La chiesa di San Giuseppe in Monza
Un’idea di Peppino Arosio progettata da
Justus Dahinden
Il complesso parrocchiale di San Giuseppe Confessore in
Monza, opera dell’architetto svizzero Justus Dahinden di
Zurigo si deve alla volontà di un caparbio parroco –don
Giuseppe Arosio-, appassionato di architettura, oltre alla
lungimirante guida di un grande teologo -don Luigi Serenthà-,
autore dello statuto epistemologico delle scienze
teologiche. Può esser definito un «“luogo” nell’informe»,
così come lo descriveva Pierluigi De Stefano sulla rivista
-diretta da Bruno Zevi- “L’architettura”
in un articolo che presentava la chiesa monzese.
L’edificio religioso è stato costruito fra il
1973 ed il 1975, dal parroco fondatore e committente don
Giuseppe Arosio, la direzione lavori è affidata ad Enrica
Derossi, l’impresa costruttrice dell’ing. E L. Casiraghi, le
strutture dello Studio Baroni - Caprotti – Malusardi. Le
opere e gli arredi son stati eseguiti da Egon Weinert,
mentre l’organo –di tipo meccanico- è di Vincenzo Mascioni.
«L’essenza fondamentale della chiesa è fissa; il che
conferisce un carattere storico. D’altra parte essa è
dinamica, bisognosa di adattamenti e le sue forme esteriori
variano in funzione del luogo e delle situazioni».
La chiesa è stata concepita come
«un luogo d’incontro, in modo che accanto all’azione
liturgica e alla preghiera personale si potesse costruire
una vita comunitaria».
Si è voluto creare uno spazio compiuto
internamente che, per contro, tramite sapienti ed elaborate
soluzioni stilistiche interloquisce con lo spazio
circostante. Un intorno in divenire, un quartiere popoloso,
una nuova realtà urbana che abbisognava di una moderno e
significativo
«desiderare che le architetture e le iconografie sacre
nascano con l’impronta della bellezza equivale a rispettare
— come scrivo nella pastorale Quale bellezza salverà il
mondo? — la loro primaria funzione di testimoniare
l’irruzione della grazia divina nella nostra quotidianità.
Esse dovrebbero essere una freccia lanciata all’interiorità
attraverso appunto il linguaggio della bellezza, dovrebbero
essere un sostegno alla contemplazione».
La chiesa parrocchiale di San Giuseppe in
Monza è stata costruita non già per un mero servizio sociale
e comunitario, il tempio cristiano monzese è un impegno
costruttivo unico, che si diversifica da analoghe imprese.
Il significato qui presentato di architettura sacra è reso
dal fatto che in essa viene raffigurato -e presentato- anche
lo spirituale, il soprarazionale, l’invisibile.
«Lo spazio- chiesa non deve solo offrire al credente un
luogo tranquillo e protetto, ma deve anche accogliere una
valenza psichica dell’architettura sacra che abbraccia
l’uomo nella sua totalità».
In questa chiesa sono determinanti sia gli
spazi esterni che quelli interni che costituiscono uno
spazio organico. Si assiste ad un’architettura in cui si può
ascolatare una perfetta sintonia fra spazi esterni che sono
preludio e preparazione di quelli interni. Guardando alla
planimetria generale si coglie che lo spazio architettonico
ha un’impostazione spiraliforme. Sempre osservando lo
sviluppo della chiesa ci si rende conto che propone
contemporaneamente una direzione centripeta e centrifuga.
«Due forze opposte e dicotomiche ci dicono delle due valenze
fondamentali della comunità- chiesa: raduno e tensione verso
il mondo. La sequenza degli spazi di accesso alla chiesa
vuol avere una forza di persuasione e un carattere di
invito. Questi spazi esterni sono complementari a quelli
interni e legano il centro parrocchiale all’area urbana, pur
differenziandosi da essa».
La chiesa è uno spazio sottolineato ed
introdotto dai suoi punti celebrativi e dalla luce.
L’architettura qui si fa armonia quasi permeata e bagnata
dalla luce. Il disegno dell’architetto agisce con
un’intensità vibrante sull’individuo -e per contro- sulla
assemblea radunata tutta attorno all’altare. Quest’ultimo,
immagine scarna e scabra della mensa, è dunque
spiritualizzante ed estremamente rasserenante. In
particolare il dato luministico, i colori, i materiali
cooperano in un’alchemica composizione a rendere lo spazio
interno carico di simboli che schiudono al mistero.
L’altare diviene l’axis mundi di
questa realtà oggettuale in cui può sperdersi verso il
centro e divenire il fulcro della e nella comunità radunata.
Non è un casa che sia di forma quadrata –difatti il quadrato
è immagine per antonomasia della finitudine, degli elementi
naturali, dei venti ed infine per noi cristiani degli
evangelisti- e dall’aspetto robusto, estremamente imponente
alla vista dell’osservatore. Questo altare rimanda –tramite
una suggestiva sinfonia di significati- all’importanza e
alla asceticità del luogo del sacrificio.
Retrostante all’altare sta il tabernacolo
–altro luogo nodale della liturgia, di grande importanza
durante le celebrazioni e nella preghiera privata- dipinto
dalla luce che scorre verso il basso direttamente dal cielo.
Questo impiego zenitale della luce a bagnare le cose rende
“memoria” del pane che è disceso dal cielo –a livello
veterotestamentario-, nonché della gratiuità dell’essersi
incarnato per noi ed esser divenuto pane eucaristico.
Sulla zona sopraelevata da tre gradini sorge
–oltre alla altare e al tabernacolo- l’ambone ed il
battistero –tutti e due in stile- costituiti di legno e
ferro, il medesimo materiale della mensa.
Ciò che colpisce chi visita questa chiesa
è la molteplicità di piani -forse molti ad un visitatore
distratto- che stanno a significare i vari piani dello
spirito che vaga in ascesa verso Dio. Questi vari piani
nello spazio architettonico costituiscono la diversità delle
funzioni è sottolineata dalla forma e dai livelli dei vari
luoghi celebrativi.
Si analizzi la zona sopraelevata su cui è
custodita la mensa, il tabernacolo, l’ambone e il fonte
battesimale. Questi “luoghi” non sono solo un normale
presbiterio, bensì uno spazio chiesa che si sarebbe potuto
separare, lungo il corso della settimana, per favorire le
celebrazioni feriali e l’adorazione eucaristica personale.
In questa chiesa l’elemento più dominante -al
di là dell’altrenanza dei livelli- il fattore “luce”.
Quest’ultima -che tanta importanza ha assunto nella Divina
Liturgia e nelle Sacre Scritture- nella chiesa diviene
l’elemento fondamentale, simbolo della gioia
pasquale. Un’ulteriore evidente particolarità di questo
tempio cristiano è certamente la provenienza della luce. Le
sorgenti luminose non si riescono a vedere e la luce
«scende lungo le pareti conferendo allo
spazio solennità e accoglienza».
Da sottolineare la disposizione del coro che
è ubicato all’interno dell’assemblea orante. Ulteriore
elemento di spicco della comunità parrocchiale è l’organo
-parte integrante dell’architettura- in cui l’esecuzione dei
canti è pure sostenuta dallo strumento a canne.
La disposizione dell’assemblea liturgica –si
ricordi che a seguito del Concilio Ecumenico Vaticano II
l’assemblea diviene “con celebrante” unitamente e
congiuntamente al Ministro- è emotivamente coinvolta dalla
disposizione, tutt’intorno alla Mensa Euristica. La seduta
dei fedeli è la sedia, scelta al posto delle tradizionali
panche, proprio a sottolineare il valore dell’individuo ed
offrire la possibilità di trasformazioni a seconda del le
celebrazioni.
Lo spazio interno dell’aula è atipico,
asimmetrico. Difatti la pianta della chiesa è inconsueta e è
partorita dalle esigenze della Liturgia più che da forme
geometriche predeterminate o consuete. Una chiesa “nuova”,
nata da un concetto spaziale-liturgico che evita l’abitudinarietà
e l’insipienza. Una creatività vibrante di spazi, resi
attivi e pulsionanti dalla loro creatività.
San Giuseppe di Monza, pensata da Arosio e
Dahinden,
favorisce la spiritualità e la preghiera,
l’interiorità e la riflessione.
Prof. ALESSIO VARISCO
Storico dell’arte e saggista
Direttore "Antropologia Arte Sacra"
E. Derossi, J.
Dahinden, Chiesa S. Giuseppe Confessore in
Monza. in G.
Arosio, Chiese 1985-2000. Milano, Electa.