su ciò
che facciamo, sono in grado di comprendere i sentimenti che ci
hanno padroneggiati in una simile circostanza.
Un disegno della Provvidenza ci offriva l'inattesa occasione di
farci conoscere attraverso l'esecuzione di un oggetto, che
doveva simboleggiare la massima autorità spirituale, sul quale
si sarebbero puntati gli occhi di tutto il mondo. Ma la gioia e
il desiderio di offrire il nostro servizio al Papa e alla Chiesa
in quella particolare occasione, ci stimolarono in un impegno
che divenne febbrile per il tempo che stringeva.
Dopo la scelta di uno dei cinque bozzetti presentati al Papa,
Confratelli, Consorelle e collaboratori, direttamente o
indirettamente e a seconda della loro competenza e
specializzazione, si unirono in fervida collaborazione, ad
approntare la Tiara di Papa Paolo VI.
Il lavoro durò cinque giorni ed altrettante notti, alternandosi
a turni gli esecutori, e ne risultò un'opera che ha riscosso
qualche critica, molti consensi e il pieno compiacimento del
Papa.
Questo avvenimento ha voluto tra l'altro confermarci, ancora una
volta 1 'importanza della comunanza di sentimenti e di una
stretta collaborazione ai fini di un efficace servizio alla
Chiesa.
Un'altra data che ritengo opportuno ricordare, per abbozzare un
quadro più approssimativo possibile della operosità di questo
periodo della Famiglia Religiosa, è quella che segna il
cinquantesimo anno di vita della rivista "Arte Cristiana". Nel
corso di questi "appunti per una storia" già si è narrato dei
suoi inizi, dei suoi intenti e delle sue battaglie. Essa è
sopravvissuta nonostante periodi di gravi difficoltà e mira a
mantenere le sue posizioni, per continuare ad essere valido
strumento a servizio del clero e degli artisti, per la difesa e
l'affermazione di un'arte sacra veramente degna della Casa di
Dio, secondo i fini proposti dal Fondatore.
Questa importante ricorrenza ha determinato la pubblicazione di
due volumi "Mezzo secolo d'arte sacra in Italia", consistenti in
un prezioso e completo indice di "Arte Cristiana" nei suoi dieci
lustri di attività e che riassumono, si può dire, cinquant'anni
di storia dell'arte sacra in Italia. Trovandoci sull'argomento,
diremo che diversa sorte toccò a Theatrica.
Questa rivista dopo essersi dibattuta tra difficoltà di vario
genere, all'incalzare dell'ultima guerra mondiale, dovette
cedere.
Non mancarono tentativi per la sua ripresa. Infatti riapparve
timidamente in un primo tempo come rubrica inserita nei
fascicoli stessi di "Arte Cristiana"; poi dall'anno 1960
all'anno 1964 venne pubblicata in fascicoli semestrali come
supplemento di "Arte Cristiana". L'obiettivo cui mirava era di
riprendere il dialogo con il Teatro già iniziato dal compianto
fondatore Mons. G. Polvara; questa volta però volgeva
l'attenzione particolarmente verso il Teatro nella Scuola come
mezzo di educazione. Purtroppo la buona volontà della Direzione
di "Arte Cristiana", fautrice di questa ripresa, venne
sopraffatta da difficoltà per quel momento insormontabili, e si
dovette desistere dal pubblicarla.
Nella panoramica delle attività di questi lustri che seguirono
alla morte di Mons. G. Polvara, va inoltre inserita quella
svolta a fianco del C.A.L. (Centro di Azione Liturgica) per una
affinità di apostolato nella Chiesa.
L'Arch. Don Valerio Vigorelli, attuale Direttore della Famiglia
Beato Angelico, venne anzi chiamato a far parte del Consiglio
Direttivo del- l'Associazione stessa, e molte risultano le
conferenze sull'Arte sacra,
che i Confratelli Sacerdoti tennero durante tali "Settimane
liturgiche nazionali".
Particolare menzione meritano le mostre di Arte sacra allestite
dalla Scuola "Beato Angelico" o in collaborazione con altri
enti, come cornice alle citate "Settimane" che si svolgono
annualmente nelle diverse località d'Italia. Ne cito alcune.
Nel settembre dell'anno 1953 a Reggio Calabria la Scuola Beato
Angelico era presente con un numero considerevole di arredi
sacri, con una documentazione di opere architettoniche ed una
raccolta di pitture del Maestro E. Bergagna rappresentanti le
Litanie Lauretane.
In seguito a questa rassegna, l'Ecc.mo Arcivescovo di Reggio
Calabria, Mons. Giovanni Ferro, affidava alla Famiglia "Beato
Angelico" la ricostruzione di alcune chiese del luogo che
nell'anno 1908, erano state distrutte dal terremoto.
Quattro anni più tardi e precisamente nel settembre del 1957, a
Caltanissetta, la Scuola Beato Angelico allestiva la II Mostra
nazionale di Architettura Sacra. La rassegna impostata su un
piano didattico, fu articolata in tré cicli: il linguaggio
dell'architettura contemporanea, le costanti fondamentali dello
spazio liturgico, l'architettura sacra contemporanea in Italia.
L'esposizione che era costata non poche fatiche agli zelanti
confratelli e collaboratori, riscosse interessamento ed
ammirazione da parte dell'Autorità ecclesiastica e del folto
pubblico che si era recato a visitarla.
Quest'anno, in occasione della "XVII Settimana liturgica
nazionale", svoltasi nella città di Pavia, il Confratello Don V.
Gatti, perito in "Sacra Liturgia", organizzò la "Mostra
dell'arredo liturgico". Il tema stesso della "Settimana" -
Chiesa come Sacramento e i Sacramenti della Chiesa - aveva
suggerito la scelta del materiale esposto, relativo alla
Liturgia sacramentale.
Ogni anno alcuni mèmbri della Comunità partecipano con profitto,
come relatori o come auditori, a questi convegni.
Per iniziativa della Scuola B.A., nel corso per professori di
liturgia che il C.A.L. organizza ogni anno, è stata inserita una
"Tré giorni di arte liturgica" rispondendo così ad uno degli
appelli del Concilio Vat. II in fatto di istruzione del clero
sull'arte a servizio del culto.
Questa rifioritura di attività ha fatto nascere la necessità di
un successivo ampliamento edilizio in Casa nostra.
Problema questo abbastanza impegnativo ed arduo che, preparato
negli anni operosi della dirczione di Mons. G. Bettoli, è stato
gradualmente affrontato con la costruzione del nuovo edificio
scolastico effettuata nell'anno 1963, e con quella tuttora in
corso, del laboratorio della sezione artigianato, della
abitazione per la comunità maschile, di un salone capace per
ritrovi, conferenze, e della nuova e più ampia cappella. E' qui
doveroso ricordare che la sensibilità e la comprensione degli
amici, sulla quale avremo sempre bisogno di contare, non è
venuta meno in queste delicate circostanze.
Infatti se lo sviluppo edilizio è in fase avanzata, lo dobbiamo
certamente al coraggio del dinamico Direttore e alla saggia
assistenza amministrativa del già citato
presidente Comm. U. Bonetti, ma anche alla collaborazione di
amici che hanno sottoscritto al prestito obbligazionario, senza
del quale sarebbe stato impossibile ogni tentativo.
Il "Pellegrinaggio sociale" alla Cattedra di Pietro, effettuato
il 19-20 febbraio 1965, per commemorare il quindicesimo
anniversario della morte del compianto Fondatore e il
cinquantesimo di vita della rivista "Arte Cristiana", è ritenuto
uno degli avvenimenti più significativi e denso di speranze di
questi ultimi anni. In codesta circostanza la Famiglia Rei. B.A.
ebbe modo, come non mai, di notare l'ampia cerchia di coloro
che, pur fuori della Comunità Religiosa, ne seguono lo spirito,
condividono e partecipano, in svariati modi, alla sua stessa
vita e alle attività che essa svolge. Tornò di grande conforto
ai mèmbri della Famiglia religiosa vedere collaboratori,
Insegnanti, allievi, ex allievi, Benefattori ed Amici, che con
loro ebbero l'ambita soddisfazione di un incontro con il Padre
Comune, dare prova di sincera amicizia e di capire e apprezzare
la missione della Famiglia B.A, che in quell'occasione Papa
Paolo VI non mancò di incoraggiare e plaudire, quale servizio
prezioso alla Chiesa e al Popolo di Dio.
DOPO IL CONCILIO VAT. II
Gli avvenimenti storici che hanno caratterizzato i pochi lustri
che ci separano dalla morte del Fondatore e che hanno
influenzato in modo determinante l'opinione pubblica, hanno
anche logicamente creato una nuova problematica a tutte le
Istituzioni, poste nel tempo, circa il modo di rispondere ai
bisogni della Chiesa e della società.
In particolare, il Concilio Ecum. Vat. II, con le sue
prescrizioni intomo alla arte a servizio della Chiesa,
convalidando l'ideale e la missione proposti e lasciati in
eredità dal Fondatore, ha indirettamente ma concretamente
richiamato la Famiglia Religiosa B. A. al suo impegno assunto,
cioè a far si che la fiaccola accesa dal complanto Mons. G.
Polvara venga alimentata perché faccia luce a difesa e a
servizio dell'arte sacra nelle chiese.
Altrettanto significative ed esortatrici a questo proposito,
sono la nomina, giunta nel settembre dell'anno 1960 al Direttore
Dott. Arch. Don Vigorelli, di Consultore
nella
XIII Commissione preparatoria del Concilio Vat. II per la S.
Liturgia, e altre che gli giunsero in seguito sempre in funzione
dell'arte liturgica.
Il Concilio si è chiaramente pronunciato circa le prerogative e
i requisiti dell'arte a servizio della Chiesa.
Sono autorevoli disposizioni che ogni buon cristiano ormai
conosce, ma che per alcuni sono serviti più che come motivo di
studio, come un pretesto a fare dell'arte che vorrebbe essere
sacra, ma che non raggiunge tale livello.
E si giunge a fare persino appello al Concilio, che ha invitato
gli artisti di oggi a un servizio alla Chiesa, per giustificare
certe spettacolari mostre d' arte sacra, che non rispondono
ancora alle aspettative della Chiesa nei confronti di un'arte
moderna che veramente soddisfi alle esigenze del culto e alla
edificazione del Popolo di Dio. Per evitare questi grossi
equivoci basterebbe si studiassero e si approfondissero le
disposizioni incluse nella Costituzione sulla Sacra Liturgia.
Fare dell'arte liturgica non è cosa facile. Per parlare un tale
linguaggio è indispensabile una seria preparazione culturale,
spirituale e teologica, e non soltanto tecnico-artistica.
Non è possibile tradurre in immagini eloquenti, misteri che non
si conoscono o si conoscono superficialmente e non siano amati e
sinceramente vissuti.
La Famiglia Religiosa Beato Angelico è nata da questa e con
questa convinzione. L'aver essa riscoperto un proprio posto e un
preciso compito nella Chiesa e per la Chiesa, che ha ribadito,
attraverso gli autorevoli documenti conciliari, l'utilità della
nostra vocazione e del nostro servizio, la impegna a perseguire
con maggior fede e alacrità i suoi precipui fini, e a sperare
dal Padrone della messe altri generosi operai, affinchè tutte le
iniziative postulate dalla sua speciale Missione nella Chiesa,
trovino, oggi e domani, piena possibilità di realizzazione.
Nella Casa del Padre, dove molte sono le mansioni, come chiunque
ha potuto capire, ben delineata è quella affidata alla Famiglia
Rei. Beato Angelico, ma sconfinato ne è il campo di azione.
Vogliamo puntare lontano, oltre gli oceani, per portare a tutta
la Chiesa 11 nostro servizio. Un tentativo, che vuoi indicare la
volontà di superare i confini, è dato dall'esperienza che i
nostri amici già conoscono, ossia dal gemellaggio stabilitesi
tré anni or sono, con una scuola del Burundi in Africa.
Suor Maria
Articolo pubblicato sui n.ri 1-2-3-4 della rivista "Amico
dell'Arte Cristiana" - anno XXXVII - 1966
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