La Famiglia Religiosa Beato Angelico

"Nuova vocazione al servizio della Chiesa"

Gli antefatti
 

IL FONDATORE - Per ogni sua opera Dio suole servirsi delle sue creature, ed elegge chi vuole. Chi ha conosciuto la vita di mons. Giuseppe Polvara ha potuto scorgere con chiarezza il segno di Dio che ha guidato questo figlio di terra lombarda, ad affrontare uno dei problemi più impegnativi del suo secolo.
Non comprenderemmo una cosi intensa attività se non ci soffermassimo sui tratti essenziali della sua figura, onde vedere come ogni intuizione, ogni esperienza della sua giovinezza; doveva trovare una esatta applicazione nell'opera che la Provvidenza gli avrebbe affidato.
Mons. Giuseppe Polvara nacque a Pescarenico il 23 novembre 1884, da genitori modesti, ma profondamente cristiani.
In quell'angolo poetico del paesaggio manzoniano, Peppino cresceva sensibile e buono accanto al padre pescatore, sotto l'attenta, austera vigilanza di mamma Camilla, con altri tré fratelli.
In un ambiente rude e sano, a contatto diretto delle aspre montagne e delle limpide acque, già si forgiava mirabilmente la tempra di un uomo destinato ad una speciale missione.
La vita si apriva ricca di promesse a questo giovane dotato di eccezionali qualità di mente e di cuore, di grande energia e di forte volontà di azione.
Ma la prospettiva di una qualsiasi, anche brillante carriera, non poteva bastare a riempire la sua nobile anima, assetata di bellezza e di grandezza.
Sentì la chiamata di Dio e la seguì generosamente.
Trascorse gli anni della vita seminaristica dividendo il tempo tra gli studi severi delle lettere, delle scienze matematiche e fisiche, della filosofia e della teologia, e le esercitazioni dilettevoli del disegno e della pittura che gli meritavano dai compagni l'appellativo di "artista".
Appellativo tutt'altro che platonico - attesta Don Mario Tantardini, compagno di studi e infine suo apprezzato collaboratore - perché se lo doveva comprare e ricomprare in ogni festa del seminario, progettando e dirigendo addobbi, dipingendo fregi, cartelloni, simboli, Madonne, Santi. Abilità questa che scoperta dal suo buon curato, doveva mettere anche a disposizione della parrocchia, in vari e molteplici servizi.
Intanto nell'animo del giovane seminarista andava sviluppandosi quel culto appassionato dell'arte, che sarebbe diventato missione e dovere nel sacerdote.
Appena consacrato sacerdote fu mandato in cura d'anime a Barassa, paesetto del Varesotto, dove esercitò con edificante zelo il sacro ministero.
Ma pur nella sua grande modestia non era possibile che tanti talenti non emergessero dalla sua ricca personalità.
I superiori si avvidero di questa armonia di intelligenza e di fede, di natura e digrazia, e destinarono il giovane Sacerdote al Collegio Arcivescovile di Saronno, come insegnante di disegno.
Nel frattempo Don Polvara poteva ultimare la sua preparazione per conseguire il titolo di architetto che ottenne a pieni voti. ( 1 )
Questo periodo d'insegnamento costituì un prezioso tirocinio per il futuro Direttore della "Scuola d'Arte Cristiana", e servì a valorizzare le singolari qualità didattiche che possedeva.
Don M. Tantardini, di questi anni, così testimonia: "La coscienziosità, l'impegno e le numerose ore di scuola avrebbero dovuto assorbire tutte le disponibilità di tempo di Don Giuseppe Polvara, se al proprio studio e al proprio ministero non avesse assegnata una meta più alta, verso la quale ogni piccola pausa della sua attività scolastica gli bastava per avanzare passo passo, ma decisamente".
Già in questo fervore di attività si delincava la figura del Maestro, in quelle esperienze e misure che gli occorrevano per istituire la nuova Opera: E appunto Dio, suscitatore di ogni opera altamente buona, che aveva guidato i suoi passi, tra poco si sarebbe servito di lui per dar vita ad una istituzione che lo doveva glorificare attraverso l'arte.
Don Giuseppe Polvara comprese il nuovo compito che la Provvidenza gli additava e l'abbracciò con vera passione superando lotte e difficoltà durissime.
Non fu mal titubante; egli aveva nella sua indole qualcosa delle rude roccedelle sue montagne e nelle sue affezioni la cristallina semplicità delle acque del suo lago che ancora amava.
Timido e forte, docile alla voce di Dio e generoso nella dedizione al compito affidatogli, Monsignore persevererà nella realizzazione di quell'ideale di fede e di amore, che doveva riportare l'arte sacra alla sua vera funzione : quella di glorificare Dio ed edificare i fedeli.
I suoi intimi sentimenti che adombravano la nuova vocazione a servizio della Chiesa, si vedevano riassunti in una frase scritturale a lui tanto familiare: "Zelus domus tuae comedit me".
C'era forse in Don Polvara un dualismo, creato dalla duplice personalità, quella dell'artista e quella del sacerdote? Solo apparentemente. Perché in lui queste due qualità dominanti, l'una stava accanto all'altra, mai contrastanti, se mai per valorizzarsi e completarsi. Don Giuseppe Polvara artista-sacerdote o sacerdote artista era proprio l'uomo del momento che Dio aveva preparato per la nuova battaglia.
Mons. Giuseppe Polvara consegue l'abilitazione all'insegnamento del disegno nelle scuole tecniche e normali, all'Accademia Belle Arti di Milano il 2 gennaio 1913.
Nel gennaio 1920 ottiene la Laurea in Architettura all'Istituto Belle Arti di Bologna.
Movimento di Rinascita Spiritual nell'Arte Sacra
L'Arte cristiana dopo gli splendori di ispirazione e di fede raggiunti nel Medioevo con l'architettura delle cattedrali, la loro statuaria, gli affreschi e le tavole dei primitivi, a poco a poco inquinatasi dalla penetrazione della rinascenza pagana e dalla superficialità dei secoli successivi, aveva finito per salvare, anche nei migliori artisti, appena un'ombra di vera e schietta ispirazione religiosa. Il concetto dell'essenza religiosa dell'arte venne smarrito.
Cosicché all'inizio del nostro secolo la arte Cristiana per giunta ad uno stato di grave decadenza.
Era venuta meno anche una cultura profonda, adeguata che l'alimentasse e la sostenesse.
Gli artisti nella maggioranza o si rifiutavano, o erano incapaci di accogliere lo spirito della Liturgia in una forma più coerente alle nuove esigenze, e cristallizzavano l'arte nella ripetizione monotona e insensibile di stili sorpassati o nel volgare espediente di stilizzazioni eccletiche. Il Clero, dal canto suo non andava esente da certe suggestioni, indice di un ascetismo forse un po'falsato.
Le chiese si popolavano di statue e arredi di fabbricazione commerciale.
Melense figure di santi, venivano poste a sproposito con la pretesa di suscitare la devozione nei fedeli.
Da alcune parti si innalzavano grida di allarme.
"Non solo le Chiese di campagna ma anche le Cattedrali e le basiliche offrono uno spettacolo ben triste: vi troviamo statue di gesso o carta pesta imbellettate di colori e atteggiate a un'espressione sdolcinata di sentimentalismo....che offendono il senso di nobiltà e di austera dignità del culto cristiano". (C. Costantini in A. C.1913).
Diversi Pastori di Diocesi ne avvertivano il pericolo e richiamavano il loro clero.
Assai indicativa la circolare che S.E. il Card. Cavallari, Patriarca di Venezia inviava ai Parroci ed ai Rettori di Chiese del Patriarcato, in seguito ad un lamento da parte del Direttore generale delle Antichità e Belle Arti per la sostituzione di quadri e statue di notevole valore con "mediocrissime statuette banalmente colorate"che avvenivano nelle chiese.
La suddetta circolare suonava cosi :"... se qualcuno dei nostri Rettori di Chiese si fosse fatto reo di così poco riguardo agli oggetti di un certo pregio artistico e li avesse rimossi dai loro posti, per sostituirvi oggetti di nessun valore secondo l'arte, avverto che tali oggetti li dichiaro fin d'ora sospesi...
Ne solo intendo che siano tolti dagli altari ma da qualunque punto della Chiesa perché il decoro del sacro tempio non permette che vi si tenga ciò che anche artisticamente può considerarsi una sconcezza". Ne bastava questo a suscitare giustificate apprensioni.
Da un altro verso, artisti di grido, i futuristi, su un programma inventato da Marinetti, volendo uscire dal generico, fissavano quasi un decalogo in cui si intimava di scordare il passato con le annesse conseguenze; di coltivare l'originalità, di ripudiare come facili e mutili conquiste, l'armonia e il buon gusto; motivi che potevano distornare dall'avvio alla buona battaglia, appena incominciata.
Questo male che dilagava più o meno in tutti i paesi d'Europa, trovò uomini di grande fede, che si sarebbero impegnati ad arginarlo.
Corporazioni di artisti ben intenzionati, sensibili al grave problema, sorsero in Germania e in Francia.
Venivano organizzate mostre di Arte Sacra, servendosene come stimolo, e richiamo agli artisti ad un impegno più serio.
A Parigi un gruppo di artisti francesi stabilirono una esposizione permanente di Arte Sacra, e facevano appello ai colleghi; a tutte le persone cui stava a cuore la rinascita dell'arte cristiana.
La causa religiosa che è la causa comune di ogni buon cristiano, non può che guadagnare (essi affermavano) se la rivestiamo delle forme di una vera bellezza.
Forti dell'appoggio delle autorità ecclesiastiche, essi speravano operando, affinchè la fede ridonasse all'arte un nuovo battesimo, perche l'arte rigenerata servisse a sua volta a risvegliare nei tiepidi e negli indifferenti l'amore alla nostra santa religione.
In Francia, dalla quale si era propagato il veleno, la fede faceva le sue belle conquiste. Artisti come Denis, Forain, Toorop, Desvallieres, si impegnavano a dare alla loro arte una più alta finalità, noncuranti della ostilità che suscitavano per 11 nuovo indirizzo che si proponevano.
Maurice Denis merita a questo proposito un rilievo.
Egli si era fatto promotore di una scuola di artisti concordi nel ritenere che l'arte liturgica sarebbe stata rigenerata soltanto dalle creazioni collettive di comunità credenti e oranti.
Sorse così la Società di San Giovanni Evangelista per l'arte cristiana.
Secondo Maurice Denis (ricorderà più tardi in un suo libro Padre Couturier) l'arte deve divenire mezzo per ristabilire una comunione tra gli uomini, deve incitare alla preghiera...
Come la liturgia che ordina la preghiera in comune...l'arte deve procurare al fedele il beneficio di una ascensione spirituale. E considerava il Beato Angelico come il tipo dell' artista che ha pienamente realizzato questo ideale.
Nella sua Scuola-bottega, non accademia, ma raggruppamento di laboratori, maestri e allievi collaboreranno secondo una dottrina allo stesso tempo tradizionale e vivente.
Il suo neotradizionalismo non era tanto di mezzi, quanto di ordine; non di materia ma di idee. Non che si facesse imitatore di questa o quella maniera, ma tendeva alla creazione di una forma di espressione propria, mediante i mezzi più moderni che sapeva far servire ad una sensibilità squisita, disciplinata dalla ragione e dai caposaldi della tradizione.
Ancora Padre Couturier, che fu suo allievo, in un articolo su Art Sacre del 1937, confermerà il contributo di Denis al "rifluire della ispirazione cristiana nella corrente più viva della pittura moderna". "Noi siamo certi, egli dice, che essi (il gruppo di Denis) rappresentano Francia una delle migliori speranze". Più tardi nel 1917 a fianco della Società S. Giov. Evang. sorgeva la Società degli amici dell'Arte Liturgica con un assai impegnativo programma in favore dell'arte a servizio del Culto e degli artisti.
Suo organo era la dotta rivista intitolata"La vie et les artes Liturgiques". Sintomi questi di un magnifico risveglio.
In Germania il rinnovamento incontrava forse meno ostacoli perché in questa nazione il soggetto sacro ha sempre costituito un nobile ramo dell'arte, cui ottimi maestri consacravano volentieri i loro studi.
A dare impulso e un sano orientamento alla produzione d'arte sacra era valsa anche la Società tedesca di Arte Cristiana, che raggnippava intorno a sé molti e valorosi artisti, e combattevauna nobile battaglia con la severa rivista "Die Christliche Kunst".
SOCIETÀ' AMICI DELL'ARTE CRISTIANA
Anche in Italia ci si accingeva alla nobile impresa.
Ad un primo impulso erano giovati il "Motu Proprio" che il Santo Papa Pio X aveva emanato a favore della Liturgia e della musica sacra, e i successivi documenti coi quali si faceva obbligo l'insegnamento dell' arte sacra nei Seminari e 1' istituzione di Commissariati per i Monumenti in tutte le diocesi.
Nel 1912 veniva costituita la "Società degli Amici dell'Arte Cristiana" in ambito nazionale e con sede in Milano.
L'Associazione rappresentava una iniziativa audace per quei tempi, ma essa corrispondeva ad una esigenza spirituale prima che artistica. Per la verità in Italia non mancavano sodalizi, ne periodici nei quali si tenesse conto dell'arte cristiana. Ma (come riferisce il Crispolti, Presidente della nascente Società) si voleva far opera di concentrazione e di discernimento insieme.
In una parola si voleva ricongiungere in una, tutte le energie disperse e assegnare all'arte ispirata dal Cristianesimo un posto distinto.
Nel 1913 la stessa Società iniziava la pubblicaziane di "Arte Cristiana", organo col quale i membri dell'Associazione avrebbero espressi i loro precisi intendimenti e cioè:"dimostrare nelle opere antiche e nelle opere moderne quanta superiorità d'arte può procedere dallo spirito cristiano e quanto danno al Cristianesimo stesso producono la volgarità e la goffaggine a servizio delle sue manifestazioni; e procurando di ristabilire l'antica comunione tra gli artefici e il clero, col fare i primi partecipi degli intendimenti del secondo e col diffondere nel secondo il gusto dei primi.
In una parola (diceva Crispolti presentando il programma) vogliamo far si che tutti gli italiani si rendano consapevoli della ricchezza pervenutaci dagli avi cristiani,... e che l'accrescimento moderno di questa ricchezza sia voluto, aiutato e plaudito dal popolo italiano come un trionfo della italianità più gloriosa e più pura". (A. C. 1913).
Con la rivista mensile Arte Cristiana si voleva altresì procurare ai professori di storia dell'arte nei seminari, al Commissariati Diocesani, ai rettori di chiese, nonché a tutti i cultori dell'arte, una rassegna utile, uno strumento di geniale e sana istruzione artistica, specifica, che in Italia mancava.
Senza dubbio a uomini ardenti come Crispolti, Don C. Costantini, Direttore della rivista, Margotti, Biagetti e altri, va il merito di aver risvegliato il senso di responsabilità e una maggior sensibilità verso un problema tanto importante.
Rivedendo i fascicoli di Arte Cristiana dei primi anni si può cogliere l'ardore del loro impegno col quale servivano a questa grande causa.
Non era una battaglia facile quella cui si accinsero: non mancavano incomprensioni, diffidenze, negligenza anche da parte del clero ma che, anziché frenare, acuivano lo zelo dei militanti.
Lo attestano le denuncie, i richiami, i dibattiti di cui si faceva eco Arte Cristiana, la quale inoltre, come antidoto alle brutture dilaganti, pubblicava opere di artisti esemplari.
Altri mezzi di cui si valevano per questo risveglio erano le Mostre di Arte Sacra e i Convegni che si svolgevano nelle più importanti città d'Italia.
L'Associazione giunse a riscuotere anche consensi, approvazioni ed adesioni.
Documenti pontifici giungevano a riconfermarla nei suoi propositi incoraggiando gli aderenti a ricondurre l'arte sacra alla sua dignità a servizio del culto e a vero decoro della casa di Dio.
E' facile immaginare che tra i primi e più entusiasti aderenti ci fosse Don Giuseppe Polvara, allora Professore al Collegio Arcivescovile di Saronno.
Egli appassionato cultore dell'arte e ammiratore di Don Gelso Costantini, ben presto si uni alla santa campagna. Ciò che a Don Polvara stava soprattutto a cuore era l'impulso da dare ad un'arte moderna cristiana.
Nell'ottobre del 1915 egli veniva presentato ai lettori della rivista come artista, pittore, architetto con la pubblicazione di un'affresco che Don Polvara aveva eseguito nella parrocchiale di Angera e che ritengo opportuno qui descrivere. Nella parte centrale dell'abside, dietro l'altare il giovane Sacerdote pittore rappresentò, in un cielo azzurro terso la Assunzione della Vergine che s'innalza su una nube verso il cielo circondata da un volo di colombe, distaccandosi da una radura deserta cosparsa di rose e di gigli.
La pittura è una delicata interpretazione del testo sacro:"Ascendebat per desertum sicut virgula fumi ex aromatibus mirrae et thurris - Ascendebat per desertum sicut columba desuper rivos acquarum et circundabant eam flores rosarum e lilia convaliun".
Ai lati dell'abside affrescò due composizioni l'una rappresentante il dramma della caduta di Adamo ed Èva: le due figure dei progenitori fuggenti traspaiono dietro l'albero fatale da cui pende il serpente che già posa la testa nel fango, condannato a strisciare.
Un po' scostato è l'Angelo con la spada di fiamma inflessibile esecutore. Il cielo cupo e saettante, la natura sconvolta partecipano alla maledizione di Dio.
L'altra composizione, che sta di frontealla prima, rappresenta la Madonna corredentrice con il Divin Redentore, ed un coro di giovanotte inginocchiate che la salutano "Ave piena di grazie".
La natura riflette la calma ridonata e il serpente ora vinto, è sotto i piedi della Vergine, novella Èva.
Ma un saggio di buon affreschista Don G.Polvara l'aveva già dato nelle pitture della cappella delle Suore di Maria Bambina a Saronno.
La critica del tempo così si esprimeva in merito: "l'opera del Polvara come decoratore, si presenta in queste prime prove con indirizzo siffattamente sano e promettente da imporne l'attenzione alla nostra rivista che si tiene fissa al principio che per un risorgimento dell'arte cristiana è necessario attingere alla purezza di un sentimento ispiratore, padrone e regolatore di ogni tradizione di formalismo o di scuola." (AC.1915).
Queste opere di Don Polvara, accolte favorevolmente dagli intenditori, per il gusto sobrio ed elegante, per una persistente unità di intenti, davano la misura non solo della promettente capacità pittorica, ma soprattutto, la prospettiva delle sue tesi in fatto di decorazione della casa di Dio.
Ma alla passione per la pittura di Don Polvara era congiunta nella stessa misura quella per l'architettura.
Opere degne di pregio sono: la cappella dell'Oratorio femminile di Melzo, il progetto di restauro e il nuovo campanile di Pescarenico, il progetto di una cappella di cimitero, eseguite in questi anni.
Per l'architettura travagliata al principio del nostro secolo tra due correnti, passatista una, e novecentista l'altra, Don Polvara prevedeva una possibilità di accordo.
Egli ricercava questo equilibrio in un accostamento vivo alle esigenze della Liturgia, convinto che questa potesse suggerire la formula imprescindibile per ogni opera d'arte, dall'architettura fino alla suppellettile, da porsi a servizio del culto.
Intanto la guerra abbattutasi anche sul nostro Paese infuriava, assorbendo uomini ed energie. Così che verso la fine di essa, la vita dell'Associazione degli Amici dell'Arte Cristiana riscontrò un rallentamento. A Don Costantini, che militare si era insediato in Aquileia, erano state affidate altre responsabilità.
Erano diminuiti i collaboratori della rivista e ai pochi rimasti toccava aumentare il coraggio e il lavoro.
E' in queste condizioni che Don Polvara dovette assumersi nel 1920, la dirczione della rivista stessa, alla quale aveva già dato la sua collaborazione con diversi articoli interessanti. Divenutone il responsabile diede alla Rivista una impostazione parzialmente nuova, più pratica e anche più polemica (vedi la rubrica "Veritatem facentes in Charitate" e i numerosi quesiti pratici). In questo periodo, per varie vicende : era a Venezia il nucleo centrale da cui partivano le varie iniziative degli Amici.
Da qui infatti l'assemblea del 1919 aveva deliberato l'erezione di una "Casa dell'Arte Cristiana", l'organizzazione di una prima mostra nazionale di Arte Sacra, e la convocazione di un Congres- so per l'arte cristiana. Fu proprio durante questo Congresso, svoltosi a Roma, che si affacciò il problema di una scuola di arte cristiana.
Ormai altri impegni obbligavano Mons. Gelso Costantini, divenuto amministratore apostolico di Fiume nel luglio del 1921, ad estramarsi dal movimento di cui era stato valido promotore ed animatore, e pur continuando a rimanere capo dell'Associazione, tutte le iniziative della Società finivano nelle mani di Don Polvara. Egli infatti con il suo ardore di apostolo dell'arte a servizio della Chiesa, aveva ormai conquistato la fiducia dei superiori e degli amici della Società, i quali prima della partenza di Mons. Celso Costantini per la Cina, riunito il Consiglio in una sala del Patriarcato di Venezia, facevano le consegne ufficiali a Don Giuseppe Polvara della dirczione di Arte Cristiana.
Il Crispolti rimaneva Presidente della Società.
UNA SCUOLA D'ARTE CRISTIANA (Sue esigenze e sue vicende)
Già da alcuni anni, nelle riunioni degli "Amici", affiorava il problema sulla necessità di una Scuola d'Arte Cristiana, convinti che bisognava avviare il giovane (artista) sin dalla tenera età alle visioni estetiche dei misteri religiosi, perché potesse dare poi con l'arte appresa, le belle figurazioni, non di monticando che se il genio dell' arte è un dono di natura, l'opera d'arte profondamente religiosa, non può che essere il frutto del dono della grazia in comunione col primo.
Ferventi sostenitori di queste idee si contavano in buon numero: Mons. Gelso Costantini, Biagio Biagetti, Margotti, personalità ecclesiastiche, per citarne alcuni, i quali presentavano varie proposte e programmi in merito, che venivano pubblicati in A C.
La prospettiva della fondazione di detta Scuola destò grandissimo interesse e plausi soprattutto negli artisti. Ciò significa che il problema era attuale e sentito e tutt'altro che pleonastica la realizzazione.
"Parlare di una scuola d'arte sacra in questi tempi (diceva il pittore Cadorin) è come spalancare una finestra tenuta chiusa da tanto tempo, su una verde campagna, zampillante d'acqua".
L'Architetto Ruspoli applaudiva all'avvento della scuola-bottega : "nella quale - egli diceva - 1'umile tagliapietra resosi degno di speciali doni della Divina Provvidenza, colto e buon cristiano, conoscitore perfetto dei misteri, della storia sacra e dei riti della nostra Santa Religione, diviene il grande architetto, scultore e pittore delle sublimi opere di vera arte cristiana". (A- C. 1921)
Queste aspirazioni erano tra l'altro giustificate dal fatto che le accademie di Arte risultavano impari al loro compito, in riferimento particolarmente all'arte sacra".
Dalle accademie solo per eccezione (si levava a dire un'altra voce) può uscire un buon artista sacro, quando per privilegio di natura e per educazione, sappia salvarsi dalle male influenze dell'ambiente e proweda da sé alla conoscenza delle sacre discipline.
Intanto Dio nei suoi provvidenziali disegni, accendeva sempre più di entusiasmo per la bella causa, il cuore di Don Giuseppe Polvara, che raccoglieva questi appelli di volonterosi artisti, come la voce di Colui, la cui bellezza increata, che l'arte cristiana si accingeva nuovamente a manifestare, avrebbe gettata nuova luce sul mondo maggiormente oscurato dalla recente guerra.
Certo, ci voleva del coraggio per affrontare una nuova esperienza con le annesse responsabilità. Perché non era mancato tra le tante voci favorevoli, chi dissentisse, stimando utopia la realizzazione di questi nobili intenti.
C'erano poi dei pregiudizi da smentire.
Realizzare una scuola come la concepiva Don Polvara equivaleva lottare per vincere le resistenze di una falsata mentalità, che non ammetteva la possibilità di tentare vie nuove e più sincere anche nel campo dell'architettura sacra, che si era fossilizzata nella insulsa ripetizione dei così detti stili pseudo-gotico, lombardo, barocco; equivaleva far ricredere il clero sulla goffa e banale ornamentazione introdotta nelle chiese; equivaleva inoltre affrontare difficoltà finanziarie per il mantenimento della scuola.
Don Mario Tantardini che Don Polvara aveva attirato nella cerchia dei suoi collaboratori, così riferisce le sue impressioni nei riguardi della nascente scuola: "Nella teoria forse tutti furono concordi nell'ammetterne la necessità e l'opportunità; non tutti forse però hanno saputo o voluto misurare quale somma di sforzi, quale violenza di lotta importasse per Don G. Polvara avventurarsi solo e senza risorse finanziarie, in una impresa tanto nuova quanto rischiosa.
Altro che puntare contro la corrente dell'Adda, per riportare la barca di papa Napoleone al suo approdo! Le correnti contrarie più accanite furono le prime accoglienze che il timido vascello trovò sulla sua rotta".(A. C. 1934)
Fortunatamente Don Polvara non era un uomo che ostacoli e difficoltà potevano abbattere; intrawista una meta che gli pareva buona, niente e nessuno poteva impedirgli di raggiungerla. In questo caso il suo grande cuore di sacerdote e di artista non poteva rifiutarsi di consacrare energie e talenti per una causa tanto bella e che gli stava grandemente a cuore. Si decise pertanto a lasciare gli impegni del Collegio di Saronno.
Ad un primo momento si era pensato di affiancare la nuova Scuola alla Università Cattolica del Sacro Cuore. Il Rettore Magnifico, Padre Gemelli, mente sempre aperta ad ogni buona Iniziativa, accolse favorevolmente la proposta, stimandola un complemento della Università stessa; ma poi numerose difficoltà sorte, tolsero ogni speranza di accordo.
Fallito questo tentativo non si perse tempo, si cercò sede altrove. Ormai a Milano il dado era tratto. Dopo varie ricerche si trovarono dei locali provvisoriamente adatti allo scopo. Intanto nella fertile mente di Don G. Polvara andava concretandosi il programma per la sua scuola.
Ottenuta l'approvazione dell'alierà Card. A. Ratti, Arcivescovo di Milano, Don Polvara radunò i suoi primi collaboratori: l'Arch. Banfi, l'ing. Dedè, il pittore Vanni Rossi, lo scultore Lombardi, che con lui dovevano formare il corpo insegnante.
Altri valenti maestri si unirono più tardi.
Cosi la Scuola d'Arte Cristiana, come era stato annunciato al II Congresso di Ravenna, nel novembre del 1921 poteva aprire i suoi battenti col seguente programma: SCIENZE SACRE : Sacra scrittura, Liturgia, Agiografia.
STORIA DELL'ARTE: dell'architettura, della pittura, della scultura.
BELLE LETTERE: Commenti ai capolavori della nostra letteratura, antichità, classiche e medioevali.
SCIENZE COSTRUTTIVE
PROIEZIONI PARALLELE E CENTRALI
VARIE TECNICHE DEL DIPINGERE
SCIENZA DELLA LUCE E DEI COLORI
Le diverse lezioni venivano variamente distribuite nei sei giorni della settimana.
Inizialmente si voleva denominare l'opera: Scuola Superiore d'Arte Cristiana "Ambrogio da Fossano" o "Scuola Bottega Borgognone" in onore del più spirituale dei pittori lombardi.
Il Card. Ratti dissuase dall'usare la qualifica Scuola-bottega, perché non tutti l'avrebbero ben intesa e approvata. E consigliò anche di cambiare denominazione per intitolarla al Beato Angelico come al più grande degli artisti cristiani.
Occorre rilevare che Don Polvara non intendeva dar vita a una scoletta innocua; la sua doveva essere una scuola orientata decisamente verso precisi obiettivi: formare l'artista cristiano di spirito e capacità, rialzare le sorti dell'arte sacra producendo nella Scuola, opere d'arte veramente degne d'essere poste nella Casa di Dio.
Mi piace qui riportare una piccola parte del lungo discorso che Don G. Polvara tenne durante il II Congresso di Arte Cristiana a Ravenna del luglio 1921, col quale metteva gli amici a conoscenza della grande iniziativa: "Adunque - egli diceva - col prossimo ottobre comincerà a vivere nella nostra Milano la prima Scuola Nazionale di Arte Cristiana.
II terreno che si è scelto è il più fertile dell'Italia nostra. La pianticella è appena sbocciata, ha le foglioline ancora tenere e delicate, è necessario preservarla con cura da tutte le intemperie.
Ma la nostra speranza è viva; la nostra corporazione si fregia dell'anagramma di Cristo; lo "zelo per la casa del Signore ci ha consumato, e chi spera nel Signore non sarà confuso giammai".
Queste poche parole che chiudevano il discorso programmatico, rivelano l'ingenuo candore dell'anima poetica di Don Polvara, ma anche la misura della sua incrollabile fede con cui iniziava la sua Scuola. Non deve stupirci che questa nota di grande semplicità non sia mai mancata in Don Polvara anche quando ci si presentava nella distinta veste del maestro e del Superiore.
Fu una qualità sua caratteristica che lo rendeva velocissimo nelle intuizioni, accessibile a tutti e capace di farsi capire da chiunque.
La prima sede della Scuola furono alcuni locali presi in affitto in via Filangeri 14.
Pochi stanzoni, poveri di luce ma ricchi di speranze, accoglievano i primi allievi. Si sarebbe desiderato anche uno studiolo per ciascun maestro, ma non si potè avere, e solo in parte, che nell'anno successivo, trovando un ripostiglio umido accanto alla Chiesa di San Vittore.
I primi scolari di Don Polvara che condivisero le avventure del sorgere della scuola, ci hanno raccontato che con il loro Direttore erano costretti a dormire in un bugigattolo della torre del Monastero Maggiore o nella tribuna di una Chiesa, e che mentre uno scolaro faceva le provviste il Direttore cucinava.
Ma queste fatiche non facevano indietreggiare di un passo Don Polvara dai suoi propositi, da ciò che riteneva buono e doveroso compiere anche a rischio della vita.
Coi piedi nell'acqua, col fumo negli occhi, con l'uscio semiaperto per non soffocare gli alunni - raccolgo da testimoni oculari - si filosofava intorno alla necessità del sacrificio per l'anima di un vero artista.
E in mezzo a tanta ristrettezza e miseria non mancava una sana, invidiabile allegria.
Nell'anno seguente, ossia nel 1922, alla prima Mostra d'Arte Cristiana tenutasi nel Chiostro di S. Maria delle Grazie a Milano, la Scuola esponeva già diverse opere, riscuotendo ammirazione per le arti minori, suscitando polemiche per le arti maggiori. E ciò non deve fare meraviglia perché le novità incontrano sempre opposizioni. Nel 1924 - mi riferisce uno dei primi allievi - dietro ordine del padrone, si dovette sloggiare la casa.
Le ricerche di altri locali convenienti non approdarono, perché i prezzi di locazione erano senz'altro proibitivi.
Si prese la risoluzione, che allora era giudicata temeraria, di costruire ex novo una sede.
"Senza denaro, senza conoscenze, diffidati perché poveri e sognatori di arte, osammo - ricorda Mons. G. Bettoli - e l'ardire ci fruttò un non disprezzabile trionfo".
Il 14 giugno del 1924 veniva costituita legalmente la Soc. An. Immobiliare Beato Angelico con capitale nominale di 50.000 lire allo scopo di gestire Immobili a favore della Scuola.
Vennero i primi soccorsi tra i quali quelli dell'allora Arcivescovo di Milano Card. A.Ratti che aveva battezzato e dato il nome alla scuola.
Si acquistò il terreno in via Trivulzio 28.
Iniziarono la costruzione di tré saloni: per l'architettura, pittura e scultura; di tré sale e di sotterranei, e nel novembre dello stesso anno, la scuola apriva i suoi battenti nella nuova sede.
L'insegnamento veniva impartito da un gruppo di valenti professori:
 
  • Direttore Arch. Don G.Polvara Titolare di Architettura.
  • Prof. Vittorio Trainini Titolare di pittura.
  • Prof. Augusto Lozzia Assistente di pittura.
  • Prof. Angelo Righetti Titolare di scultura.
  • Prof. Fortunato De Angeli Titolare di Arti minori.
  • Sac. Dott. Adriano Bernareggi Incaricato per le scienze sacre.
  • Sac. Dott. Virgilio Cappelletti Incaricato di Letteratura.
  • Sac. Don Mario Tantardini Incaricato Storia dell'Arte.
  • Sac. Arch. Giuseppe Polvara Incaricato Scienze dei colori.
  • Sac. Arch. Giuseppe Polvara e Prof. Sac. Carlo Vago Incaricati per la proiezione e prospettiva.
  • Ing. Pino Pasque Incaricato Scienze costruttive.
    L'inverno che succedeva dovette essere penoso nel caseggiato ancora incompleto.
    Si mangiava in cantina e si lavorava in ambienti non sufficientemente asciutti, ciò nonostante la serenità e l'entusiasmo non vennero mai meno.
    Nell'anno 1925 si dovettero aggiungere altri locali a quelli già costruiti, nei quali presero posto alcuni insegnanti, la direzione e redazione della rivista A. C., il personale di servizio e qualche allievo convittore.
    Intanto alle funzionanti attività della Scuola si erano aggiunte, da qualche anno, quelle del ricamo e della confezione di paramenti sacri, quella del cesello e delle vetrate .
    II lavoro ferveva in ogni settore e la Scuola pur nelle sue ancora modeste dimensioni veniva citata a modello. "La Scuola Beato Angelico - dichiarava apertamente Mons. A. Bernareggi - è una affermazione solenne di fede nell'arte cristiana, e un atto di coraggio per ricondurre l'arte alla sua fonte prima di ispirazione, alla religione".
    Infatti la vita della scuola durante il suo primo triennio si svolse normalmente sempre ispirandosi alle direttive della Società degli Amici dell'arte cristiana, benché si noti bene, la Scuola non fosse una emanazione della Società, ne questa avesse degli obblighi verso la Scuola. Società e Scuola, pur condividendo gli stessi ideali, restavano due enti autonomi.
    Don G. Polvara, responsabile della Scuola, credette invece opportuno metterla più direttamente sotto il controllo dell'Autorità Ecclesiastica, e Sua Em.za il Cardinal Tosi, ammiratore e sostenitore dell'opera, le assegnò un assistente per la parte spirituale in Mons. Luigi Testa, l'apostolo della gioventù cattolica studiosa milanese.
    Con questo valido aiuto, nella scuola Beato Angelico la formazione spirituale degli allievi ebbe un forte impulso.
    La produzione della scuola fin dai primi anni risultava abbondante e svariata. Nel campo della architettura aveva già dato la Chiesa di Lalatta (Parma), dono del venerato Cardinal Ferrari alla sua terra.
    Ma la prima costruzione grandiosa in cui si attentarono l'Arch. Don G. Polvara e l'Ardi. Banfi fu con un progetto inviato per il concorso di una chiesa parrocchiale in Padova, fin dall'anno 1920.
    Il progetto fu tra quelli presi in considerazione ma non riuscì vincitore.
    Il risultato del concorso di Padova fu comunque una eccellente affermazione per i due architetti della scuola Beato Angelico. Anche la "rivista di Architettura e di arte decorative", in un articolo dell'Arch. Torres ebbe parole di grande lode per il progetto Polvara-Banfi.
    Più tardi la Scuola presentava un progetto studiato da Polvara e Banfi al concorso per una chiesa da dedicare a S. Carlo in Monza. Questa volta l'esito era favorevole. Nella costruzione di questa bella chiesa si trova un'ottima utilizzazione del cemento armato nell'edificio sacro.
    In seguito la Scuola assunse la costruzione di altre due chiese: la chiesa parrocchiale di Costozza (Vicenza) e quella di Agrate Brianza.
    "In queste due chiese al modello antico apparente, è congiunta una modernità di interpretazione che piace e lascia l'impressione di un'attuazione sentita e non di una semplice rifrittura archeologica" si legge in un articolo di A. C. dell'anno 1924.
    Tante altre opere architettoniche vennero commissionate alla Scuola, la quale ormai aveva dato prova di notevole ed apprezzata abilità in questo ramo importante dell'arte sacra. Meno abbondante allora risultava l'attività della Scuola nella pittura. In questo campo della pittura il dissidio, fra arte sacra e arte moderna era stato più accentuato.
    Purtroppo la pittura moderna, anche quella che poteva avere la possibilità di un senso religioso, rimase incompresa al clero e subì si può dire, un assoluto ostracismo dalla casa di Dio. Tuttavia la Scuola potè già preparare le decorazioni per le chiese di Monza e di Agrate, decorazioni pregevoli per la loro perfetta fusione con l'architettura.
    Anche nella scultura la scuola ebbe in questi suoi primi anni una attività limitata a motivo della concorrenza della solita arte industrializzata. E' giusto però ricordare almeno 11 ricco tabernacolo di S. Calmiero (Milano), le statue di legno di S. Francesco e S. Luigi per Busca, quella del S. Cuore e l'alto rilievo pure di legno di S. Antonio per la Chiesa di San Vincenzo in Prato a Milano, opere eseguite dagli scultori maestri della scuola. Nel settore delle arti minori invece, la scuola aveva già raggiunto una eccellente affermazione. Calici, Pissidi, estensori, Lampade, Candelieri in ferro battuto; stoffe ricami, tagli d'abiti liturgici, bandiere, stendardi baldacchini, tutto questo aveva già saputo produrre, in così poco tempo. L'esperienza di tré anni aveva così mostrato alla Scuola più chiaramente per quali vie essa poteva arrivare con maggior sicurezza ai suoi scopi. Di qui la elaborazione anche di un indirizzo artistico più ben delineato ed equilibrato, e una riorganizzazione interna su basi più salde.
    Tuttavia non mancava chi discutesse sull'indirizzo della Scuola; ma ciò era ovvio. Solo l'arte eccletica e generica che non si sforzava di creare; l'arte incolore e sopravvissuta, sfuggiva ancora alle critiche, ai dissensi della maggioranza dei contemporanei. Ma ciò non poteva accadere per l'arte della Scuola Beato Angelico, che doveva avere come una delle sue principali ragioni di essere, proprio l'orientamento dell'arte moderna a servizio del tempio.
    E' ora di domandarci che cosa pensasse la Chiesa di questa nuova Opera che ormai aveva avuto una risonanza nazionale e oltre.
    Il suo pensiero veniva espresso in una lettera che il S. Padre, tramite la Segreteria di Stato, faceva giungere al direttore in data 14 giugno 1924.
    Eccone uno stralcio: ";..Il rapido sviluppo, avuto in così breve giro di anni, della geniale iniziativa della scuola di arte cristiana, mentre conferma la reale opportunità e l'indole pratica dell 'impresa, è da sé solo ottima garanzia di successo e consolante promessa di fecondo avvenire. All'incoraggiamento che recano per sé i primi felici risultati, il S. Padre ben di cuore aggiunge il suo, e mentre si compiace della lodevole, illuminata alacrità degli Iniziatori, approva il divisamente di dare un chiaro e pratico saggio dei suoi propositi per il maggior decoro della casa di Dio".
    Nel settembre dello stesso anno il S. Padre Pio XI si degnava di ricevere in udienza privata il Direttore della scuola per esprimergli a voce il suo paterno compiacimento.
    Poco più tardi l'abate Ildefonso Schuster, divenuto presidente della Pont. Commissione centrale per l'arte sacra fondata a Roma nell'anno 1925, faceva pervenire a Mons. Polvara questa devota attestazione: "Ildefonso Schuster abate ordinario della Basilica di S. Paolo, Preside della Pont. Comm. Centrale per l'arte sacra esprime il voto intenso del cuore, che la scuola Beato Angelico, così ricca di liete speranze, fiorisca e dilati sempre più la sua vita, ed assicuri all'arte ecclesiastica, specialmente nella nostra penisola che dell'arte sacra fu sempre madre feconda ed autrice, quel rinnovamento spirituale, che tanto efficacemente può cooperare, e di fatto opera, a quella intensificazione dello spirito cattolico, che è nel voti dell'Episcopato e del Supremo Pontefice. Milano 18-2-1977".
    Mons. Polvara, che fu sempre rispettosissimo nei riguardi dell'autorità, avuta una così consolante conferma della bontà dei suoi sforzi si impegnava a centuplicarli.
    Ancora nell'anno 1925 la Scuola dovette pensare a ricostruire la "Società Amici dell'Arte Cristiana" che si era sciolta.
    Il prof. Don M. Tantardini designato segretario, in Arte Cristiana del 1924, presentava lo statuto nuovo, volendo dare all'Associazione un'altra struttura organica, pur restando identiche le finalità, e cioè una fisionomia più "familiare e più intima".
    Alle altre iniziative si aggiunse quella dei ritiri per artisti che si tenevano in località adatte.
    Ottime persone desiderose di unire la propria collaborazione in una campagna tanto bella si riunirono a formare il Comitato patronesse, che aveva come principale scopo quello di fare conoscere la scuola stessa nel suo alto ideale di rinnovazione e di elevazione dell'arte contemporanea.
    Già fin d'ora il seme gettato germoliava e dava succosi frutti.
    Al termine dell'anno scolastico 1924-1925 i primi tré allievi avevano superato brillantemente la loro preparazione nella scuola. Veniva concesso con lode il titolo di maestro- architetto al Sac. Don G. Bettoli, che poi si univa a far parte del corpo insegnante della scuola e a collaborare alacremente nel settore della architettura; il titolo di maestro-architetto al sig. Fortunato De Angeli; il titolo di maestro pittore al giovane Ernesto Bergagna.
    A tutto questo fiorire di promettenti risultati non andavano però disgiunte penose apprensioni.
    Gravi difficoltà finanziarie premevano sul grande cuore di Mons. Polvara sempre aperto ai bisogni altrui, tanto che dovette, lui così restio a chiedere per sé, lanciare un appello di soccorso agli amici. Urgeva nuovo spazio per l'afflusso degli allievi.
    Nella circolare che il Direttore, che da poco era stato nominato Canonico della Basilica di S.Ambrogio, inviava agli amici, tra l'altro diceva: "...ci piange l'animo al pensiero che in questo nuovo anno scolastico 1925-1926 noi abbiamo dovuto rinunciare a urgenti iniziative e abbiamo dovuto lasciare lontano dal nostro insegnamento giovani buoni e appassionati per mancanza di posti e di mezzi.
    L'opera nostra è troppo santa e urgente e noi non possiamo stare con le mani in mano come servi inutili ad aspettare che gli eventi maturino da se...".
    Questo accorato appello veniva fortunatamente accolto da molti ammiratori dell'opera di Mons. Polvara. Si costituì un apposito comitato intitolato "Pro Metro", che si occupò di questa battaglia di raccolta fondi per l'acquisto di altro terreno. Si chiedevano 100 lire per ogni metro di detto terreno.
    Tra i primi accorsi all'appello il S. Padre Pio XI, i fratelli Polvara e altre buone persone che con le loro generose offerte permisero al Direttore di sperare in un ulteriore ampliamento della scuola.
    Notevole importanza ai fini proposti, avevano i Congressi nazionali che venivano indetti dall'Associazione degli amici dell'Arte Cristiana con la Scuola Beato Angelico.
    In quello svoltosi ad Assisi nel settembre del 1926 si è potuto notare la partecipazione anche di alte personalità ecclesiastiche e della cultura, la cui presenza significava una conferma dei meriti della Associazione e della Scuola, e della validità dei loro obiettivi.
    Proprio durante questo III Congresso di Assisi, l'opera di Mons. G. Polvara si affermava pienamente e veniva riconosciuta la sua vitale importanza in ambito nazionale ed intemazionale.
    L'arch. Don G. Bettoli, apprezzato e devoto collaboratore, si era impegnato in una precisa e chiara illustrazione della Scuola d'Arte Cristiana, dei suoi fini e delle sue realizzazioni.
    La Scuola presentata all'esame dei congressisti nelle sue origini, nella sua natura, nei suoi propositi e nelle sue benemerenze sia nel campo dell'insegnamento, quanto in quello della produzione, provocò un cordiale plauso da parte del congresso e vivissimi voti di prosperità. Calorosi applausi erano seguiti anche alla brillante relazione del Direttore Mons. Polvara, nella quale aveva messo a punto come dall'architettura, sintesi di tutte le arti, deve prendere le mosse l'arte Cristiana per risorgere. Secondo Mons. Polvara non c'è arte sacra perché non c'è architettura sacra moderna.
    A questa bisognava arrivare allacciandosi al passato che meglio prudusse per la casa di Dio, ma non per ripeterlo in edizioni peggiorate; solo invece valersi dei suoi buoni insegnamenti onde arrivare alla creazione di uno stile che si possa dire moderno in relazione coi nuovi metodi costruttivi, coi gusti e con le possibilità nostre. Allora anche il decoratore moderno troverà l'ambiente adatto per l'opera sua che sarà più viva, più sentita, più bella. Tutto ciò era quello che si voleva realizzare alla Scuola Beato Angelico. Infatti nel 1928 risultavano già costruite 22 tra chiese e cappelle, eseguite diverse opere di decorazione e di scultura. E l'esame di tutta questa produzione aveva ormai trovato molti competenti che vi riconoscevano ottimi sintomi di sana rinnovazione, ispirata alla migliore tradizione, ma più libera e nuova.
    Nel frattempo, pur nell'assorbente, quasi estenuante attività, Mons. G. Polvara sentiva la voce di Dio che gli additava un ideale, che già da qualche anno coltivava segretamente in cuor suo, ma che solo dopo lunga e penosa gestazione avrebbe potuto relizzare.
    Agli inizi dell'Opera, come abbiamo visto, il programma della Scuola era limitato al problema di risolvere la fusione degli studi accademici, sul modello delle gloriose botteghe della rinascenza, dove maestri e allievi collaboravano con i medesimi intenti. Ma l'esperienza di sette anni di lavoro andava persuadendo il Direttore che ciò era ancora troppo poco, e che non poteva bastare a portare un efficace contributo alla rinascita dell'arte sacra. Col suo acuto intuito egli si avvide della necessità di un'unica direzione che tutto coordinasse. "Soltanto così - affermava il Direttore - può nascere un vero concerto, dove tutti gli artisti portano il contributo della loro arte e della loro genialità inventiva, ma dove tutti sono diretti da una sola mano e da un solo intelletto, alla identica meta" (A.C. ottobre 1928).
    Mons. Polvara, pur aperto com'era sulla necessità e sulla possibilità di un arte moderna, non disdegnava ciò che la storia può insegnare.
    Secondo il suo giudizio era opportuno, anzi necessario che artisti e professori si unissero a formare una corporazione sul modello di una famiglia, in cui tutti potessero con fede, umiltà e purità dedicarsi esclusivamente alla grande missione.
    E in un articolo pubblicato in A.C. dell'ottobre 1928 fa trapelare il suo nobile sogno: "...le meravigliose cattedrali lombarde, romaniche e gotiche fiorirono quando vissero le corporazioni di artefici che si iniziarono con le maestranze comacine e cessarono con le corporazioni monastiche.
    Quando cioè un esercito di artisti animati di entusiasmo per la bellezza della Casa di Dio e ripieni di fede e di amore per Lui abbandonavano le loro case, i loro paesi per convivere insieme in una vita sacrificata per l'esaltazione della bellezza divina. E più ancora quando queste maestranze furono veramente formate da monaci; i quali dato l'addio a tutte le cose del mondo, si ritiravano a lavorare in preghiera ed ogni loro linea, ogni pennellata, ogni colpo di scalpello o di bulino era un pensiero, ed un inno al Creatore".
    Mons. G. Polvara, come si è già potuto notare, era uno di quegli uomini che sanno perseguire tenacemente un'idea e subordinano ad essa tutta la loro esistenza.
    Infatti egli, sacerdote, artista, direttore e superiore, raccoglieva le sue esuberanti energie in un centro focale: lo zelo per il decoro della Casa di Dio.
    Sempre coerente e animato da questa passione, egli pensava di dover dare alla sua Scuola un'impostazione che garantisse una continuità, affinchè la missione intrapresa a servizio della Chiesa non si perdesse nel tempo.
    L'ardito progetto era stato ormai svelato, e l'invito a seguirlo veniva esteso agli artisti in primo luogo, e a tutte le persone di buona volontà cui stava veramente a cuore la glorificazione di Dio attraverso l'esaltazione della Sua Increata Bellezza.
    "Sine effusionis sanguims non fiat remissio".
    Forse nel suo ingenuo candore che lo tratteneva nelle sfere più alte dello spirito, Mons. Polvara non immaginava che da quel momento gli sarebbe toccato uno di quei dolori capaci o di schiantare o di sublimare un cuore. Si sa che ogni ascesa verso mete più sublimi chiede il contributo di dolore e sofferenze anche atroci.
    E Monsignore non si ritrasse e lo pagò abbondantemente.
    Ma non tutti i suoi amici gli si associarono. La vocazione religiosa è un dono di privilegio pertanto non deve stupire che l'idea di una vita associata e in comune, abbia dato luogo ad animate discussioni tra i mèmbri della scuola, che non tutti i suoi collaboratori abbiano potuto condividere l'alto e quanto difficile ideale, e che richiedesse molto tempo prima che si concretasse pienamente.
    Tuttavia la scuola continuò con il solito ritmo di fervore.
    Nell'anno scolastico 1929-1930 in seno alla stessa scuola si aprì la scuola di musica sacra e di canto gregoriano. Era conforme alla sua indole il voler che anche la musica e il canto, destinati al decoro delle sacre funzioni, venissero appresi scientificamente e religiosamente.
    Di questo periodo risulta la data della pubblicazione del primo numero dello "Amico dell'arte cristiana", supplemento alla rivista, del quale la Società degli amici dell'arte cristiana e la Scuola si volevano servire per la diffusione più popolare delle loro attività e per la formazione estetica dell'anima.
    Tante altre attività, che potremmo chiamare parascolastiche, come le Settimane artistiche e le lezioni d'arte nei seminari, le edizioni di trattati d'arte e di immaginette non permettevano alcuna tregua.
    Un altro problema che non si era voluto trascurare fu quello dell'assistenza alle modelle che prestavano servizio nella Scuola. Si fondò allora "L'Opera modelle" consistente nell'assistenza spirituale e morale che veniva esercitata specialmente nelle giornate festive con conferenze, ritiri e ricreazioni.
    In questa breve storia della Scuola non è possibile, per evitare di essere lunghi, tralasciare almeno un accenno su una vicenda che ha la sua importanza. Sin dall'anno 1928 Mons. G. Polvara con suo immenso piacere che poteva pareggiare con l'onere che gli sarebbe toccato, potè occupare nonché occuparsi del vetusto monumento di S. Pietro al Monte sopra Givate, che aveva scelto come dimora estiva ideale per la sua famiglia spirituale.
    Ci sarebbe troppo da dire a proposito di ciò che fece il nostro Fondatore per salvare da irreparabile rovina uno dei più bei monumenti romanici di Lombardia. C'era molto, per non dire tutto, da rifare.
    Ci basti la testimonianza del Dott. Ugo Nebbia; allora sovrintendente ai monumenti ed ammiratore del nostro Direttore, apparsa in un articolo commemorativo su Arte Cristiana, marzo-aprile 1950: "...se oggi di S. Pietro al monte e di S. Benedetto non si parla più come di due pittoreschi ruderi votati all'abbandono o ad un fatale deperimento, si deve alla fede, alla tenacia; alla passione per ogni cosa bella di Mons. Polvara".
    Tra queste sacre mura Mons. Polvara si immedesimava totalmente alla spiritualità di quei bianchi monaci che prima di lui vi avevano vissuto, sotto l'egida del "Ora et Labora". Anche lassù la preghiera e il lavoro avevano il loro posto preciso e i rari sollazzi che si concedeva, consistevano nelle soste vespertine trascorse ad ammirare, quasi rapito, gli stupendi, rosati tramonti.
    La sua famiglia artistica, lassù tra lo ampio e silenzioso paesaggio, tra la maestosa ricchezza d'arte del tempio e la povertà francescana della casa, temprava le forze e lo spirito per poi riprendere le proprie attività con i-innovellate energie.
    L'anno 1931 vide la Scuola impegnatissima in una mostra intemazionale d'arte sacra. Con tale mostra, indetta dalla Società degli Amici e dalla Scuola e premurosamente sollecitata da Sua Em. il Card. I. Schuster, da due anni, arcivescovo di Milano, si voleva celebrare una duplice ricorrenza: il terzo centenario della morte del Card. Federico Borromeo, mecenate e fondatore della Ambrosiana e della prima accademia di arte ad essa unita, e il decennio di vita della Scuola Beato Angelico, in felice coincidenza.
    L'esposizione ebbe luogo nei mesi di novembre e di dicembre nel palazzo della Permanente di Milano. La Scuola era presente con molte opere di architettura, di pittura, di scultura, di arti minori e paramenti liturgici. Maestri, ex allievi ed allievi in quella occasione diedero prova soddisfacente di capacità, avvalorata dalla nobiltà di indirizzo, dando lustro alla Scuola e al suo Direttore che si battevano indefessamente in una diuturna campagna per la elevazione dell'arte e degli artefici.
    Da quel medesimo anno, compiuto il primo ciclo di prova decennale, doveva maturare secondo i disegni di Dio, un tempo nuovo per la Scuola Beato Angelico.
    COME SI CONCRETA GRADUALMENTE L'IDEALE DI MONS. G. POLVARA
    In un primo tempo, "nell'intento di riacquistare alla Chiesa un campo interamente abbandonato da più di un secolo, e cioè il campo dell'arte sacra, per poter di nuovo rivelare agli uomini gli splendori della divina bellezza", Mons. G. Polvara aveva concepito un piano di corporazione di artisti disposti a dedicarsi ad una produzione di arte sacra, ma in seguito vide "con maggior chiarezza" che questi artisti e collaboratori sarebbero dovuti essere religiosi e religiose, perche una società di anime alla ricerca dell'Assoluto nella pratica dei consigli evangelici e della vita in comune, avrebbe sentito meglio la necessità di effondere nelle sue opere quei doni di grazia e di verità attinti dalla quotidiana contemplazione di Dio e dalla totale dedizione al suo servizio.
    Intanto la rivelazione di questo nobile disegno, fatta sin dall'anno 1928 andava operando una naturale selezione tra i mèmbri della Scuola Beato Angelico. C'era chi pensava di rimanervi accettando di vivere la vita di consacrazione a Dio per dedicarsi esclusivamente alle attività della Scuola, altri che sarebbero rimasti solo come collaboratori dell'Opera, pochi altri che addirittura abbandonavano la Scuola, anche se con non poco rimpianto.
    Nel frattempo Mons. G. Polvara aveva tracciato uno schema di Statuto che doveva regolare la vita degli associati.
    Sulla traccia di quello degli Oblati di S. Carlo, il Regolamento comprendeva l'emissione del voto privato di permanenza nella Scuola, del voto di ubbidienza al legittimo superiore nell'osservanza delle regole che comportava altresì la cessione a favore della Scuola di ogni provento materiale. I laici (giovani e signorine) dovevano emettere anche il voto privato di castità.
    Il sacerdote chiamato a far parte della famiglia doveva rinunciare ad ogni ufficio stabile di cura d'anime. Tutti i sodali dovevano escludere qualsiasi miraggio di lucro e di fama, mentre potevano e dovevano nutrire l'ideale di riuscire valenti, ma solo in vista della gloria di Dio e per il bene degli artisti.
    Dovevano accontentarsi di un assegno annuo, uguale per tutti, che poteva bastare per il vestiario e le eventuali necessità personali. La Famiglia poi doveva provvedere secondo i propri mezzi al vitto, all'alloggio, agli studi, alla assistenza medica e a quei viaggi necessari per ragioni di studio e di cultura, e assicurava alla vecchiaia un onorevole riposo. Nella Famiglia venivano accolti non solo gli artisti, ma anche quelle persone che potevano riuscire utili alla Scuola per il disimpegno di vari uffici.
    La Famiglia veniva così ad assumere la fisionomia di un cenobio con scuola-bottega, composta di due sezioni, una maschile e una femminile.
    La fraternità e la collaborazione dovevano essere guidate dal Regolamento religioso, morale, disciplinare, approvato dall'autorità ecclesiastica; la vita spirituale era ispirata principalmente alla liturgia della Chiesa cattolica.
    Codesto Statuto veniva approvato in via di esperimento dal Card. A. Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano, il 13 Aprile dell'anno 1934 .
    I Era questo uno dei gradini che dovevano condurre a quel piano su cui il fondatore pensava di stabilire la sua Famiglia Religiosa.
    Infatti dagli scritti del fondatore appare costante l'anelito a una meta ben definita verso la quale procedeva passo, passo, costantemente, senza smarrimenti e alternative, nonostante gli interminabili ostacoli che vi incontrava e che avrebbero potuto far cadere chiunque non avesse la certezza di eseguire un preciso comando divino. Egli sfuggiva come da cattivi consiglieri coloro che, vedendolo sballottato tra le più penose difficoltà, lo esortavano a tirare i remi nella barca e ad accontentarsi di quello che con onore già faceva per la Chiesa. Ma era troppo convinto, e nessuno può negare, che ogni apostolato non ha che da guadagnare quando chi lo svolge è libero da mire, da preoccupazioni e sollecitudini personali. Se cosi non fosse non avrebbero ragion d'essere le molteplici congregazioni religiose nella Chiesa. E perché alla missione in favore dell'arte sacra e degli i artisti non si doveva pensare di assicurare un tale i beneficio? Mons. Polvara che aveva compreso, più di ogni altro,l'importante ruolo dell'arte sacra a servizio della santa religione, non esitò a rinunciare a tutto per rendersi totalmente disponibile a questo nuovo apostolato nella Chiesa di Dio.
    "...Vogliamo il porrum unum necessarium della Maddalena - lascerà scritto ai suoi figli - che tenga noi incatenati da indicibile amore al piedi del Maestro, che ci dia forza di trascinare con noi tante anime. Raramente l'arte di chiesa raggiunge un'alta meta e solo nei momenti di maggior fede: noi vogliamo che diventi tutta la nostra vita.
    Ecco il nostro programma... Da queste considerazioni è nata la nostra Scuola Superiore d'arte Cristiana, è nata faticosamente la nostra comunità e dolorosamente si è epurata a diventare Famiglia religiosa.." (dagli scritti).
    Egli si sentiva irresistibilmente attirato verso la vita cenobitica che non cerca onori, non ambisce ricchezze e non brama soddisfazioni se non quella di dar gloria a Dio. Per questa strada conduceva i suoi fedeli seguaci.
    Una tale successione di tappe e di termini verso una forma di vita migliore, nella mente del fondatore, non doveva però equivalere a un mutamento del fine cui ha sempre mirato, bensì a un perfezionamento dei mezzi, degli strumenti per attuarlo. Infatti leggendo la parte introduttiva dello Statuto per la Famiglia del 1934 ce ne possiamo assicurare. "Per risollevare davvero l'arte sacra, per arricchire di nuovo la veste della Chiesa di gemme nuove, si comprese la necessità di avere degli artisti veri e grandi, ma soprattutto credenti e di una fede viva ed attiva. Di qui sorse l'idea di una Scuola Superiore d'Arte Cristiana che lavorasse a creare opere degne per pensiero, per bellezza tecnica, e che coltivassero un seminario di artisti, il quale aumentasse le falangi per le battaglie venture.
    Ma la diuturna esperienza ha dimostrato che anche quest'opera non sarebbe stata sufficiente. Sono troppi i preconcetti, i traviamenti del gusto artistico cristiano, gli interessi umani che si oppongono al lavoro per l'ideale superiore e spirituale, troppe le passioni personali e gli individualismi: onde si è sentito profondamente la necessità di formare un pio consorzio di artisti cristiani, una maestranza spirituale, una Famiglia che legasse in santo vincolo i cultori delle arti sacre. Li collegasse in una vera vocazione religiosa alla loro missione nel campo dell'arte sacra, in un lavoro che assicurasse l'attività i e tutte le forze di tutta la vita in una fraternità bene organizzata all'ubbidienza pia di un capo, il quale a sua volta dovesse ricevere gli ordini dall'autorità ecclesiastica per tradurle in espressione d'arte".
    Da ciò risulta evidente che Associazione "Amici dell'Arte Cristiana", Scuola Superiore Beato Angelico, Famiglia Religiosa, non sono state che tappe o, se vogliamo, elementi strumentali di volta in volta sempre più perfetti, per giungere ad un'unica meta, ad un identico fine che è la rinascita di un'arte cristiana a servizio della Chiesa.
    Presa questa decisione si doveva pur pensare ad una sistemazione residenziale conveniente che comprendesse, in ambienti ben distinti e separati, le due Comunità, le aule, i laboratori sufficientemente attrezzati e i vari uffici.
    Non era possibile però contare sulle deboli forze finanziarie della Scuola.
    Che cosa si poteva fare? Quando c'è l'amore non c'è barriera che resista!
    Il 16 Giugno 1934 il direttore Mons. G. Polvara doveva celebrare il 25" anniversario di sua ordinazione sacerdotale. Per una grande riservatezza innata in lui, a qualche audace che sussurrava di festeggiamenti, aveva risposto scrollando la testa che sarebbe stato tempo sciupato. Il rifiuto non disarmò tuttavia Coloro che gli volevano bene e che ammiravano la sua opera. Pensarono anzi non ci poteva essere circostanza più propizia per lanciare una proposta agli Amici ed invitarli a procurare a Monsignore un dono tanto desiderato : il terreno per costruirvi una grande sede. Si costituì subito un comitato, si corse e si ricorse per la tumultuosa Milano, adocchiando appezzamenti di terreno, chiedendo prezzi, che risultavano sempre favolosi. Il bollettino "Amico dell'arte cristiana" acconsentì entusiasticamente di farsi portavoce ufficiale di tale movimento. La proposta "audace" raccolse in breve molte adesioni e vivi consensi. Ormai le benemerenze della scuola e del suo indefesso direttore inducevano molte persone a ricordare, quale tributo di stima e di riconoscenza, il suo 25" di ordinazione sacerdotale.
    Dopo varie trattative si decise sul terreno da comprarsi. L'ubicazione piacque all'Em.mo Card. Schuster, arcivescovo di Milano, che spontaneamente si assunse l'alto patronato dell'iniziativa e si rallegrò che finalmente l'Istituzione, purificata da continue traversie, si stabilisse in una degna sede.
    Altri Ecc.mi Vescovi inviarono la loro adesione e benedizione. Di particolare conforto giungeva quella del S. Padre Pio XI che aveva seguito sin dalle origini gli sviluppi della Scuola. Sarebbe troppo trascrivere qui le attestazioni assai significative che giungevano ogni parte d'Italia, al Fondatore. Rimandiamo i lettori alla lettura dei fascicoli di "Arte Cristiana" e del "Bollettino" del dicembre dell'anno 1934.
    ' Volendo far coincidere i festeggiamenti di Mons. Polvara con la posa della prima pietra della nuova sede, (si, perche soltanto a questo patto si sarebbe rassegnato a lasciarsi festeggiare) si dovettero rimandare all'autunno successivo, quando il miracolo, frutto della confidenza in Dio e della fiducia negli amici, poteva giungere a matura- zione .
    Seimila metri quadrati di terreno, una verde distesa percorsa da rivoli di acqua, tra l'area di viale Pisa, ancora pressoché solitària, era ad attendere vita, una vita di preghiere e di opere che la giovane Istituzione vi avrebbe portato.
    Il 16 dicembre 1934 vedeva radunati attorno a Mons. G. Polvara,'"m gioiosa solennità, molti collaboratori, allievi e amici. Il festeggiato celebrò, palesemente commosso, la sua Messa Giubilare nelle chiesa di S. Sepolcro, dopo la quale volle esprimere ai numerosi convenuti i suoi ringraziamenti ed esternare con accenti di sincera convinzione, la consapevolezza della sua indegnità per la grande missione che Dio gli aveva affidato.
    Quasi tutti i quotidiani milanesi, oltre 1' Osservatore Romano ed altri, uscirono portando, con la notizia della posa della prima pietra, il progetto della nuova grande sede che la Famiglia Beato Angelico doveva erigere in prossimità del vasto piazzale Giovanni delle Bande Nere. Nel pomeriggio del medesimo giorno, Sua Em. il Card. A. I. Schuster, circondato da una grande folla plaudente, svolse la religiosa cerimonia. Vescovi, autorità religiose e civili, che qui non possiamo enumerare, vollero presenziare per testimoniare a Mons. Polvara, pioniere del grande movimento in favore dell'arte sacra, la loro benevolenza, ad incoraggiamento per gli sviluppi della sua bella opera.
    Più che la cronaca della straordinaria giornata a noi interessa il valore e il significato della devota e sentita celebrazione, a ricordo della quale si volle dedicare il fascicolo di dicembre di "Arte Cristiana" di quell'anno.
    In questo numero unico, in cui e stata raccolta la vasta testimonianza di consensi, di stima e di affetto, venne inoltre tratteggiata la figura del Fondatore con le sue benemerenze e le sue aspirazioni.
    Quanto poi sia costato al festeggiato, estremamente schivo di onori e di complimenti, sottostare a tanta incensazione tributata alla sua persona, è bene espresso in una parabola che egli stesso compose a conclusione della festa, con la quale come dice il titolo, voleva far luce sulla verità, cioè disingannare tutti con la confessione della propria miseria che lo rendeva strumento indegno e immeritevole di qualsiasi considerazione.
    E' bene ricordare che di questi sentimenti di vera umiltà, che danno la misura della sua grandezza, traboccano si può dire, tutti i suoi discorsi e 1 suoi scritti . Anche quando faceva prevalere la sua voce sostenendo con forza certe tesi, appare evidente come egli si sia sempre considerato niente altro che uno strumento nelle mani di Dio. Ed era proprio questa solida convinzione che gli forniva il coraggio, la tenacia di resistere nella lotta, anche quando prevedeva che difficilmente sarebbe uscito illeso dalla mischia.
    Ripetutamente, specialmente quando gli giungevano attestati di lode e di stima scandiva questa affermazione:
    "noi siamo convinti che il Signore ha voluto affidare a noi questo mandato e solo ci siamo meravigliati che egli abbia guardato a noi strumenti cosi miserabili ed indegni, mentre avrebbe potuto scegliere anime sante... "Nel direttorio spirituale viene infatti ribadito questo pensiero : ". . .Lo Spirito Santo ha illuminato anche noi a vedere nuovi splendori, più intensi di pensiero a rivelare la sua increata bellezza. E' quindi nostro dovere inabissarci innanzi a Dio, innalzare a Lui un inno di lode e di grazie mentre pensiamo alla nostra miseria. Lo strumento acquista la maggior potenza nel suo operare dalla mano che lo guida, però qualche qualità apporta anche da parte sua. Uno strumento perfetto facilita l'azione dell'operatore, uno strumento imperfetto la rende più difficile. Di qui la necessità e il dovere che noi abbiamo, come strumenti in mano di Dio, di renderci il meno indegni possibile. E ciò possiamo fare con l'aiuto della Grazia dalla quale siamo invitati ad una vita purgativa, illuminativa, unitiva. Quando sapremo lavorare uniti in Cristo faremo meraviglie..."
    Ciò spiega la sua insistenza a che tutti i suoi figli fossero pienamente convinti che ogni apostolato non si dispiega sul piano soprannaturale senza mezzi soprannaturali; di qui la necessità di una vita santa, veramente protesa alla ricerca sincera e costante di Dio. E questo spiega ancora perché il clamore delle risonanti manifestazioni non abbia mai lusingato il Fondatore. Non quello che aveva fatto, ma quello che ancora rimaneva da fare costituiva la preoccupazione del suo spirito, ben lungi dal cullarsi sui conquistati allori.
    Alla già grave responsabilità di Direttore era venuta ad aggiungersi quella di superiore della Famiglia religiosa.
    Anche questa naturalmente doveva affermarsi e crescere, alimentata soprattutto dal sacrificio di Mons. G. Polvara. E' certo che la somma degli assillanti impegni lo avrebbe portato presto ad uno sfibramento fisico, se non avesse avuto sempre il correttivo della riflessione calma, attenta a scoprire il momento giusto e la misura adeguata per ogni cosa, volta per volta, solo e sempre per la maggior gloria di Dio.
    Il terreno e il progetto per la nuova sede erano ormai pronti, ma quando si sarebbe compiuta l'opera? Era l'interrogativo che spronava a confidare nella divina Provvidenza e a lavorare con sempre maggior impegno.
    E' da ascriversi a questo periodo lo sviluppo della seconda parte del programma del Fondatore, cioè l'assistenza agli artisti, compresa nell'Opera Beato Angelico facente capo prima alla Scuola e poi alla Famiglia.
    Dalla cronaca pubblicata nel fascicolo di marzo 1935 del bollettino "Amico dell'Arte Cristiana" che dava l'annuncio di un corso di estetica che Mons. G. Poi- vara teneva agli artisti, riporto : "... La opera di assistenza spirituale per gli artisti che la Scuola Beato Angelico ha promosso a Milano, non si limita a radunarli per la S. Messa festiva, che sarebbe già molto, ma si preoccupa anche di elevare lo spirito di tutta la classe dei creatori ed esecutori di opere d'arte, col correggere certe false ideologie a proposito del bello, della sua natura, delle sue funzioni...". Questa attività, che vedeva impegnati i mèmbri e i collaboratori più idonei, in conferenze, giornate di studio, ecc... e che l'autorità ecclesiastica sollecitava e benediceva ( 1 ), si può concepire in un duplice aspetto.
    1) Come l'estensione dell'opera formativa che già si impartiva agli allievi : "...ai quali si deve spezzare il pane della materia e dello spirito dell'arte, perche la bellezza, come la verità e la bontà, abbiano a diffondersi e fruttificare nel più grande raggio possibile a vantaggio della S. Chiesa ed a gloria di Dio..." (dal Direttorio Spirituale).
    2) Come forma di apostolato diretto, inerente alla missione stessa dell'Istituto.

    Il Fondatore, potendo contare sulla disponibilità dei collaboratori che con lui si erano votati al nobile ideale, decise di estendere l'apostolato di bene agli artisti di tutti i settori dell'arte.
    Infatti lo Statuto del 1934 della Famiglia dice a proposito : "... Incalzati dagli avvenimenti... la Famiglia Beato Angelico si permise lo sviluppo di altre opere laterali, come la propaganda di bene in Nota (1) Si legga in "Amico dell'A.C." n. 1, anno 1934, le lettera che Sua Em.za il Card. A. I. Schuster inviò a Mons. G. Polvara in merito. Fine nota mezzo agli artisti già maturi, ma lontani dalla nostra mentalità...."
    Nell'anno 1935 nasceva "Theatrica", rivista mensile del grande teatro cristiano. Ai pavidi che ponevano obiezioni, vedendo una sproporzione tra i mezzi e gli impegni assunti, Mons. G. Polvata rispondeva : "Siamo persuasi anche noi che sarebbe maggior fortuna l'aver una pianta carica di frutti, dalla quale poter raccogliere, ma se questa pianta non c'è ancora bisognerà che ci mettiamo a dissodare il terreno, dove è possibile, e porre il seme e stare vigilando all'opera, sino a tanto che la pianta sia cresciuta" ("Amico dell'AC.," I, 1935).
    Secondo Mons. Polvara era necessario che anche il teatro fosse riformato, perché ridiventasse veicolo di bene in mezzo alla società.
    Ma chi provvedeva alle spese esigile da un sinule apostolato? "Quaerite primum regnum Dei ed omnia adttcentur vobis", aveva detto Gesù.
    Sostenuto da questa fede il Fondatore estendeva la sua battaglia, purché il regno di Dio si dilatasse anche attraverso l'arte e i suoi artefici. Occorre dire che l'alimento per una vita così dinamica, la Famiglia lo riceveva quotidianamente nella piccola e devota cappella, quasi catacomba, che vedeva radunati insieme i mèmbri per la celebrazione dei divini misteri, memori dell'avvertimento del Signore: "Quando due o più persone sono radunate a pregare in nome mio, io sarò con loro".
    Nutrendosi del Corpo di Cristo e della divina parola, intensificavano la loro vita intcriore come condizione indispensabile a controbilanciare il dispiego di tante forze, e come segreto per un proficuo apostolato.
    Non si pensi però che il maligno, nemico del bene, avesse cessato di circuire, nell'intento di abbatterlo, il piccolo naviglio che dirottava verso il buon porto. Da questo stato di cose il Fondatore ricavava simili riflessioni:
    "Quando pensiamo all'odio (che ci circonda) siamo costretti a fare una meditazione sui nostri difetti che il Signore vuoi castigare, o sulla nostra fede che la Provvidenza vuoi mettere alla prova, e quando pensiamo all'amore non sappiamo spiegarci tanta generosità se non nel conforto più grande che il Signore vuoi dare, non a noi poveri uomini, ma all'opera che il Signore, Jure. castigando noi. non vuole abbandonare..." ("Amico A.C.", 4, 1936).
    Che si perseguiti un' opera tesa a promuovere la gloria di Dio non deve meravigliare. Anche la Chiesa, fondata da Gesù e modello di ogni istituzione, non ha ancora cessato di segnare col sangue il suo cammino incontro ai popoli. La guerra, a base di pregiudizi e di calunnie, che non cessava di infierire contro la giovane Istituzione la stimolava, se non altro, a mantenersi in una vigile umiltà e le toglieva il pericolo di una ricerca di facili, accomodanti posizioni, possibili quando vengono a mancare le prove purificatrici.
    Non mancavano però anche tra le file del clero e dei seminaristi, entusiasti per questo nuovo apostolato nella Chiesa, coloro che con l'amicizia, sostenevano e incoraggiavano. E' qui doveroso ricordare il nome di Mons. Adriano Bernareagi che Mons. Polvara, in un suo scritto, non esitò a considerare confondatore della Scuola, per la pro- fonda, fraterna solidarietà e collaborazione, l'aiuto morale, l'illuminato consiglio, che non gli lasciò mai mancare specialmente nei momenti più delicati e penosi in cui venne a trovarsi il Fondatore nella realizzazione di quell'ardito ideale che Sua Ecc. il Vescovo A Bemareggl pure sostenne e pienamente condivise fino alla morte. Proprio a questi amici, oltre che alla divina Provvidenza, si deve il merito se dopo quattro anni di trepidante attesa, dalla posa della prima pietra, si è potuto iniziare la costruzione di una parte del grande progetto della nuova sede. Certo, se si fosse trovato un mecenate, che avesse compreso l'utilità di una istituzione "unica nel suo genere, nel mondo" e che aveva già dato dei buoni risultati, non sarebbe andata avanti così a rilento, si sarebbero potuto accogliere tutti gli allievi e i volenterosi collaboratori che per mancanza di spazio si dovevano dolorosamente rifiutare, ma invece, lungo tutto il cammino della Istituzione, non se ne è incontrato neppure uno.
    "Eppure - diceva Monsignore, confrontando la sua fondazione con alcune altre coetanee - anche le nostre fatiche dovrebbero essere accolte nel novero delle opere buone".
    Ma poi si consolava al pensiero che la povertà fu sempre il distintivo delle migliori congregazioni nella Chiesa.
    Dando poi uno sguardo al passato, nonché al presente, sembra essere nei disegni imperscrutabili di Dio che, non a mezzo di travolgenti acquazzoni che possono nascondere l'insidia di una crescita troppo precoce, bensì attraverso povere goccioline d'acqua che silenziose penetrano nel terreno, sia destinata a maturare la seminagione della Famiglia Beato Angelico.
    Ebbene l'affluenza di queste preziose gocce, unite alla somma di grandi sacrifici e rinunce che gli " sgobboni", (come si autodefinivano i primi operai ) generosamente facevano per il grande amore alla bella causa, acconsentirono al Fondatore di iniziare, dopo varie e laboriosissime trattative, nel gennaio del 1939, la costruzione della Casa, che veniva affidata all'impresa Moretti di Busto Arsizio. C'entri poco o tanto la avversità, lasciamolo a Dio, ma di una cosa siamo sicuri, ci dicono i testimoni, e cioè che molto si deve alla fede incrollabile dell'indefesso Fondatore che lo spingeva fino all'ardimento e all'eroismo, se si è potuto in quei difficili frangenti, con le sanzioni e la minaccia di guerra, risolvere il difficilissimo problema. E' pertanto spiegabilissimo il fatto, che da quando si diede mano alla costruzione, tutti i figli e collaboratori del Fondatore, cominciando dall'Arch. Don G. Bettoli, apprezzato amministratore della Famiglia, che si doleva di non possedere il carisma dei miracoli, sentissero uno strano fermento, come un'agitazione. E chi voleva gustare momenti di intensa felicità bastava che si recasse con Monsignore a visitare i muri che si alzavano da terra a vista d'occhio.
    C'era da commuoversi, affermano testimoni oculari, vederlo raggiante d'incontenibile gioia, salire da un ponte all'altro, non tanto per controllare i lavori, quanto per pregustare la sospirata e sudata soddisfazione di poter finalmente disporre di più ampi locali necessari allo svolgimento delle molteplici attività. In pochi mesi, senza aspettare, secondo una ragionevole cautela, che i muri fossero asciugati e i vani completamente finiti, si passò dalla vecchia casa, resasi ormai insufficiente, nella nuova e più agevole.
    La benedizione e l'inaugurazione della sede ebbe luogo il 18 gennaio dell'anno successivo, con una larga partecipazione di autorità e di persone che seguivano con vero interesse gli sviluppi della benemerita Istituzione.
    Sua Em. il Card. A. I. Schuster che svolse la cerimonia, con parole di congratulazione incoraggiò il Fondatore a continuare nel suo nobile apostolato che aveva già fruttato bene alla Chiesa.
    Questo passo doveva ripercuotersi notevolmente sulla vita della Famiglia. Infatti solo dopo la sistemazione definitiva nella nuova e più capace sede, vi poteva maturare, secondo l'aspirazione del Fondatore, la fisionomia di vera e propria Famiglia Religiosa, che però per alcune difficoltà, tra cui la guerra mondiale, doveva concretarsi nel Sabato Santo dell'anno 1946, con la professione dei voti semplici di povertà, ubbidienza e castità, del primo gruppo di confratelli e consorelle compreso lo stesso Fondatore.
    LA PRIMA PROFESSIONE RELIGIOSA
    Alla Famiglia Beato Angelico, che dalla vecchia casa era passata nella nuova e più capace sede, si presentava impellente la necessità di trovare vocazioni. Data la natura della sua speciale missione, vi si attendevano artisti di ogni settore, "anime elette per una elettissima missione", Sacerdoti, indispensabili per la dirczione dell'Istituto (2), nonché anime buone desiderose di collaborare in svariati modi, in questa vigna del Signore.
    Il problema del reclutamento delle vocazioni, se è sempre esistito per tutte le istituzioni, per la nostra è risultato particolarmente difficile, per il fatto che, come si è poturo constatare, il possesso di speciali talenti può costituOe una remora dal seguire la vocazione religiosa, per il timore di non poterli esplicare secondo una propria direttiva. Non è certo senza fondamento l'asserzione di molti, secondo i quali all'artista che si fa religioso può essere richiesta una vocazione eroica.
    Consapevole di ciò e tuttavia sorretto dalla certezza che la sua Famiglia era voluta da Dio perche utile alla Chiesa, Monsignor G. Polvara non esitò a comporre una preghiera, sintesi del suo apostolato e delle sue aspirazioni, per impetrare dal Padrone della messe santi operai: "O Signore che fai risplendere ìa Tua bellezza per attirarci alla Tua verità e al Tuo amore guarda misericordioso la nostra Familia che sorge per rivelare il Tuo splendore agli uomini; fa che questi tuoi primi figliuoli, non vengano meno alla fede promessa e che altri operai generosi si uniscano a loro per conoscerti, amarti e lodarti, insieme col Figlio Tuo Gesù Cristo Signor nostro, il quale vive e regna con Tè e con lo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli".
    A risolvere più facilmente un tale problema sarebbe bastato alla Famiglia ridurre il suo programma di apostolato entro gli ambiti dell'insegnamento e dell'assistenza agli artisti, come è stato anche suggerito. Ma ciò non corrispondeva al piano voluto e stabilito dal Fondatore, suggellato altresì dal consenso Nota 2 2) si legga a questo proposito l'articolo del Fondatore pubblicato in "Amico dell' Arte Cristiana" 1942 - pag. 21 Fine nota 2 dell'Autorita Ecclesiastica (3), che ne auspicò ripetutamente lo sviluppo.
    "Senza produzione la nostra Scuola diventerebbe accademia e si svaluterebbe di quanto le è più importante e più prezioso, cioè della possibilità di lasciare degli esempi che arricchiscono la veste preziosa della Santa Chiesa. Ed è proprio una speranza e un voto nostro di non lavorare inutilmente nella vigna del Signore..." ("Amico dell'A.C.", dicembre 1940 ).
    E' questa una convinzione che il Fondatore ha più volte espresso anche nei suoi scritti.
    La Provvidenza intanto aveva permesso l'enuclearsi della piccola Famiglia, nonostante l'imperversare della disastrosa guerra, che minacciava di distruggere la Casa e di paralizzare ogni attività. Confratelli e consorelle dovettero sottoporsi a gravi disagi di spostamento e di adattamento a precarie sistemazioni di emergenza. La durata dell'immane guerra, si può dire che costituì il periodo, di noviziato della piccola comunità, in quanto servi a provare la fede, lo spirito di dedizione, 1' idoneità alla vita di sacrificio che era richiesta, in una parola la vocazione delle prime reclute.
    Il Fondatore stesso guidava questi figli generosi, volendo coltivare in essi una profonda e soda pietà, scevra da sentimentalismi, alimentata dalla par- tecipazione attiva e devota alla vita liturgica. Sulla traccia della spiritualità benedettina aveva articolata l'intera giornata dei suoi religiosi, suddividendola tra la lode Divina e il lavoro.
    Infatti Egli ci lasciò scritto :"Dove veramente cercheremo Dio, dove lo troveremo se non nel suo monastero a tipo nuovo, sulla porta del quale an- che noi scriveremo: Ora et labora? Anzi se fosse possibile vorrei fondere in una queste parole : orando labora. E' così eccelsa la visione che i nostri occhi non la possono penetrare se non traducendo tutti i momenti della nostra giornata nella contemplazione divina. Perciò (ecco) una casa che sia santuario-cenacolo, nel centro del quale abiti Dio in ispirito e verità e Gesù nella sua presenza reale " (dagli scritti).
    Egli, guardando fiducioso il lento comporsi della sua figliuolanza spirituale, era portato ad immedesimarsi nella figura degli antichi patriarchi, che arrivati alla tarda età, passavano alla loro discendenza la lampada accesa, ricevuta da Dio. Da un suo scritto leggiamo: "... Senza alcun merito nostro, ma solo per generoso disegno divino, anche noi abbiamo un poco questa consolazione di vederli i nostri figliuoli spirituali prendere da noi, con trasporto, il lume che ha affidato a noi il Signore.
    E prenderlo col desiderio di aumentarlo, per passarlo più acceso e più luminoso a quelli che verranno dopo ancora... " ("L'Amico dell'A.C.", maggio 1942 ).
    Cosicché, passati gli anni cruciali della guerra, doveva sorgere, quasi premio a tante dolorose peripezie sopportate con magnanima fortezza e generosa fede, uno dei giorni più radiosi che ab- bia conosciuto nella sua vita il nostro venerato Fondatore. Un gruppo, anche se sparuto, di confratelli e consorelle che avevano resistito alla prova, (altri avevano messo mano all'aratro poi lo avevano abbandonato), il Sabato Santo, 20 Aprile dell'anno 1946, nella devota cappella della Famiglia, pronunciava insieme con il Fondatore, la Professione religiosa.
    A ricordo di questo grande giorno furono stampate imaginette con la seguente dedica: CANTIAMO AL PADRE, AL FIGLIUOLO ALLO SPIRITO SANTO UN CANTICO NUOVO PERCHE o DI GIOIA HA COLMATO LA NOSTRA CASACOL NOSTRO PADRE E CON LA NOSTRA MADRE SIAMO SALITI ALL'ALTARE E AL SACRIFICIO DI NOSTRO SIGNORE ABBIAMO UNITO L'OLOCAUSTO DEI NOSTRI CUORI PER MAGNIFICARE QUAGGIÙ- IN TERRA E POI LASSÙ' IN CIELO GLI SPLENDORI DELLA BELLEZZA INCREATA
    Fu questo un anno di grazia, perché prima che si concludesse, altre reclute vi iniziarono il loro Noviziato.
    Con la pubblica testimonianza di fede e di amore resa a Dio e alla causa dell'arte liturgica dai primi coraggiosi operai, il sabato santo dell'anno 1946, la Famiglia Beato Angelico aveva indubbiamente compiuto un importante passo. Per benevolenza dell'Arcivescovo Card. A. I. Schuster, il 28 settembre 1942, era stata inoltre legalmente costituita, con decreto arcivescovile, Fondazione di culto.
    Sbocciato quale tenero virgulto dal tronco vitale della Chiesa, conserverà i segni delle opere di Dio : umili origini, povertà evangelica e dedizione talvolta nascostamente eroica.
    IL LAVORO IN COMUNITA'
    Chi varca la soglia della sede di viale S. Gimignano 19 nell'orario riservato alle attività, potrà osservare il sollecito andirivieni di persone intente a svolgere un preciso dovere. Sono collaboratori, allievi, committenti, visitatori, preti, laici, che vi affluiscono nelle ore stabilite, ma quelle che maggiormente attirano attenzione per prevalenza di numero e... di colore, sono le giovani suore azzurro vestite, che silenziose e solerti, formicolano per tutta la casa. Che fanno? Svolgono attività artistiche o artigianali nei diversi laboratori: di disegno, di tessitura, di confezione, di ricamo, di doratura e argentatura dei vasi sacri; alcune studiano per diplomarsi o laurearsi; altre sono impegnate nella scuola, o addette alla amministrazione, alla biblioteca, alla guardaroba, e a quei compiti attinenti alla psicologia e sensibilità propria della donna, che comporta una Comunità.
    I confratelli, sacerdoti e fratelli laici, li troverete nei laboratori o uffici cui vengono preposti a seconda della loro peculiare specializzazione: di architettura, di scultura, di pittura, di mosaici, di smalti, di arti minori, di tipografia, o nelle aule scolastiche come insegnanti, tutti impegnati in un servizio diligente e disinteressato alla Chiesa. Ed è facile rilevare che l'efficacia e i frutti di una tale operosità sono in dipendenza della fede che l'ispira e della ubbidienza a un direttore che ne è il coordinatore responsabile.
    Una novità che può benevolmente sorprendere i committenti è quella di vedersi accompagnati nei laboratori stessi a trattare direttamente con il responsabile o la responsabile per l'opera da eseguirsi. Infatti non vi sono magazzini o negozi con molta scorta di opere, perché la Famiglia Beato Angelico nella sua Scuola-bottega non produce in serie, ma esegue ogni lavoro volta per volta, su indicazione anche del committente, salva restando però la dignità dell'opera per il nobile uso cui è destinata.
    Non pochi visitatori che vengono a rendersi ragione dell'esistenza di questa piccola Famiglia nella Chiesa di Dio, provano meraviglia e soddisfazione nel constatare come la multiforme attività possa svolgersi in armonia ed unità di intenti, così da raggiungere veramente gli scopi che la Famiglia Beato Angelico si è prefissa e che costituiscono il suo specifico apostolato. Infatti i diversi settori della produzione non stanno a sé indipendenti, ma sono idealmente collegati tra loro, subordinandosi in una stretta collaborazione che costituisce, possiamo dire, il segreto della riuscita dell'opera, nella sua completezza.
    Ad assicurare tale indispensabile collaborazione e altresì l'ubbidienza di tutti i mèmbri ad un unico capo che, a guisa di un direttore d'orchestra, guida e coordina l'attività e le competenze di ciascuno, onde ottenere il risultato desiderato. Questo principio importantissimo, fu, se così si può dire, il "chiodo fisso" nella mente del Fondatore:
    "L'ubbidienza nell'opera d'arte sacra diventa di somma importanza perché non è e non deve essere, e non può essere, data la sua vastìtà, opera singolare di un maestro, ma dev'essere una opera composta col concorso di molti, come un concerto nel quale molti si mettono insieme a suonare, dove ciascuno fa la sua parte ma sono tutti guidati da un unico direttore il quale unisce a comporre la grande sinfonia..."
    (Fine e scopo della Fam . B. A. ).
    Pertanto, allorché viene affidata alla Famiglia Beato Angelico la costruzione di una chiesa, il confratello architetto, già nella progettazione dell' edificio sacro, si avvale del consiglio e tiene conto dell'opera degli altri confratelli decoratori, artigiani e delle consorelle che, secondo lo spirito dell' Istituto, sono chiamati a cooperare, nei limiti delle loro competenze, alla edificazione e al decoro della Casa di Dio. In tal modo, qualunque siano i posti che i mèmbri occupano, l'attività di ciascuno si riduce ad una testimonianza di fede nei valori trascendentali ed eterni, e alla manifestazione agli uomini della divina Bellezza, nella comune convinzione che il Bello, splendore del Vero e del Bene, possa ancora aiutare l'umanità ad elevarsi al di sopra dell'incombente e banale materialità, fino a trovare e a gustare Dio.
    Per riuscire in questi intenti, è ovvio ricordare che, tutte le opere che escono dai nostri laboratori obbediscono a delle direttive, in forza delle quali, si devono distinguere dai prodotti commerciali e dai frutti di un semplice professionismo. "... L'opera nostra dev'essere solo di collaborazione alla santa Liturgia. . . Si tenga come fondamento la logica specie nell'architettura. Non si seguano le mode ma la praticità e su di essa si costruisca con ar monia. Nella decorazione si cerchi un tema elevato, grande; si svolga con cultura, con fede e più dì tutto con amore. Non per danaro ma per l'esaltazione di Dio. Se si verrà meno alla pietà si perderà la sensibilità indispensabile per l'opera di arte..." (dal Testamento del Fondatore ). Ed ancora: ". . Noi non cerchiamo la costruzione di templi grandiosi e ricchi ma tendiamo a raccogliere in umili orti conclusi i più delicati profumi dell'amore, noi vogliamo lavorare nella esposizione fiorita dei fatti evangelici, ma tendiamo a svelare in ogni episodio della vita del Cristo il miracolo dell'a- more..." (Dagli scritti).
    In questi principi fondamentali è racchiuso possiamo dire, in sintesi tutto 11 pensiero di Mons. G Polvara circa le prerogative e la natura della speciale missione che la Famiglia Beato Angelico è chiamata a svolgere nella Chiesa di Dio. Missione che alla luce del Concilio Ecum. Vaticano II, risulta nella sua piena attualità, in quanto risponde alle autorevoli disposizioni conciliari a proposito dell'arte sacra a servizio del Culto.
    Vivente il Fondatore, egli guiderà con mente illuminata e mano sicura ogni progettazione, sorreggendo i suoi collaboratori nelle loro esecuzioni, con la forza del suo zelo appassionato e convincente. Conscio della sua paterna responsabilità, del delicato compito e delle vie difficili che si stava battendo, preferì educare ed istruire Lui stesso i figli della prima ora, forse, talvolta a scapito di una cultura più generale^ nell'intento di trasfondere in essi, con l'azione formativa, tutto lo spirito di cui egli stesso era animato.
    Appena un soggetto veniva ad aggregarsi alla Famiglia, suo pensiero era anzitutto di collocarlo, dopo le dovute prove, a coprire i posti liberi nei diversi laboratori. Non che disdegnasse gli studi accademici ed universitari,tutt' altro, tanto è vero che appena fu necessario e possibile non esitò ad avviarvi i soggetti capaci e quelli che riteneva dovessero, a suo tempo, prendere le redini dell'Istituto.
    Più che convinto dell'apporto della cultura nella formazione dell'apostolo e nella esplicazione dell'apostolato di bene, determinò che alla Dirczione generale accedessero i membri insigniti della dignità sacerdotale. Questi infatti, secondo il suo chiaroveggente giudizio, accoppiando alla conoscenza delle varie scienze una profonda cultura teologica e liturgica, nonché la grazia del Sacerdozio, ne sono i più idonei.
    Nel decorso del periodo bellico (1940-45) si erano inevitabilmente verificati alcuni mutamenti e una riduzione di attività in qualche settore della produzione.
    Alla Scuola Sup. d'Arte Cristiana, il cui numero di allievi si era alquanto ridotto, si era aggiunto, dietro consiglio e incoraggiamento delle Autorità Ecclesiastiche, il Liceo Artistico con programma governativo, nel desiderio di offrire, in un ambiente sano, una garanzia di serietà di metodi e di esercitazioni, anzitutto al ceto ecclesiastico e religioso, nonché ai giovani di buoni costumi che, stimolati da necessità contingenti, desideravano conseguire un diploma. Secondo quanto ebbe a dire Mons. Polvara, questo nuovo ordinamento scolastico per l'apprendimento delle materie artistiche non corrispondeva però ad un suo ideale, data l'inadeguatezza del programma a formare l'artista. Proprio in merito al programma dei corsi e degli esami di maturità di questo Liceo, che nell'anno 1946 aveva ottenuto la parifica, egli diede inizio ad un'audace polemica, che tramite la rivista "Arte Cristiana", sostenne con coraggio e valide ragioni, che oggi gli sono riconosciute.
    Comunque, attualmente il liceo artistico Beato Angelico è frequentato da molti allievi dei due sessi; la Famiglia, interpretando questo fatto come un disegno della Provvidenza, vi impegna un gruppo dei suoi mèmbri in veste di insegnanti e di educatori, nel desiderio di contribuire allo sviluppo dei talenti artistici in coloro che ne sono dotati, ed impartisce a tutti gli allievi che lo frequentano, i principi dì una cristiana formazione.
    Un altro mezzo di cui la Famiglia Religiosa B. Angelico si avvale nella esplicazione del suo apostolato è quello dell'editoria. Sue pubblicazioni ordinarie sono la rivista mensile "Arte Cristiana" che ha già sorpassato il suo cinquantesimo anno di vita, e 1' "Amico dell' Arte Cristiana", con le quali la Famiglia B. A. intende diffondere sani principi e contribuire alla sincerità e nobiltà dell'arte liturgica. Alle pubblicazioni di Mons. Polvara, come "Domus Dei", "L'Arte", "II bello" - trattazione teorico-pratica di principi estetici, "Architettura razionale ", "Veritatem facientes in Charitate" e manuali di disegno, si aggiungono, di volta in volta, interessanti quaderni monografici di "Arte Cristiana", con importanti temi sull'Arte di Chiesa.
    Abbiamo così tracciato il quadro delle attività di cui ferve la vita della Famiglia Religiosa B. A., logicamente subordinate alla preghiera, di cui parleremo.
    Come è possibile notare, il Fondatore di codesta originale aiuola nel giardino della Chiesa, sull'esempio di Gesù Maestro, volle che il piano del suo apostolato comprendesse il Tacere et decere", vale a dire la produzione e lo insegnamento, affinchè l'arte, ancella della Santa Liturgia, ritornasse a lodare Dio. Missione certo non comune nella Chiesa, ma non per questo, secondaria, se fece dire : "Io chiamo il loro un apostolato sacro. 11 culto esterno è esso pure una predica ed aderge in alto le nostre menti ed i nostri cuori, come e forse meglio di un discorso sacro. La Santa Chiesa riconosce in loro un manipolo di collaboratori nella preparazione del vero e del bello divino". (Card. Tosi, 23-2-1928).
    Se la Famiglia Beato Angelico non esistesse la fonderei io e sarebbe per me una grande gloria " ( Card. A. Schuster ).
    "... Voi Ci offrite l'occasione di lodare la vostra sorte di allievi, di eredi, di continuatori del compianto vostro padre e maestro; e questo facciamo tanto più volentieri quanto meglio Ci è nota la duplice vocazione, fusa in un solo amore, che sostiene ciascuno dei mèmbri della Famiglia spirituale Beato Angelico, quella religiosa e quella artistica. Dio vi benedica, Figliuoli carissimi. La vostra elezione merita per se stessa venerazione e simpatia; illustrata poi dalla dedizione che fa del servizio all'arte religiosa il programma della vostra vita, e comprovata dalla qualità degna e significativa dei risultati del vostro lavoro, essa si pone tra i fenomeni autentici del mondo artistico, perché ne esalta l'eccellenza, ne sviluppa le funzioni, ne suscita le speranze..."
    (S.S. Paolo VI, dal discorso in occasione dell'udienza del 20-2-6S).
    LA VITA LITURGICA
    "Orando labora". "Dobbiamo lavorare pregando" fu la classica esortazione del Fondatore. Nei suoi discorsi e nei suoi scritti è insistente il ritorno sulla necessità della preghiera intensa e profonda che metteva come condizione "sine qua non" della bontà delle opere dei suoi seguaci in quanto religiosi, ma altresì in quanto chiamati, secondo la missione propria della Famiglia, a tradurre in realtà sensibili, cioè in immagini, i misteri della santa Religione.
    Non si può dare se non ciò di cui il cuore è pieno. La consapevolezza della nobiltà nonché delle difficoltà di un tale compito, induceva Mons. G. Polvara a rifuggire da ogni faciloneria e lo impegnava ad approfondire la Sacra Scrittura, la dottrina dei Padri e la S. Liturgia, per attingervi luce e consiglio, e ciò faceva abitualmente e con vera edificazione da risultarne uno degli aspetti più salienti della sua personalità. Infatti era ritenuto un pensatore, uno che "meditava sempre".
    Questa esigenza del suo grande spirito giustamente la propose anche ai suoi figli in uno dei suoi scritti : "... In questo (nostro) cenobio dobbiamo lavorare a perfezionare sempre più gli schemi della Casa del Signore, nella più ampia conoscenza della Liturgia della Santa Chiesa, nella comprensione del suo pensiero fino a poterlo tradurre nella Domus Dei più vitale, più affascinante, fino a leggere il Santo Vangelo non appena nei fatti e nelle parole materiali, ma nella visione del divino che quei fatti e quelle parole sempre rappresentano. Tutti i confratelli e le consorelle che lavorano insieme non devono vedere, per esempio, la moltiplicazione dei pani e dei pesci, come un semplice portento sopra la natura sensibile, a sfamare uomini affamati di pane materiale, ma anche il portento più grande di sfamare i loro animi, i loro cuori con la parola di Dio, ma ancor più a sfamarli totalmente nel bisogno soprannaturale della incorporazione con Cristo nella visione di Dio.....". Ed ancora : "... Dobbiamo riempire la giornata di sguardi a Dio con l'aluto della Vergine, degli Angeli, dei Santi per rendere la nostra vita e le nostre opere una continua comunicazione con Dio..." (Dagli scritti).
    Vero sacerdote di Dio e degno ministro della Chiesa, celebrava i sacri misteri con un fervore intenso e viva partecipazione che commoveva e trascinava. Per questa sua pietà genuina, schietta e profonda non ritenne necessario comporre, e tanto meno raccogliere in fascio, come hanno fatto diversi fondatori, delle formule di preghiera da destinare, come manuale di pietà, alla sua Famiglia. Escludeva l'accessorio dispersivo, i formular!, le "preghierine zuccherate" che favoriscono il sentimentalismo, e volendo assicurare una impostazione solida alla pietà dei suoi religiosi e delle sue religiose, scelse la preghiera della Chiesa.
    Cultore e difensore dell'arte sacra a servizio del Culto, lo era necessariamente anche della S. Liturgia al cui spirito affidava la vera rinascita cristiana ed artistica. Infatti Mons. G. Polvara è riconosciuto come uno dei più tenaci assertori di un ritomo alla Santa Liturgia, in difesa della quale affrontò dibattiti e lotte 11 cui valore forse solo oggi, periodo postconciliare, è compreso e rivendicato. Questo grande amore per la Liturgia lo spronò anche a comporre il romanzo di "Aurea e Pipino", forse come pretesto per far comprendere e amare le funzioni liturgiche che diligentemente vi sono descritte, e la conoscenza dei santi Sacramenti della Chiesa Cattolica, che accompagnano l'uomo lungo tutto il suo pellegrinaggio terreno. Romanzo quindi assai formativo, ma che per la repentina morte dell'Autore, è rimasto interrotto. (1)
    Nota
    1) il romanzo è stato pubblicato a puntate su 1' "Amico dell'Arte Cristiana"
    Fine nota
    "Con la Liturgia celebrata devotamente con spirito di fede e di amore alimentiamo la mente e il cuore e riceviamo le ispirazioni per lo studio e l'attuazione delle opere d'arte sacra". ripeteva con tanta convinzione ed insistenza.
    Per questo, secondo il grande piano dal Fondatore intensamente desiderato, la preghiera liturgica occupa il posto d'onore nella vita della Famiglia religiosa Beato Angelico. Tutti i suoi mèmbri ne iniziano la celebrazione con le Lodi (Mattutino nei giorni festivi), la prolungano con la Santa Messa e la recita delle Ore canoniche dell'Ufficio Divino nel tempo assegnato, e la concludono al termine della giornata con la preghiera di Compieta.
    Nelle diverse ore del giorno la cappella risuona di voci e di suoni ; sono i confratelli e le consorelle che, interrotta ogni possibile attività; si raduna- no per 1' Ufficiatura, mediante la quale elevano alla Trinità S.S. la lode divina.
    Volendo assecondare l'aspirazione del suo Fondatore, la Famiglia B.A. dovrebbe diventare scuola di liturgia, beninteso una scuola pratica che insegni attraverso la celebrazione delle sacre funzioni, in cui siano rispettate le rubriche, ma dove soprattutto si esprima la vera adorazione che la creatura umana, intelligente e responsabile deve al suo Dio, anche ad edificazione ed ammaestramento dei fratelli.
    Occorre ancora notare che, secondo un'espressione cara al Fondatore, nella Famiglia B A., preghiera e lavoro vengono a fondersi armoniosamente in una ininterrotta "Laus gloriae". Proprio in questo si vede configurata la spiritualità dei suoi religiosi che, per alcuni aspetti, risulta affine a quella benedettina, tanto apprezzata e gustata da Mons. Polvara. E ciò in forza della funzione dell'arte di cui i mèmbri della Famiglia si occupano, la quale, scrive il Fondatore - "non può essere che preghiera, espressa in forma di bellezza. E' arte l'architettura, la pittura, la scultura, la poesia, la musica, e tutte diventono sacre quando esprimono preghiera; sia essa lode, domanda, ringraziamento, o anche semplicemente manifestazione della verità..." (A.C 1948 P. 51).
    Una tale concezione dell'arte sacra non può scadere, come oggi non pochi sono tentati di credere, senza che perda o travisi la sua alta finalità di servizio alla Chiesa e di edificazione del Popolo di Dio. A riconfermare questa tesi sono le disposizioni del Concilio Vaticano II, e il discorso autorevole che il S. Padre Paolo VI rivolse il 20 Febbraio 1965 alla Famiglia B. A. e ai suoi collaboratori, allievi ed amici, durante l'udienza benevolmente concessa per commemorare il quindicesimo anniversario della morte del Fondatore:
    "...inserite la vostra arte, l'opera vostra, la oblazione del vostro genio e del vostro lavoro nel grande ciclo della preghiera della Chiesa, nella sacra Liturgia; entrate nello spirito e nella finalità della solenne Costituzione conciliare che la riguardano; troverete un posto che vi impegna a fondo e che esalta, accanto a quello del Sacerdote e a vantaggio di tutto il popolo di Dio, il vosro regale servizio" (2).
    Nota 2
    2) Chi volesse conoscere per intero tale discorso, lo trova nel fascicolo supplementare al nro 527 di "Arte Cristiana".
    Fine nota 2 In codesto servizio e nella piena comunione con la Chiesa, le feste liturgiche assumono una particolare solennità nella Famiglia religiosa B. A. che si imbeve dello spirito per assimilarlo onde diffonderlo, attraverso la vita e le opere, agli altri fratelli.
    In ordine di solennitaà, alle tré classiche feste dell'anno liturgico del Natale, della Pasqua e di Pentecoste, presso la Famiglia Religiosa B. A. segue quella della Trasfigurazione di Gesù sul Monte Tabor, che Mons. Polvara, nel suo finissimo intuito, destinò quale festa Patronale della sua Famiglia. Davvero non poteva scegliere un Mistero che fosse, come questo, in piena, felice sincronia con la nostra vocazione.
    Contemplata aliis (radere", è secondo S. Tommaso, l'essenza di ogni apostolato, ma starei per dire, che ancor meglio si addice alla missione affidata alla Famiglia B. A. Questa infatti predicherà con le sue chiese, con i suoi dipinti, con le sue statue, con i suoi arredi o paramenti, non tanto perché perfezionata nelle scienze e nelle tecniche umane, ma soprattutto perché i suoi religiosi si rendono costantemente spettatori della Divina Bellezza.
    Come ci awerte S. Pietro, uno dei privilegiati con Giacomo e Giovanni, in un passo della sua lettera che si legge nella festa della Trasfigurazione:
    "... non per aver seguito argute dottrine vi abbiamo annunciato la grandezza di Gesù e la Sua venuta, ma perche fummo spettatori del Suo splendore.. mentre eravamo con Lui sul monte santo ..."
    Felice coincidenza! Ricorrendo la bella festa il 6 Agosto, viene celebrata ogni anno, presenti le due comunità, nella vetusta basilica, preziosa reliquia di un monastero benedettino, di S. Pietro al Monte Sopra Givate, ove si trascorrono i mesi estivi in turni di vacanza. Inutile dire che in questo sacro luogo, la millenaria testimonianza di fede e di arte del suo monumento e la stupenda circostante natura, rendono più sentite e suggestive le straordinarie funzioni liturgiche.
    Questa Basilica con l'abitazione annessa, venne fatta restaurare con gravi sacrifici da Mons. Polvara, e con il contributo di alcuni amici, tra cui Sua Em. il Card. Schuster che nell'anno 1947 volle onorarla di una Sua visita, salendovi a consacrare l'altare.
    Ancora a proposito di celebrazioni liturgiche, torna qui opportuno ricordarne due eccezionali ed indimenticabili che onorarono l'Istituto e furono di grande consolazione al Fondatore : le ordinazioni diaconale e sacerdotale del confratello Don Valerio Vigorelli, (che gli doveva succedere dopo Mons. Bettoli, nella direzione generale della Famiglia) avvenute rispettivamente l'I gennaio e l'il maggio dell 'anno 1947, per le mani del Vescovo consacrante Mons. Domenico Bernareggi, Ausiliare di Milano, e per benevola concessione dell' Em.mo Card. Schuster.
    Il grande avvenimento, di cui sono normalmente testimoni le grandi cattedrali, venne inteso come un segno di predilezione e di approvazione dell'Autorità Ecclesiastica nei confronti della piccola Famiglia religiosa, ovvero un premio e uno stimolo per queir amore alla S. Liturgia in cui fin d'allora si distinse.
    GLI INCONTRI PERIODICI DEL FONDATORE CON LE COMUNITA'
    E' lecito pensare che tutti i religiosi del mondo siano dell'avviso di ritenere inestimabile fortuna l'aver vissuto a tu per tu con il proprio Fondatore. E ciò per diverse ed ovvie ragioni.
    Mons. Polvara, nonostante i suoi molteplici impegni, non trascurò nei riguardi dei suoi religiosi gli incontri individuali quando se ne faceva richiesta o ne vedeva la necessità e quelli settimanali con le due distinte comunità.
    In questi ultimi specialmente effondeva la piena dei suoi sentimenti, puntualizzando situazioni, preoccupazioni, necessità; richiamando, ammonendo esortando tutti ad un impegno fedele ai propri doveri, inteso come immolazione a Dio e contributo al progresso nel bene della Comunità.
    Come succede a tutti i Fondatori di opere sante, anche il nostro - abbiamo già avuto modo di dirlo - conobbe guai, incomprensioni, lotte senza fine, i quali per la sua estrema sincerità ed apertura, diventavano negli incontri con le Comunità, oggetto di discussioni, di considerazioni e persino di meditazioni. Chi, tra coloro che vi parteciparono, non ricorda l'insistente ritomo su un fatto accaduto, buono o cattivo che sia, per trame ammaestramento? Non sapeva far mistero su nessuna cosa e con nessuno. Se c'era un errore da correggere o un'idea da raddrizzare, specialmente tra i suoi discepoli, lo faceva senza frapporre troppa morbidezza di modi e lassi di tempo. Era un modo di educare anche questo, forse pedagogicamente sorpassato, ma per diversi aspetti ancora positivo. Infatti correggeva, non offendeva, ne deprimeva. D'altra parte era tanto l'orrore che provava di fronte alla incoerenza o all'ipocrisia, che gli era impossibile sopportarla senza indicarla e sbarazzarla al più presto.
    Voleva che la verità trionfasse su ogni cosa, pur sapendo che essa talvolta "odium parit".
    Con lo stesso ardore con cui amava Dio, la Chiesa, la Liturgia, lo splendore dell'arte e gli amici, egli insorgeva contro opposizioni dottrinali, culturali, slealtà, senza alcuna paura. Sia ben inteso, egli mirava a colpire e a debellare l'errore non l'errante, eccetto che ciò non fosse richiesto per un bene maggiore. Questo suo modo d'agire, apparentemente impulsivo, mai però inconsiderato, potè lasciare in qualcuno, è il caso di dirlo, non sempre ottima impressione, e di questo se ne doleva fino ad abbassarsi a riparare.
    "Ma in compenso, quanta lealtà in lui, quanto senso di giustizia, quanta rettitudine di intenzione, quanto disinteresse "attesta nei suoi riguardi il Rev.mo Mons. Cesare Dotta che lo conobbe in profondità ( "A .C .", 1950, pag. 23). Virtù che tutti gli hanno riconosciuto e che nei colloqui con i suoi figli trasparivano, oltrepassando la scorza che le celava.
    Rileggendo i verbali su cui venivano annotati questi incontri del Fondatore con le comunità, c'è molto da imparare nel rilevare come egli fosse stato sollecito a promuovere il bene comune e del singolo, insistendo sulla pratica della fede, della speranza, della carità divina e fraterna, vincolo di perfezione, e sulla umiltà, fondamento di ogni virtù. Benché portato dalla sua abituale elevatezza di pensiero, a conversazioni più che umane, spirituali e soprannaturali, non mancava tuttavia, di tanto in tanto, quando la sua squisita sensibilità gliene faceva intuire la opportunità, di fermarsi in suggerimenti di indole pratica e concreta, al pari di un padre buono che trepida per i propri figli.
    Naturalmente gli argomenti più trattati nei suoi colloqui con le comunità, non potevano essere che quelli riguardanti lo spirito, le virtù e l'osservanza della disciplina religiosa. Quasi presago della sua prematura dipartita, ve le inculcava spiegandone il valore e la necessità con argomentazioni ricche di unzione divina. Ci parlava del nostro ideale con un tale entusiasmo e fervore da sbarazzare ogni perplessità in chi fosse ancora dubbioso della sua importanza. L'arte sacra poi, intesa come mezzo di glorificazione di Dio, trovava posto anche nelle più disparate conversa- zioni.
    In questo modo, senza darsene Paria, impartiva al suoi seguaci sagge ed importanti lezioni.
    Fino agli ultimi istanti della sua laboriosa esistenza terrena, lo si vide preoccupato di lasciare ai suoi eredi quelle solide convinzioni da lui stesso acquisite attraverso un diuturno travaglio ed incessante studio, che costituirono le basi del suo operato e che riteneva indispensabili perché l'ideale che loro affidava si sviluppasse e si perpetuasse nel tempo.
    Risuonano ancora chiare alle orecchie le ultime raccomandazioni fatte sul letto di morte, ora raccolte nei "Ricordi" : "... Vigilate sempre perché lo spirito del mondo e del demonio non entri in voi. Godete di appartenere alla bella famiglia che è la Chiesa. Amate la santa vocazione che avete ricevuto quale dono prezioso da Dio. Lavorate per l'Istituzione, fate che in essa fiorisca lo spirito benedettino, e che con questo spirito duri possibilmente in eterno. Io - aveva detto - non avrei finito, vedo ancora tante cose da fare, ma se il Signore desidera che io muoia, offro la mia vita per il bene della Istituzione... ".
    Dichiarazioni queste che bastano da sole a rivelare la statura morale e spirituale del Venerato Fondatore, e lo spirito di assoluta dedizione con cui servì la santa causa ed amò la sua Famiglia religiosa.
    VICENDE ISTITUZIONALI E ORGANIZZAZIONE GERARCHICA
    Nel ricordo di quei memorabili incontri con il Fondatore, risulta che poche volte si sia intrattenuto su questioni giuridiche riguardanti la forma da dare alla Istituzione. La sua cristallina semplicità forse non gli faceva supporre la complessità delle prassi incluse nel Codice di Diritto canonico, e le molteplici pratiche che si sarebbero dovute espletare, anche nel caso di Istituti religiosi, prima di ottenere un riconoscimento legale.
    Mons . Polvara era di quegli uomini superiori, che in tutte le cose mirano all'essenziale e vi tendono tenacemente, senza troppo preoccuparsi dell'accessorio. E l'essenziale non era forse stato raggiunto con la pubblica consacrazione a Dio di un drappello di anime che, abbandonando tutto, si erano messe al seguito di Gesù, per meglio glorificarlo e servire la Sua Chiesa? Risulta comunque indubbiamente inequivocabile che Mons . G. Polvara abbia preferito per la sua Famiglia la forma di Congregazione religiosa. Ad attestarlo sono i suoi scritti e tanti particolari, quali l'Ufficiatura divina, la vita comune, l'abito religioso, cose che mai si pentì d'aver imposto, sebbene sotto certi aspetti, secondo alcuni, poterono sembrare inconciliabili con il genere di apostolato, proprio della Famiglia B. Angelico. Non mancò chi, nel desiderio di facilitargli la strada per l'approvazione canonica, consigliasse al Fondatore di piegare verso una forma più moderna, più sciolta come l'Istituto Secolare, ma egli, nonostante la prospettiva di una più sollecita approvazione, dopo aver presa visione della Costituzione "Provvida Mater" relativa agli Istituti secolari, e le opportune riflessioni, dichiarò che essa non si addiceva alla spiritualità della sua Istituzione. Ed è facile ormai intuirne i motivi. La lunga esperienza l'aveva fermamente convinto che la forma di vita comunitaria, di preghiere e di opere, quasi cenobitica, era quella che meglio rispondeva alle fondamentali esigenze della missione della Famiglia religiosa, come già, negli appunti della presente storia, è stato dimostrato.
    Occorreva ormai prepararne le Costituzioni: nessuno si meravigli nello apprendere che Mons. G. Polvara non vi riuscì. Non è raro, del resto, il caso di fondatori che muoiono prima di aver compiuto questo dovere. Aveva stilato un "Regolamento spirituale" ricco di elevati consigli, importante, ma non sufficiente.
    La competente Sacra Congregazione dei Religiosi richiede che ogni Istituto nascente compili un "elenco di norme" o adotti una Costituzione già approvata, che ne regoli la vita, in tutti i suoi aspetti: spirituali, sociali, patrimoniali, in conformità a delle leggi relative allo stato religioso, contenute nel Codice di diritto canonico.
    Ma l'anima d'artista di mons. G. Polvara amava la disciplina religiosa, e la praticava con spontaneità e naturalezza, senza studiarne il codice; lasciò 1' "improba fatica" ai successori, i quali, dopo laboriosi tentativi, la portarono a termine.

    Finché visse il Fondatore, anche l'organizzazione interna non diede pensieri.
    La sua autorità, forte ed indiscutibile, si estendeva su tutti i campi, forse escluso quello amministrativo, nel quale si avvaleva di esperti collaboratori.
    E' qui doveroso ricordare con gratitudine la disinteressata, preziosa prestazione, prima come amministratore, e poi come Presidente, del Comm. Umberto Bonetti, che da anni segue lo sviluppo dell'Istituzione, presiedendo, con la sua rara competenza, alla amministrazione patrimoniale della Famiglia.
    Egli, nella successione di tempo, è il quarto dei Presidenti che sono stati a capo della "Fondazione di culto Beato Angelico", e precisamente: N. Gr. Uff. Biagio Gabrardi, Gr. Uff. Aw. Cunietti, On. Tommaso Zerbi ed attualmente il Comm. Rag. Umberto Bonetti.
    Dopo la prima professione religiosa, il Fondatore ritenne però necessario scegliere una supcriora da destinare alla Comunità femminile e, d'accordo con le consorelle, la trovò nella Madre Pierà Salina che, per molti anni, aveva svolto egregiamente la funzione delicata di segretaria del Fondatore stesso, dal quale meritò la massima fiducia per le sue belle virtù e per il sostegno morale che gli seppe dare anche nei momenti più cruciali della vita della Famiglia.
    In seguito designò un confratello e una consorella, come maestri dei rispettivi noviziati, al quali demandava, con piena fiducia, la formazione delle giovani reclute.
    Convinto com'era della necessità di far precedere alla Professione religiosa un periodo di prova ed una solida formazione ascetica, si preoccupò sollecitamente di procurarne le Case in località adatte, dove la preghiera e la ricerca assoluta di Dio, fosse facilitata anche dall'ambiente. Destinò pertanto al Noviziato maschile la residenza di S. Pietro al Monte, sopra Givate, con i suoi sacri monumenti e la sua solenne solitudine, mentre nutrì il sogno di far sorgere quella destinata al Noviziato femminile, sulla riva del suo bei lago, nel territorio di Cariate. Infatti comprò il terreno, ma alla sua morte, per varie ragioni, si desistette da tale progetto; ed in seguito alla buona offerta di una antica villa, con giardino e bosco, in Givate, si decise per questa. Oggi la vecchia e diroccata casa, dopo un totale restauro, ha raggiunto l'efficienza di una confortevole abitazione, in clima salubre, e con una vista incantevole, dimora ideale per anime che vogliono trovare Dio.
    Ma purtroppo Mons. G. Polvara doveva vedere la realizzazione di questi bei sogni dal cielo, dove il Signore lo chiamava.
    LA MORTE DEL FONDATORE
    L'intrepido operaio del Signore ancora nella piena attività veniva chiamato dal Padrone a ricevere la sua mercede.
    Mons. G. Polvara per quello zelo che lo spingeva al sacrificio totale di sé, a glorificare Dio, a servire la Chiesa e a preparare una strada luminosa al suoi discepoli, dimenticava di avere un corpo che lentamente ma inesorabilmente subiva l'usura de] tempo e delle continue fatiche, e che negandogli l'indispensabile sollievo, si appressava ali' ultima tappa della sua corsa.
    Troppo aveva insistito in un'attività che non conosceva tregua. Si diceva che dormisse pochissimo per impiegare anche le ore notturne nella preghiera e a scrivere articoli per la rivista "Arte Cristiana". Inoltre le tribolazioni di ogni genere, fedeli compagne del giusto, che in esse e per esse, come l'oro nel crogiolo, si raffina dalle scorie, non avevano cessato di premere sul suo povero cuore. Evidentemente il divino Artefice col bulino del dolore voleva dare all'anima sua gli ultimi tocchi che ne completassero la bellezza.
    Infatti poiché sapeva Mons. G. Polvara che ogni grazia scaturisce dalla Croce e che ogni apostolo vede benedetta la sua opera in quanto è segnata dalla Croce, si disponeva, in un crescente abbandono, ad offrire in unione col sacrificio di Gesù, l'ostia di una sempre più perfetta adesione alla santa Volontà di Dio.
    Giunse il pomeriggio del sette febbraio dell'anno 1950.
    Un indefinibile malessere obbligò Monsignore a mettersi finalmente a letto; il medico consultato ordinò assoluto riposo: più avanti ci venne dichiarato che si trattava di un infarto cardiaco.
    Nessuno pensava alla repentina catastrofe.
    Nonostante le assidue cure prestate dal medici e dalla Rev.da Madre Supcriora, coadiuvata da una consorella infermiera, l'ammalato peggiorò.
    Si raddoppiarono le suppliche per intercedere da Dio la grazia; ma al Padrone assoluto premeva attirare a se il suo servo fedele.
    Monsignore soffriva tanto e le sue condizioni fisiche si aggravavano ogni giorno; il suo sguardo profondo e chiaro si velava di malinconia.
    Per maggior prudenza venne trasportato in una cllnica onde sottoporlo a più accurati esami, e i1 caro infermo lasciò la sua casa con quel tremore che prova una mamma quando lascia i propri figli.
    In cuor suo però non era morta la speranza di un ritomo più felice.
    Ma purtroppo gli esami cimici confermarono le gravita del male. Intanto la bella anima del Fondatore, sotto le morse di un atroce dolore, si affinava cercando di avvicinarsi sempre più a Dio per essere pronta nell'ora dell'eterno incontro. Nell'animo suo si susseguivano alternative di timore e di fiducia, che poi si fondevano in una pacifica disposizione di assoluto abbandono.
    Quando, per l'asprezza del male, gli usciva dalle labbra qualche involontario lamento, e noi ci offrivamo a dividere la sua sofferenza, egli subito soggiungeva che non ne avrebbe dato a nessuno perché, chi più ha peccato, più deve soffrire. Come si vede, 1 capisaldi della sua vita inferiore, fede ed umiltà, sul letto del dolore si ingigantivano. E - santa ingiustizia delle anime grandi - egli che davanti ai bisogni degli altri raccomandava non si facesse economia alcuna, si doleva di vedersi di peso alla Comunità, ricoverato in cllnica e con la degenza da pagare.
    Intanto la notizia della sua grave malattia, fece accorrere al suo capezzale, per benedirlo, per testimoniargli l'imperitura amicizia e gratitudine, Sua Emza il Card. Schuster, Sua Ecc.za il Vescovo Bemareggi, Mons. Cesare Dotta, suo intimo amico, Mons. Leoni, Mons. A. Aidè, Mons. Bossi e tante altre persone che lo avevano amato e stimato. Queste visite lo commovevano fino alle lacrime, tanto che i medici le proibirono.
    La rev.da Madre Supcriora, fortunata testimone dei suoi ultimi giorni, attesta come Monsignore, ormai stremato di forze, sapesse raccoglierle per offrire a Dio incessanti preghiere e atti di profonda umiltà. Così a mano a mano che si avvicinava verso l'eternità, questo duplice sentimento di umile compunzione e di amore confidente che sempre regolò la sua vita interiore, si affermava con maggior forza e precisione.
    Venne il giorno in cui i medici curanti dichiararono che la scienza umana era ormai impotente a salvarlo: Gli furono pertanto amministrati gli ultimi sacramenti che ricevette con edificante amore: solo pochi furono testimoni di questi sublimi momenti, mentre il caro Padre morente cercava con lo sguardo la presenza di tutti i suoi figli. L'indomani il venerato Fondatore faceva ritomo alla sua casa ma solo per passarvi gli ultimi istanti, per benedirla con l'estremo dolore e per deporre nei cuori dei figli e delle figlie le più illuminate e preziose esortazioni, confermandoli nell'amore all'ideale abbraccio.
    Lo schianto di un dolore indicibile infieriva negli animi dei discepoli, dei parenti e degli amici che seguivano atterriti le fasi della malattia: nessuno riusciva a stare lontano dal suo letto diventato cattedra ed altare.
    La biblioteca, adibita a camera, accoglieva le ultime voci, gli ultimi aneliti di una vita nobilmente spesa per la maggior gloria di Dio. E noi assistevamo alla morte di un giusto. Finché il suo cuore ebbe palpiti, la mente fu quasi sempre lucida; solo brevi assopimenti interrompevano la sua piena coscienza. Cercava Dio, si affidava alla Santa Vergine, invocava San Giuseppe.
    Pianse quado comprese che pur essendo domenica, giorno del Signore, gli si impediva di celebrare la S. Messa; chiese il messale perché gli si leggesse il brano del Vangelo della domenica; letta che fu la parabola del buono e del cattivo seminatore, disse: "Ebbene, anche in mezzo a noi ci fu chi seminò la zizzania, però forse involontariamente, ed io perdono con tutto il cuore".
    L'ardore della sua vita interiore non si spegneva come le sue forze fisiche.
    Fino all'ultimo istante sentì la responsabilità verso quel figli che stava per lasciare con un avvenire avviato ma non ancora del tutto definito. Cercava allora la Rev.da Madre Supcriora che da tanti anni condivideva esperienze e prove, per affidarle la preziosa eredità, imponendole di confidare con coraggio nella divina Provvidenza, e a non desistere dalla via intrapresa. E noi tutti, inchiodati da una forza superiore, al letto del Padre morente, si costatava come la morte del giusto non sia davvero distruzione, ma un transito, doloroso sì ma pieno di confidente speranza, da una patria provvisoria alla vera, definitiva degli eletti. Monsignore ci fissava con compassionevole tenerezza e con lo sguardo ancora penetrante raccomandava a ciascuno degli astanti, quello che con la parola non poteva più dire.
    Verso le dieci del mattino del 20 febbraio, dopo aver ribaciato con appassionato amore il Crocifisso, l'amatissimo Fondatore della Famiglia religiosa Beato Angelico, esalava l'ultimo respiro: la sua bell'anima, dopo una vita edificante e una morte santa, lacerato l'involucro mortale, volava a Dio.
    Inutile dire con quale angoscia dovettero arrendersi i suoi figli e le sue figlie alla triste realtà.
    Appena fu diffusa la dolorosa notizia, giunsero da ogni parte commosse dimostrazioni di vivissimo cordoglio alla Famiglia religiosa colpita dal grave lutto. La cara salma, rivestita dai sacri abiti, venne collocata nel salone principale adibito a camera ardente, ove una sempre numerosa folla di sacerdoti, religiose e persone di ogni ceto, affluiva a venerare le spoglie di colui che nella sua vita terrena non aveva fatto che del bene.
    Tutti passavano in raccoglimento a fissare ancora una volta il volto, ora più che mai sorridente. Tra i visitatori, molti pregavano, tanti piangevano e si appressavano a toccargli, quale sacra reliquia la candida mano, come se da quel contatto dovesse uscire una forza nuova, confortatrice.
    Prima che le venerate spoglie partissero dalla sua casa, il Confratello Don Valerio Vigorelli, sulle cui spalle doveva cadere buona parte del grave peso, volle che tutta la comunità inginocchiata intorno alla salma, facesse solenne promessa al Fondatore, che ormai ci assisteva dal cielo, di mantenersi fedele agli insegnamenti e alle direttive che ci lasciava, quale preziosa eredità, per la continuazione della Istituzione.
    Dopo due giorni la salma veniva accolta con altrettanta dimostrazione di stima e di dolore, nella perinsigne Basilica di S. Ambrogio di Milano, essendo stato Mons. Polvara per tanti anni decano del Capitolo. Qui vennero celebrate con grande solennità e commozione dai rev.ml Canonici le funzioni dei morti, accompagnate dal canto di uno stuolo di chierici del Seminario maggiore, presso il quale il Fondatore lasciava il ricordo del suo chiaro insegnamento e della sua passione per lo splendore del Vero e del Bello nella Casa di Dio.
    1 funerali riuscirono, inaspettatamente, quasi un trionfo. Tra le file dei dolenti non mancarono anche coloro, che involontariamente, gli avevano procurato dolori e sofferenze.
    Terminata la commovente Liturgia, il corteo funebre prese la via per Malgrate e nella cappella della famiglia Polvara di quel cimitero, venivano provvisoriamente tumulati i resti mortali dell'indimenticabile uomo di Dio, pioniere di una importante, prossima rinascita nella Chiesa.
    Diversi giornali, con articoli elogiativi, annunciarono la grave perdita che il mondo cattolico subiva con la scomparsa di Mons.Giuseppe Polvara. Anche il Comune di Milano a Palazzo Marino ne commemorò la dipartita.
    Il Fondatore della Famiglia Beato Angelico è scomparso, ma la sua personalità sopravvive su questa terra, così come sopravvivono coloro che, consacrati a Dio e ad un nobile ideale, li hanno generosamente serviti.

    OGGI E DOMANI
    La prematura scomparsa di Mons. Giuseppe Polvara, fondatore ed animatore dell'Opera, se non arrestò dal procedere verso la sua rotta la Famiglia Religiosa "Beato Angelico", ne rese però più titubante e difficoltoso 11 cammino.
    Gli anni che seguirono sottoposero a nuove prove i mèmbri delle due Comunità. Non poteva certo risultare facile aprirsi a nuove prospettive che gli eventi stessi proponevano, timorosi come si era di transigere da certe posizioni ritenute sino allora irremovibili, e trovare un accordo alle molteplici voci di un governo interno decentrato, divenuto ormai necessario, dopo anni di pacifica sottomissione all'unica ed incontestabile autorità del Fondatore.
    A succedere a Mons. G. Polvara era stato eletto nell'anno 1950 il Rev.mo Don Giacomo Bettoli, zelante sacerdote ed architetto, che sin dall'anno 1921 aveva aderito al nascente movimento in favore dell'arte sacra in Italia, collaborando con passione e fedeltà a fianco di Mons. Polvara, per l'affermazione della Scuola Beato Angelico e del suo apostolato.
    Egli, benché meritevole di succedere a colui con il quale per tanti anni aveva operato e patito, misurandosi con la forte personalità del predecessore, si dichiarava impari al grave mandato. Ma era la volontà di Dio ad affidargli in frangenti assai delicati le redini della giovane Istituzione. Ciò bastò perche accettasse. Così Mons. Giacomo Bettoli che nel febbraio dell'anno 1958 veniva nominato cameriere segreto di Sua Santità, con senso di responsabilità e malcelata trepidazione, resse per sette anni le sorti della Farmiglia religiosa e della Scuola, sino a quando, per l'accumularsi degli anni sulle sue spalle, decise di dimettersi dalla gravosa carica. Tra i meriti che gli sono stati riconosciuti, due hanno avuto tanta importanza per la continuità della Istituzione:
    1) Quello di aver coraggiosamente affrontato e risolto il problema della improrogabile qualificazione artistico - culturale dei membri più giovani della Comunità, problema che si era alquanto acuito dopo la scomparsa del Fondatore.
    2) Di aver aperto il problema dello sviluppo edilizio che ha reso possibile al suo successore, dopo una fase di vera austerità economica, di lanciare la iniziativa di successive costruzioni ed ammodernamenti di quelle già esistenti.

    Alcuni avvenimenti nuovi per la giovane Istituzione, che sottoposero a serio vaglio la sua consistenza, se da una parte creavano disagi, dall'altra favorivano ai mèmbri una presa di più cosciente responsabilità nei riguardi dei loro impegni in seno alla Comunità e dell' ideale abbracciato.
    Nessuno si meraviglierà di un fatto, che mi pare giusto rilevare per non mancare di obiettività, e del resto riscontrabile anche tra le più stimate società; voglio dire del verificarsi dello scontro di tendenze contrastanti, ancorché lodevoli, tese a salvaguardare i diritti inviolabili di una tradizione, o a cogliere le voci ed i problemi particolari del tempo per adeguarvisi con innovazioni anche ardite.
    E' un fatto normale, necessario direi, in quanto proprio dalla confluenza equilibrata, non esorbitante, di più tendenze, può nascere un giusto e fecondo equilibrio operativo.
    Tale tensione, apparentemente forse inopportuna ma inevitabile e comprensibile, caratterizzò, si può dire, il periodo succeduto alla morte del Fondatore.
    L'otto giugno dell' anno 1958, Sua Em.za il Card. G. B. Montini, Arcivescovo di Milano, nominava Direttore generale della Famiglia Religiosa "B. A-" il confratello Don Valerio Vigorelli, che veniva poi riconfermato in tale carica nelle successive elezioni capitolari, ed è tuttora.
    Il Rev.mo Mons. Ferruccio Bizzozero, rettore del Seminario del Duomo milanese, nell'anno 1956 era stato designato, da Sua Em.za l'Arcivescovo Card. G.B. Montini, come protettore ecclesiastico della Famiglia Rei. Beato Angelico. Già in antecedenza la Famiglia aveva beneficiato della protezione spirituale di zelanti Sacerdoti milanesi. I loro nomi che meritatamente figurano nella storia della Istutuzione, sono: Mons. Emilio Pasini, esimio benefattore; Mons. Cesare Dotta che un'affinità di ideali aveva reso particolarmente devoto al fondatore e alla sua Istituzione, sostenendoli con saggi consigli ed assidua protezione; e Mons. Giu- seppe Maino.
    Un altro sacerdote che la Famiglia ricorda con riconoscenza è 11 Rev.mo Mons. Ambrogio Aidè, come i soprannominati, canonico del Duomo di Milano, che, per molti anni e con ammirevole abnegazione, favorì la Comunità della sua opera di ministero sacerdotale, come confessore ordinario. L' elenco si prolungherebbe all'infinito se mi fosse consentito di nominare tutti coloro che, in un modo o nell'altro, si sono resi meritevoli della nostra gratitudine. Ma il loro nome sta scritto in un altro... libro.
    Soltanto mi permetto di rievocare, tra queste note, la cara figura di una Consorella che il 6 Maggio dell'anno 1962, dopo una vita di fedele dedizione alle attività della Famiglia B. A., passò al premio etemo, promesso a coloro che hanno cercato e servito Dio.
    L'indimenticabile Suor Celestina Bellosi, Architetto e pittrice, è stata la prima Suora della Famiglia B. A. che il Signore ha chiamato a sé.
    II suo spirito buono, semplice e generoso è rimasto tra le sue consorelle per indicare loro come si deve vivere per felicemente morire.

    La seminagione faticosamente compiuta da Mons. G. Polvara, incominciava a maturare, e la pianta ormai uscita da terra estendeva i suoi rami.
    Infatti lentamente ma progressivamente presero a svilupparsi le diverse attività, anche quelle che negli anni precedenti avevano subito una stasi, come l'architettura e la scultura.
    La sezione ricamo e confezione di paramenti sacri sta tentando l'apertura di una filiale nella casa di Scola, frazione di Givate.
    Nel Liceo artistico in pochi anni, la popolazione scolastica si è più che raddoppiata.
    Mi esimo dall'elencare le opere di architettura eseguite in varie regioni di Italia e all'estero; di quelle scultoree, pittoriche e musive, che in numero veramente considerevole sono entrate a decorare diverse chiese, per soffermarmi invece su un avvenimento inconsueto e assai significativo per noi.
    Nel mese di giugno dell'anno 1963, a pochi giorni dalla incoronazione pontificia, veniva comunicato alla Famiglia B. A. che era stata scelta per l'esecuzione della Tiara del Santo Padre, Pao- lo VI, da poco eletto.
    Quando il rev.do Direttore, Don Valerio Vigorelli, ne diede notizia alla Comunità, tutti, Confratelli e Consorelle, furono presi da intensa e gioiosa com- mozione.
    A questo sentimento si aggiunse però presto un senso di trepidazione per l'importante compito che ci veniva affidato.
    Forse i nostri amici che ci conoscono e che sono soliti a rimproverarci la nostra riluttanza a suonare le trombe su ciò che facciamo, sono in grado di comprendere i sentimenti che ci hanno padroneggiati in una simile circostanza.
    Un disegno della Provvidenza ci offriva l'inattesa occasione di farci conoscere attraverso l'esecuzione di un oggetto, che doveva simboleggiare la massima autorità spirituale, sul quale si sarebbero puntati gli occhi di tutto il mondo. Ma la gioia e il desiderio di offrire il nostro servizio al Papa e alla Chiesa in quella particolare occasione, ci stimolarono in un impegno che divenne febbrile per il tempo che stringeva.
    Dopo la scelta di uno dei cinque bozzetti presentati al Papa, Confratelli, Consorelle e collaboratori, direttamente o indirettamente e a seconda della loro competenza e specializzazione, si unirono in fervida collaborazione, ad approntare la Tiara di Papa Paolo VI.
    Il lavoro durò cinque giorni ed altrettante notti, alternandosi a turni gli esecutori, e ne risultò un'opera che ha riscosso qualche critica, molti consensi e il pieno compiacimento del Papa.
    Questo avvenimento ha voluto tra l'altro confermarci, ancora una volta 1 'importanza della comunanza di sentimenti e di una stretta collaborazione ai fini di un efficace servizio alla Chiesa.
    Un'altra data che ritengo opportuno ricordare, per abbozzare un quadro più approssimativo possibile della operosità di questo periodo della Famiglia Religiosa, è quella che segna il cinquantesimo anno di vita della rivista "Arte Cristiana". Nel corso di questi "appunti per una storia" già si è narrato dei suoi inizi, dei suoi intenti e delle sue battaglie. Essa è sopravvissuta nonostante periodi di gravi difficoltà e mira a mantenere le sue posizioni, per continuare ad essere valido strumento a servizio del clero e degli artisti, per la difesa e l'affermazione di un'arte sacra veramente degna della Casa di Dio, secondo i fini proposti dal Fondatore.
    Questa importante ricorrenza ha determinato la pubblicazione di due volumi "Mezzo secolo d'arte sacra in Italia", consistenti in un prezioso e completo indice di "Arte Cristiana" nei suoi dieci lustri di attività e che riassumono, si può dire, cinquant'anni di storia dell'arte sacra in Italia. Trovandoci sull'argomento, diremo che diversa sorte toccò a Theatrica.
    Questa rivista dopo essersi dibattuta tra difficoltà di vario genere, all'incalzare dell'ultima guerra mondiale, dovette cedere.
    Non mancarono tentativi per la sua ripresa. Infatti riapparve timidamente in un primo tempo come rubrica inserita nei fascicoli stessi di "Arte Cristiana"; poi dall'anno 1960 all'anno 1964 venne pubblicata in fascicoli semestrali come supplemento di "Arte Cristiana". L'obiettivo cui mirava era di riprendere il dialogo con il Teatro già iniziato dal compianto fondatore Mons. G. Polvara; questa volta però volgeva l'attenzione particolarmente verso il Teatro nella Scuola come mezzo di educazione. Purtroppo la buona volontà della Direzione di "Arte Cristiana", fautrice di questa ripresa, venne sopraffatta da difficoltà per quel momento insormontabili, e si dovette desistere dal pubblicarla.
    Nella panoramica delle attività di questi lustri che seguirono alla morte di Mons. G. Polvara, va inoltre inserita quella svolta a fianco del C.A.L. (Centro di Azione Liturgica) per una affinità di apostolato nella Chiesa.
    L'Arch. Don Valerio Vigorelli, attuale Direttore della Famiglia Beato Angelico, venne anzi chiamato a far parte del Consiglio Direttivo del- l'Associazione stessa, e molte risultano le conferenze sull'Arte sacra, che i Confratelli Sacerdoti tennero durante tali "Settimane liturgiche nazionali".
    Particolare menzione meritano le mostre di Arte sacra allestite dalla Scuola "Beato Angelico" o in collaborazione con altri enti, come cornice alle citate "Settimane" che si svolgono annualmente nelle diverse località d'Italia. Ne cito alcune.
    Nel settembre dell'anno 1953 a Reggio Calabria la Scuola Beato Angelico era presente con un numero considerevole di arredi sacri, con una documentazione di opere architettoniche ed una raccolta di pitture del Maestro E. Bergagna rappresentanti le Litanie Lauretane.
    In seguito a questa rassegna, l'Ecc.mo Arcivescovo di Reggio Calabria, Mons. Giovanni Ferro, affidava alla Famiglia "Beato Angelico" la ricostruzione di alcune chiese del luogo che nell'anno 1908, erano state distrutte dal terremoto.
    Quattro anni più tardi e precisamente nel settembre del 1957, a Caltanissetta, la Scuola Beato Angelico allestiva la II Mostra nazionale di Architettura Sacra. La rassegna impostata su un piano didattico, fu articolata in tré cicli: il linguaggio dell'architettura contemporanea, le costanti fondamentali dello spazio liturgico, l'architettura sacra contemporanea in Italia. L'esposizione che era costata non poche fatiche agli zelanti confratelli e collaboratori, riscosse interessamento ed ammirazione da parte dell'Autorità ecclesiastica e del folto pubblico che si era recato a visitarla.
    Quest'anno, in occasione della "XVII Settimana liturgica nazionale", svoltasi nella città di Pavia, il Confratello Don V. Gatti, perito in "Sacra Liturgia", organizzò la "Mostra dell'arredo liturgico". Il tema stesso della "Settimana" - Chiesa come Sacramento e i Sacramenti della Chiesa - aveva suggerito la scelta del materiale esposto, relativo alla Liturgia sacramentale.
    Ogni anno alcuni mèmbri della Comunità partecipano con profitto, come relatori o come auditori, a questi convegni.
    Per iniziativa della Scuola B.A., nel corso per professori di liturgia che il C.A.L. organizza ogni anno, è stata inserita una "Tré giorni di arte liturgica" rispondendo così ad uno degli appelli del Concilio Vat. II in fatto di istruzione del clero sull'arte a servizio del culto.
    Questa rifioritura di attività ha fatto nascere la necessità di un successivo ampliamento edilizio in Casa nostra.
    Problema questo abbastanza impegnativo ed arduo che, preparato negli anni operosi della dirczione di Mons. G. Bettoli, è stato gradualmente affrontato con la costruzione del nuovo edificio scolastico effettuata nell'anno 1963, e con quella tuttora in corso, del laboratorio della sezione artigianato, della abitazione per la comunità maschile, di un salone capace per ritrovi, conferenze, e della nuova e più ampia cappella. E' qui doveroso ricordare che la sensibilità e la comprensione degli amici, sulla quale avremo sempre bisogno di contare, non è venuta meno in queste delicate circostanze.
    Infatti se lo sviluppo edilizio è in fase avanzata, lo dobbiamo certamente al coraggio del dinamico Direttore e alla saggia assistenza amministrativa del già citato presidente Comm. U. Bonetti, ma anche alla collaborazione di amici che hanno sottoscritto al prestito obbligazionario, senza del quale sarebbe stato impossibile ogni tentativo.
    Il "Pellegrinaggio sociale" alla Cattedra di Pietro, effettuato il 19-20 febbraio 1965, per commemorare il quindicesimo anniversario della morte del compianto Fondatore e il cinquantesimo di vita della rivista "Arte Cristiana", è ritenuto uno degli avvenimenti più significativi e denso di speranze di questi ultimi anni. In codesta circostanza la Famiglia Rei. B.A. ebbe modo, come non mai, di notare l'ampia cerchia di coloro che, pur fuori della Comunità Religiosa, ne seguono lo spirito, condividono e partecipano, in svariati modi, alla sua stessa vita e alle attività che essa svolge. Tornò di grande conforto ai mèmbri della Famiglia religiosa vedere collaboratori, Insegnanti, allievi, ex allievi, Benefattori ed Amici, che con loro ebbero l'ambita soddisfazione di un incontro con il Padre Comune, dare prova di sincera amicizia e di capire e apprezzare la missione della Famiglia B.A, che in quell'occasione Papa Paolo VI non mancò di incoraggiare e plaudire, quale servizio prezioso alla Chiesa e al Popolo di Dio.

    DOPO IL CONCILIO VAT. II
    Gli avvenimenti storici che hanno caratterizzato i pochi lustri che ci separano dalla morte del Fondatore e che hanno influenzato in modo determinante l'opinione pubblica, hanno anche logicamente creato una nuova problematica a tutte le Istituzioni, poste nel tempo, circa il modo di rispondere ai bisogni della Chiesa e della società.
    In particolare, il Concilio Ecum. Vat. II, con le sue prescrizioni intomo alla arte a servizio della Chiesa, convalidando l'ideale e la missione proposti e lasciati in eredità dal Fondatore, ha indirettamente ma concretamente richiamato la Famiglia Religiosa B. A. al suo impegno assunto, cioè a far si che la fiaccola accesa dal complanto Mons. G. Polvara venga alimentata perché faccia luce a difesa e a servizio dell'arte sacra nelle chiese.
    Altrettanto significative ed esortatrici a questo proposito, sono la nomina, giunta nel settembre dell'anno 1960 al Direttore Dott. Arch. Don Vigorelli, di Consultore nella XIII Commissione preparatoria del Concilio Vat. II per la S. Liturgia, e altre che gli giunsero in seguito sempre in funzione dell'arte liturgica.
    Il Concilio si è chiaramente pronunciato circa le prerogative e i requisiti dell'arte a servizio della Chiesa.
    Sono autorevoli disposizioni che ogni buon cristiano ormai conosce, ma che per alcuni sono serviti più che come motivo di studio, come un pretesto a fare dell'arte che vorrebbe essere sacra, ma che non raggiunge tale livello.
    E si giunge a fare persino appello al Concilio, che ha invitato gli artisti di oggi a un servizio alla Chiesa, per giustificare certe spettacolari mostre d' arte sacra, che non rispondono ancora alle aspettative della Chiesa nei confronti di un'arte moderna che veramente soddisfi alle esigenze del culto e alla edificazione del Popolo di Dio. Per evitare questi grossi equivoci basterebbe si studiassero e si approfondissero le disposizioni incluse nella Costituzione sulla Sacra Liturgia. Fare dell'arte liturgica non è cosa facile. Per parlare un tale linguaggio è indispensabile una seria preparazione culturale, spirituale e teologica, e non soltanto tecnico-artistica.
    Non è possibile tradurre in immagini eloquenti, misteri che non si conoscono o si conoscono superficialmente e non siano amati e sinceramente vissuti.
    La Famiglia Religiosa Beato Angelico è nata da questa e con questa convinzione. L'aver essa riscoperto un proprio posto e un preciso compito nella Chiesa e per la Chiesa, che ha ribadito, attraverso gli autorevoli documenti conciliari, l'utilità della nostra vocazione e del nostro servizio, la impegna a perseguire con maggior fede e alacrità i suoi precipui fini, e a sperare dal Padrone della messe altri generosi operai, affinchè tutte le iniziative postulate dalla sua speciale Missione nella Chiesa, trovino, oggi e domani, piena possibilità di realizzazione.
    Nella Casa del Padre, dove molte sono le mansioni, come chiunque ha potuto capire, ben delineata è quella affidata alla Famiglia Rei. Beato Angelico, ma sconfinato ne è il campo di azione. Vogliamo puntare lontano, oltre gli oceani, per portare a tutta la Chiesa 11 nostro servizio. Un tentativo, che vuoi indicare la volontà di superare i confini, è dato dall'esperienza che i nostri amici già conoscono, ossia dal gemellaggio stabilitesi tré anni or sono, con una scuola del Burundi in Africa.
    Suor Maria
    Articolo pubblicato sui n.ri 1-2-3-4 della rivista "Amico dell'Arte Cristiana" - anno XXXVII - 1966