L’ospedale di Montesordo in Cermenate (Co)
In limine fra le Diocesi di Como e Milano sorgeva un antico
hospitium gerosolimitano dapprima dedicato ai Santi
Biagio, Leonardo e Margherita nei pressi di Montesordo,
a Cermenate, sotto la giurisdizione canonica comense. La
frazione di Montesordo è ubicata nella “bassa comense”,
adagiata sulle prime colline poste al limite settentrionale
della pianura padana che si innalzano verso le prealpi
comasche. Cermenate, Bregnano, Vertemate, Carimate sono i
primi comuni della provincia di Como a chi proviene dalla
Statale dei Giovi, l’attuale Milano-Meda, e Montesordo fu un
importante centro, diremmo noi oggi “nevralgico”, poiché posto
in corrispondenza dell’antica via che unisce Milano a Como e
che continua poi verso per la Svizzera e la Germania. Nel
Medioevo questi luoghi facevano parte del sistema di
fortificazione territoriale comasco, comunicavano in
sequenza fra di loro sino a toccare la rocca comasca del
Baradello.
Gerardo di Cluny aveva creato alcune strutture monastiche
nella zona e nel 1107 alcuni di questi monaci benedettini
riformati edificarono cenobi a Cermenate e Vertemate, nei
secoli successivi seguirono gli Umiliati che si
stanziarono a Carimate ed i Giovanniti in Montesordo.
Della gloriosa presenza degli Ospitalieri di San Giovanni
è rimasta l’antica struttura dell’hospitale e a livello
di toponomastica ancor’oggi l’antica grangia si chiama
“Santa Croce”, che è una delle località di Cermenate.
L’origine del toponimo “Montesordo” potrebbe essere
dipeso -secondo l’Olivieri- da due interpretazioni
della parola Surdus e cioè “inadatto alla coltura”,
oppure come equivalente di “oscuro”. La toponomastica rivela
l’inospitalità dell’area montesordese determinatasi ed
origine del nome della frazione, derivata dalla fitta selva
che ricopriva il poggio.
Nel
Basso Medioevo l’aspetto di Montesordo, e della zona
circonvicina, doveva apparire come un’endemica boscaglia,
molto tenebrosa, certamente l’ambiente più idoneo per predoni
e malfattori. Quest’aspetto selvaggio è eloquentemente
espresso da un anonimo poeta che -agli inizi del XII secolo-
descrisse la guerra tra Comaschi e Milanesi svoltasi fra il
1118 e il 1127. L’acerrima lotta che vedeva contrapposte Como
e Milano viene così ricordata Giosuè Carducci ne “Il
Parlamento”:
«“Como è co’ forti, e abbandonò la Lega”./ Il popol grida:
“L’esterminio a Como”».
Nell’anno
1126 i soldati comensi si appostarono su di un’altura per
sferrare un’imboscata a quelli di Cantù presso il «montem
transendunt Surdum, collemque reclivum/ consita sylva patet,
nemorosaque frondibus atra/ arboribus densis».
La descrizione è -nella sua brevità- essenzialmente esaustiva
poiché ci fornisce sinteticamente, simile ad una
diapositiva, come poteva essere la zona: disabitata
e non coltivata, pericolosa per i viandanti e
particolarmente propizia ad azioni di brigantaggio.
Anche in tempi di pace, infatti, le macchie e cavità del
Montesordo dovevano rendere i passaggi un luogo rischioso
e sconsigliabile poiché ideale agli agguati dei banditi tesi
in un’area impervia in cui risultava difficile la fuga poiché
oltre ad essere boschiva era costellata di laghetti e paludi.
La strada perciò si divideva in due alle pendici del monte
per poterlo aggirare e si ricongiungeva poi poco più oltre,
una volta evitato; solo così si riusciva a garantire un minimo
controllo su un ampio tratto della strada e sul territorio
circostante.
Ancora oggi esiste una Strada Oscura che, avviandosi
dalla parte occidentale dell’abitato di Cermenate cammina
lungo il versante orientale del Monte e poi si collega
all’odierno tracciato della strada che conduce a Como. Questa
via è certamente la bipartizione dell’antica strada per Como e
ciò è confermato dallo storico Cantù nella sua “Storia di
Como”, il quale menziona numerose aggressioni che i
mercanti di passaggio pativano sulla strada che portava al
capoluogo lariano.
Nel 1222 due mercanti fiamminghi -Bernard Neufmarchés e
Adelard Preudhomme di Lille- diretti a Como, subirono
il furto di tredici drappi di lana di Lille, Ypres e
Bouvais e dodici paia di scarpe di Bruges; i commercianti
stranieri vennero risarciti della depredazione dal comune di
Como che versò loro 97 lire imperiali.
Occorreva dunque un hospitium che potesse assicurare la
tranquillità ai numerosi pellegrini provenienti dalla Germania
per tramite della Svizzera. Durante la prima metà del XIII
secolo sorgeva una piccola comunità di religiosi con
una propria domus ed un hospitale alle pendici
del monte, in prossimità della strada che conduceva a Como.
Diversi i motivi che spinsero all’edificazione di una
comunità ospitaliera qui nel Comasco: in primis la
Sacra Religione Giovannita intendeva portare un
nucleo di civiltà nella zona, inoltre questa comunità
intendeva presidiare e fornire ospitalità a Pellegrini
ed Ammalati.
Gran parte delle selve, coi loro impervi ed incolti boschi
cedettero il posto a coltivi, la macchia cambiò: a
querce e faggi –oramai endemici- vennero sostituiti da ben più
utili noci e castagni; gli ospedalieri e i loro
massari facilitarono la colonizzazione della zona.
La presenza
di una Fraternita Ospitaliera, “fratres de
Montesurdo”, è attestata da alcuni documenti che
dichiarano la presenza di un primo hospitale a partire
dal XII secolo, diversi sono i documenti che attestano la
sua origine: il primo è un testamento, datato 1188,
di
Alberto da
Somma
-suddiacono
di Santa Romana Chiesa- che decide di far erigere l’ospedale
di Montesordo, nella “pieve di Somma”.
Il secondo
è un atto del 1240 di Pietro de Silva, definito «minister
hospitallis sanctorum Blaxij et Leonardi et Sancte
Margarite de monte surdo prope locum de Cermenate»
ove promette di pagare ad un cittadino milanese -tale
Pietro Bellotto- il prezzo di lire di terzioli 160 per un
sedime ed altre terre in Misinto.
Il terzo
documento è un atto di fine XIII secolo, 1291, di «Frate
Iacopo de Pigazzano, precettore della Mansione “de Templo
de Mediolano”, nonché della della domus di Montesordo
di Como, a nome e veci di entrambi rilascia al signor Gabrio
de Leuco di Como del fu Nicola regolare ricevuta dell’anno
fitto di 32 nuove lire, per proprï beni delle suddette case
site in Montesordo, Clemente, Puzinate
e dintorni. Allo stesso nella casa delli frati di San
Bartolomeo di Como, dal notaio comense Paterio del fu Ser
Bertramo».
Dal secondo
documento -del novembre del 1240- scopriamo che la nuova
fondazione è dedicata ai Santi Biagio, Leonardo e
Margherita; la struttura pare che nasca da un’iniziativa
locale e l’hospitium risulta gestito da
laici
“conversi”
e da
religiosi. L’atto è importante in quanto dimostra la presenza
di Ospitalieri, Pietro del fu Ottone de Silva è
il rappresentante dei religiosi e ministro dell’ospedale,
mentre il converso frate Uberto de Montexello era il
rappresentante del sodalizio di laici che servivano la
struttura. Il legame con Cermenate era molto stretto,
peraltro dipeso da Guidotto de Monte, sive de Sancto Vito
de Cermenate che, nelle vesti di procuratore, acconsentì
il negozio con cui i rettori dell’hospitale comperarono
una abitazione e diverse terre nei pressi di Misinto -a
Lazzago- per una consistente somma.
Una pergamena del 1502, custodita nell’Archivio
Parrocchiale di Cermenate, conferma la presenza dell’hospititum
giovannita anche nel Cinquecento. Paolo Concasso
–si legge nel membraceo- rifiuta la assegnazione dei beni
spettanti al monastero di Santa Croce di Montesordo al
fratello Giovanni, mediante il compenso di lire 480,
per perfezionamenti da lui fatti nel fondo; si legge anche che
i cavalieri gerosolimitani possiedono un hospitale
ed attigua antica chiesa. Questo documento testimonia
il definitivo e legittimo passaggio dei beni di Montesordo da
un privato cittadino al Sagr’Ordine di San Giovanni,
che li conserverà fino alla soppressione napoleonica; il
compenso infatti è riferito esclusivamente ai miglioramenti
apportati al fondo.
Sappiamo
che la fondazione monastico-cavalleresca non ebbe un gran
sviluppo in quanto già prima dell’inizio del XIV secolo la
domus era stata unita alla casa degli
Ospitaleri
di San Giovanni della Santa Croce di Milano.
Durante il XV secolo l’hospitale di Montesordo mutò la
propria dedicazione in Santa Croce -in ossequio alla
struttura della commenda milanese - e presso la
domus viveva un solo sacerdote. Nonostante la struttura
non avesse grandi numeri di presenze -come peraltro molte
altre strutture durante il XV secolo-
mantenne però la sua importante funzione di insediamento
agricolo.
La mansione dopo neppure due secoli subì un
progressivo cambiamento della forma ed i fabbricati dell’ospedale,
a causa di ciò, vennero a poco a poco inglobati in più grandi
costruzioni fabbricate per lo sfruttamento del terreno. L’originale
struttura ospedaliera fu stravolta sino a che si dissolse
ogni precedente traccia religiosa, lasciando unicamente una
classica cascina a corte.
Fa pensare
rileggere quanto asserito da Battista di Gianmaria Visconti,
capo di una famiglia di massari che risiedeva nella cascina di
Santa Croce in Montesordo che interrogato dalle autorità sulla
condizione del amministrative che nell’anno 1652 affermava che
in tutta la zona vi era soltanto quella cascina. Battista per
commuovere gli ufficiali del fisco regio dichiarò «questa è
una povera cassina, che vi stentiamo a vivere», un quadro
spietato, ma quasi certamente fedele al vero poiché la
famiglia Visconti era la sola abitatrice, non vi erano
osterie, forni o mulini. Il Questore Dele del re di
Spagna censì due focolari presenti sul monte: Santa
Croce e Montesordo.
L’insediamento montesordese viene diviso in due
distinte parti dalla nuova via di comunicazione che, giungendo
da Milano, arrivava a Como dopo aver raggiunto la sommità del
monte; questa strada marcava ha da sempre determinato il
confine tra i comuni di Asnago e Cermenate. L’antico
hospitium –ora totalmente trasformato- nella prima metà
del XVIII secolo perdeva definitivamente la originale funzione
di struttura sperduta e semi-isolata.
La mansione di Montesordo assunse la fisionomia della cascina
composta da due edifici distinti, organizzati ciascuno intorno
ad una corte, ambedue spalancati sul lato della strada.
Dalle mappe del Catasto Teresiano possiamo
ragionevolmente desumere che la conformazione originaria
dell’insediamento -risalente al Medio Evo- consisteva in un
edificio unico, dalla forma quadrangolare, disposto intorno ad
una unica corte, divisa in due corti minori. La corte posta
nel comune di Cermenate era occupata dalla fraternita
conventuale, ciò si evince dall’annotazione della proprietaria
alla Sacra Religione di Malta nel 1732 di questa porzione, il
marchese Francesco Porro era il proprietario della corte
civile-rurale posta nel comune di Asnago.
All’inizio del Settecento la piccola azienda agraria che
faceva capo al Montesordo era ancora attiva, per farci un’idea
di come fosse la cascina di Santa Croce possiamo
osservare la assonometria del 1727, illustrazione di buona
fattura custodita all’Archivio Storico di Stato a
Milano. Questa bella illustrazione ci fornisce le dimensioni e
il quadro generale della struttura dimostrando l’importanza
del fabbricato, nel corpo centrale possiamo distinguere alcune
fenditure ogivali di forma gotica che consentono di
determinare la datazione di questa porzione del complesso
intorno all’epoca medioevale. Tutte queste forme, oggi
purtroppo perdute, consentono di attribuire senza ombra di
dubbio la fondazione della primigenia struttura impiegata
quale hospitium di una comunità monastica-cavalleresca,
dalla caratteristica tipologia edilizia di struttura a corte
con cappella, simile alle grange benedettine o
cistercensi.
L’era napoleonica segnò la confisca dei beni della Sacra
Religione di Malta, la costruzione della strada passante per
Montesordo che venne eretta a strada provinciale. Questa
mutata fisionomia del sistema di comunicazione determinò lo
sbancamento dell’area alterando la sommità del monte,
costituita da due piccoli cocuzzoli, ed alterando
irrimediabilmente la conformazione armonica che caratterizzava
la commenda giovannita.
La mansione ospitaliera era innalzata, ancora oggi si può
notare una breve scarpata, dal piano stradale e questo
consentiva una maggiore difesa dell’hospitale. L’antico
impianto dell’ hospitium gerosolimitano deve essere
stato mutilato –e stravolto- dall’aggiunta di diversi annessi
-scuderie e sili- diversi costruiti con travi e tetti di
paglia ancora nel XVIII secolo.
L’aspetto
definitivo della originaria domus di Montesordo. frutto
di stratificazione di stili, anche antichi, persino gotici,
venne stravolto sino ad assumere l’immagine definitiva di una
struttura rurale classica “a corte”,
perdendo in maniera decisiva il vecchio tipico di un complesso
giovannita. Una serie di abbattimenti, allargamenti e
ristrutturazioni si susseguono dal 1876 al 1898 in entrambe le
corti sino quasi a perdere l’uniformità, modificando persino
l’impianto della “corte aperta”. Dalla fine del XIX secolo la
struttura non subì ulteriori trasformazioni, per tutto il
Novecento restò inalterato e man mano degradandosi sempre più
sino alla selvaggia distruzione nell’estate del 1990
dell’intero complesso conventuale.
Prof.
ALESSIO VARISCO
Storico
dell’arte
Direttore
Antropologia Arte Sacra
I cavalieri comaschi, infatti, “ricoperto di una selva
boscosa, scura per le fronde e per gli alberi fittissimi...”:
Anonymi
Novocomensis,
Cumanus, sive liber de
bello inter Mediolanenses et Cumenses
a cura di G. Stampa,
in Rerum Italicarurn Scriptores, V, Typographia
Societatis Palatinae, Milano 1727, col. 448, vv.
1626-1628.
Qui nascono però delle incertezze sulla data di fondazione
dell’ospedale di Montesordo di Cermenate: a) Cermenate non
fece mai parte della pieve di Somma in quanto nell’alto
Medioevo era capopieve e nel X secolo era nella pieve
di Fino Mornasco; b) il Colombo probabilmente non era
a conoscenza del fatto che esiste un Montesordo anche nei
pressi di Somma Lombardo sulla cui cima, la costruzione
oggi detta “il Muraccio” non è altro che un antico
ospedale.