La
devozione a Sant’Agata presso Radicofani
Il calendario
liturgico celebra la festa di Sant’Agata il 5 febbraio, data del
suo martirio, ed è celebrata solennemente in tutta la chiesa
cattolica.
Agata nasce e
trascorre la sua rapida vita durante la metà del III secolo d.C.
al tempo dell’imperatore Decio.
Dagli atti del martirio della Santa sappiamo che subì un’atroce
tortura: le fu asportato il seno. Il supplizio, ordinato dal
proconsole Quiziano, fu compiuto da due spietati persecutori
–Silvano e Falconio- che perirono durante il terremoto di
Catania. La prima scossa tellurica avvenne proprio durante
l’inizio delle sevizie alla povera Agata, per questo in molti
luoghi gli abitanti delle terre martoriate dai sismi si votano e
chiedono l’intercessione della Martire. Sant’Agata è martire e
patrona dei terremoti.
Detto ciò
appare ancor più plausibile la diffusione della Santa in terre
“continentali” anche a distanza di centinaia di chilometri, se
non migliaia, è quella che potremmo dire la forza della fede.
Anche in terra
senese, a Radicofani, laddove la Santa senese per antonomasia –Caterina-
iniziò a scrivere, lei analfabeta, di questioni spirituali e
teologiche, si è diffusa una venerazione che addirittura è
amministrata da una Confraternita omonima che gestisce la storia
–sul solco della tradizione- il culto riservato alla santa
catanese. Gli abitanti di Radicofani l’hanno addirittura eletta
a Santa Patrona in quanto più volte hanno fatto richieste
d’ausilio e chiesto grazie, molte delle quali accordate. Di qui
un diffuso e profondo amore che portò ad una e vera propria
venerazione per la martire in quelle terre ad alto rischio
sismico. Un profondo ed indiscusso attaccamento alla Santa si
radicò anche in Radicofani, un borgo dalle insolite forme che si
erge sovra un’aspra rupe basaltica al di sotto di un massiccio
vulcanico che misura 814 metri sul livello del mare.
Radicofani
durante il Medioevo è un importante centro in quanto sorge quasi
all’incrocio di due importanti valli, quella del Fiume Orcia,
affluente dell’Ombrone -che sfocia nel Mar Tirreno in prossimità
di Grosseto- e del Fiume Paglia -affluente del Tevere- che passa
per la città Orvieto più a settentrione. Inoltre correva in quei
secoli a cavallo del Mille –e si diffuse successivamente con la
nascita del “Giubileo”- una vera forma di spiritualità accesa e
cioè il “pellegrinaggio” –un vero percorso di ricerca
interiore-, una tipologia dello spirito medioevale,
sopravvissuto sino ai giorni nostri,
che portò molti fedeli ad intraprendere grandi viaggi verso la
Città Eterna: la Via Francigena, chiamata anche “via Romea”, in
realtà nacque dai longobardi che dovettero unificare con
un’unica superstrada il settentrione con il meridione.
La cittadina
divenne famosa per Ghino di Tacco, nobile senese,
condannato a morte per aver ucciso Messer Benincasa
–uditore papale presso il Tribunale di Roma- sgozzandolo e
portandone la testa in trionfo. «Quiv’era l’Aretin che da le
braccia/ fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte».
Torniamo alla
Santa Patrona di Radicofani che continua ad essere venerata dai
suoi abitanti. Purtroppo non potendo trovare rimedio nell’ambito
naturale gli antichi facevano ricorso al “soprannaturale” ed
invocavano l’aiuto –per tramite del Patrono- divino. Suppliche e
litanie per scongiurare la peste (ecco ricorrere a San Rocco),
preghiere e processioni alla martire per frenare il terremoto
(Sant’Agata). Questo comportamento di autodifesa ha portato la
popolazione di Radicofani ad affrontare un lungo periglioso
viaggio per giungere alla città di Catania al fine di riportare
una reliquia della venerata martire patrona dei terremoti e
scongiurata per avversare il sisma e porsi sotto la sua
protezione. Il Settecento è un secolo funesto per il borgo di
Radicofani e per i suoi dintorni che nel 1727, nel 1740, nel
1764 ed infine nel 1776.
Il peggior terremoto si scatena mietendo numerosissime vittime
nel 1727 e ciò spinge gli abitanti a far ricorso alla Santa
catanese e ad invocarne l’aiuto; nella storia della cittadina fu
forse il più atroce per intensità e danni, incalcolabili, che
costrinsero gli abitanti ad una vera ricostruzione del borgo e
delle sue abitazioni e chiese. nello stesso tempo una dolosa
distruzione della Fortezza, che governa dall’alto della rupe la
valle, e segna indelebilmente l’area settentrionale della Val d’Orcia
si aggiunse alla furia tellurica.
Fu così che
nell’Anno Domini 1727 una delegazione cittadina guidata da un
chierico si mosse alla volta di Catania subito dopo la solenne
celebrazione della Festività dell’Assunta. In pellegrinaggio, a
piedi, viaggiarono alla volta della città sicula ove il Vescovo
diocesano li accolse e grazie ad una lettera credenziale del
Metropolita di Chiusi, diocesi da cui dipende Radicofani,
ottennero un frammento osseo che subito venne inserito in una
teca d’argento. La delegazione non compì l’opera in quanto al
fine di poter venerare delle Sante Reliquie abbisognavano di un
nulla osta rilasciato dalla Curia Pontificia. Perciò durante il
ritorno fecero tappa in Vaticano per l’autenticazione della
reliquia di Sant’Agata. L’Autorità Pontificia competente
autorizzava la pubblica esposizione e la venerazione con un atto
notarile il 31 ottobre 1727.
Esausti ma soddisfatti del traguardo raggiunto, con un’enorme
speranza e tanta –ma proprio tanta- fede, i pellegrini giunsero
alla loro città natale verso i primi di novembre dello stesso
anno. L’accoglienza di tutti gli abitanti fu davvero entusiasta
presso la Porta da Piedi.
Dall’ingresso
delle Sante Reliquie della Martire Agata in quel di Radicofani
si convenne che una Confraternita laicale fosse custode di
perpetuare il culto alla vergine martire. La Fraternità ebbe la
struttura cosiddetta in Centuria e si convenne che i confratelli
indossassero una cappa rossa in ossequio alla Martire.
Ciascun anno
gli associati alla “Confraternita di Sant’Agata” sfilano
–durante la festa annuale del 5 febbraio- per le vie del paese
cantando: «Nostri padri da Catania ti portarono in
processione, genuflessi, reverenti e con somma devozione».
L’attuale
reliquiario in argento è stato forgiato successivamente al
ritorno dei fedeli pellegrini che vollero custodire la devozione
della Santa martire Agata.
La chiesa che
custodisce le Sacre Reliquie è dedicata a Sant’Agata sorge sulla
via principale –un tempo tappa della Via Francigena- di
Radicofani e presenta l’aspetto barocco. Dell’antica facciata
restano ben visibili i due ingressi –contornati da roccia
basaltina- dalla forma svettante a sesto acuto, in
corrispondenza dei quali –superiormente- due finestre a tutto
sesto, di epoca gotica emergono sul nuovo fronte che in una
lapide ricorda la ristrutturazione dopo il tragico sisma
dell’anno 1727. Non è un caso che questa chiesetta, tragicamente
mutilata dal terremoto, fu il luogo prescelto per accogliere le
Sante Reliquie di Sant’Agata e già vantava un’urna contenente
frammenti ossei di San Saturnino, co-patrono di Radicofani.
Questo tempio in cui campeggia l’immagine della Vergine è stata
scelta per custodire due Santi Martiri, forse proprio a
preservare il cuore del centro storico dell’abitato dal pericolo
del terremoto. L’interno si presenta ad unica navata, entrando
subito a destra un Crocifisso ligneo di grande interesse
artistico del XIII secolo appartenuto al Convento dei Padri
Conventuali. La fattura lo rende un unicum nella zona, molto
probabilmente è stato scolpito da un artista nordico, di scuola
fiamminga. Sulla sinistra in una nicchia un gruppo di statue
policrome presentano la Madonna che domina la cittadina di
Radicofani attorniata dai due patroni: Agata e Saturnino.
L’altare
maggiore è costituito da una tavola di Andrea della Robbia
in cui compaiono la Vergine con il bambino (benedicente) ed ai
lati quatto santi: San Francesco (segni distintivi: le stimmate,
il saio, la Croce ed un Libro) e Santa Elisabetta d’Ungheria
(dei fiori), Santa Cristina di Bolsena (una freccia conficcata
nel collo)
e San Lorenzo (), gli ultimi due recanti nella destra la palma
oltre a e due angeli recanti il diadema che stanno per porre
sulla “benedetta fra tutte le donne”. Ai piedi della Madonna
Incoronata leggiamo un cartiglio indicante l’inno mariano:
«Sub tuum presidium confugimus Santa Dei genitrix»
e forse resta la certezza del prosieguo che recita “non
disprezzare noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni
pericolo o Vergine gloriosa e benedetta”. Certamente la
protezione della Vergine Madre di Dio deve esser stata più volte
invocata dagli abitanti di Radicofani. Nella predella, invece
troviamo San Sebastiano Martire (il cui segno distintivo sono:
la classica positura con le mani dietro la schiena
–presumibilmente legate- e le frecce), l’Arcangelo (con un
giglio in mano), al centro un vaso di gigli, speculare (e primo
personaggio sulla destra è la Madonna) la Vergine Maria e San
Rocco (il bastone, il cappello a tesa larga e la conchiglia del
pellegrino).
Ai lati notiamo la bella decorazione laterale con tralci,
addobbi fitomorfici, frutti e fiori, mentre l’architrave
superiore presenta una schiera di sei cherubini. L’opera, una
terracotta invetriata, è databile intorno all’anno 1500. fu
eseguita da Andrea durante il periodo soggiornò in questa zona
unitamente ai membri della sua bottega. Andrea Della Robbia
colpisce per l’esecuzione delle sue terrecotte che sanno di una
brillantezza ed una tenerezza impagabile, potremmo dire che il
discepolo –nipote- superò il maestro. Ciò che incanta della
dossale di Sant’Agata è il tono con cui Andrea riesce a rendere
lo sguardo dei Santi, la Madonna e gli angioletti.
Al di sotto
dell’opera del Andrea Della Robbia un’urna contenente le ossa di
San Saturnino Martire,
donata dall’illustre Mons. Giovanni Pellei
–nativo di Radicofani- nell’anno 1647 nell’originale urna.
Prof. ALESSIO VARISCO
Storico dell’arte e saggista
Direttore "Antropologia Arte Sacra"
© ALESSIO VARISCO, Técne Art Studio
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