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La Basilica Santa Maria in Cosmedin

L’antica Santa Maria in Schola Graeca in Roma presso la Bocca della Verità

 

La Basilica di Santa Maria in Cosmedin, un tempo titolata “Santa Maria in Schola Græca”, è sita nell’attuale Piazza della Bocca della Verità.

La chiesa è una delle basiliche romane più importanti -assurte a simbolo della città stessa-, costituisce -con gli adiacenti templi di piazza Bocca della Verità- un quadro vivente di continuità tra l’Urbe antica e quella medievale.

L’edificio cristiano primigenio fu eretto nel VI secolo d.C. al posto di due antichi edifici romani, quale centro di assistenza e distribuzione viveri di qui il titolo di "diaconia".

La chiesa sorge su di una piazza antistante che è denominata “della Bocca della Verità”. Un tempo –in epoca Medioevale- la zona circostante l’edificio religioso era abitata da una comunità greca. Di qui il nome di “Ripa Greca”, a livello toponomastico –interessante notare la “vitalità” di un luogo e la diversa destinazione- da segnalare invece nei secoli più vicini a noi, che il baricentro cittadino si sposta verso settentrione e con sequenzialmente l’area cadde in declino, lentamente ed in maniera irreversibile. Questa decadenza del quartiere comportò il sorgere di numerosi fienili, da cui il nome di certune strade -ancor oggi- via dei Fienili, via dei Foraggi.

Il primo dei due fabbricati romani -lo “Statio Annonae”-[1] era un centro per la distribuzione dei rifornimenti alimentari fu eretto sul finire del IV secolo d.C.. Questo primo edificio fu trasformato in sede della “Statio Annonae” e cioè in quella istituzione che assisteva le smistamenti gratuite di cibo alla cittadinanza romana. Questa medesima attività andò alla chiesa romana sul finire del VI secolo[2]. L'altra costruzione era un monumentale altare di Ercole –l’Ara Maxima Erculis Invicti-[3], offerto -secondo la tradizione- dal re Evandro al mitico eroe in ricordo dell'esecuzione del gigante Caco. I resti –secondo la tradizione- sono assegnati a una ricostruzione del II secolo a.C., per taluni storici dell’arte si tratterebbe invece della pedana di un tempio consacrato da Pompeo ad Ercole. A tal proposito detto altare resterebbe il nucleo che forma un grande corpo murario in blocchi di tufo e che forma la cripta. Nell’anno 782 si trasferirono nella chiesa di Santa Maria in Schola Graeca dei monaci bizantini che fuggivano dalle persecuzioni iconoclaste dandogli poi anche il titolo di “kosmidion”. Questo attributo venne conferito per lo luminosità delle decorazioni interne.

L’attuale chiesa in realtà è la ricostruzione dell'VIII secolo e nuove parti vennero aggiunte nei secoli XI, XII e XIII. Quest’edificio religioso dell'VIII secolo dopo essere stata sinistrata dal sacco normanno del 1084 patì ampi rifacimenti tra il 1118 e il 1124.

E’ con Papa Stefano II che presso Santa Maria in Cosmedin fu istituita intorno al 600 da papa Gregorio I una diaconia nella chiesa fatta costruire sul Tempio della Fortuna.

Fu papa Adriano I che la trasformò in una vera basilica, difatti all'inizio era una mera piccola chiesa edificata presso la loggia dei mercanti. La chiesa venne donata nel 1432 da papa Eugenio IV ai benedettini di Monte Cassino. A seguito del passaggio all’ordine monastico, per evitare conflitti tra i monaci ed il diacono, venne soppresso il titolo di “diaconia”. Non trascorse troppo tempo in quanto papa Leone X lo riammise.

La chiesa venne completamente riaffrescata nel XVIII secolo. A seguito di un restauro nel XIX secolo vennero cancellate tutte le aggiunte settecentesche e perciò possiamo ammirare l'aspetto che certamente doveva avere la chiesa tra l'VIII e il XIII secolo.

La chiesa dall'epoca della sua fondazione era servita alla comunità greco-bizantina collocatasi nell'area al tempo di Giustiniano. A causa dell'immigrazione in massa dall' Oriente durante l'VIII secolo, questa comunità accrebbe di numero a causa dello scoppio del contrasto religioso sul culto delle immagini. Nei secoli successivi la basilica passa ai Benedettini, poi cadde in rovina per essere restaurata secondo una garbata veste rococò da Giuseppe Sardi nel 1718. Questa veste lambiccata le fu tolta del tutto durante il ripristino delle primitive forme romaniche ad opera dell'architetto Giovenale tra il 1894 ed il 1899.

Ciò che colpisce dall’esterno è il maestoso e ben conservato portico dell'XI secolo costituito da un protiro centrale sostenuto da quattro pilastri in granito rosso. Inoltre il campanile romanico del XIII secolo è a sette piani. Il portale principale e le decorazioni sono dell'XI secolo.

La famosa Bocca della Verità è posta sotto il portico sulla parete di sinistra[4], visibile come un grande disco marmoreo di un antico chiusino scolpito in foggia di mascherone. La leggenda che attraverso i secoli narra che chi infilasse una mano nella bocca della famosa piastra marmorea mentre diceva una bugia sarebbe stato morso.

Nel Medioevo questa credenza era presa tanto sul serio che la "bocca" veniva usata come una sorta di “macchina della verità" nei processi, soprattutto verso le adultere.

La ricchezza di Santa Maria in Cosmedin è anche l'interno della chiesa in cui sono conservate -ancora nella loro posizione originale- dieci colonne di marmo con capitelli corinzi, appartenenti all'Annona (Statio Annonae). Di queste colonne ben sette sono poste ai lati del portale mediano -alla base del campanile e nella sagrestia- situate sulla "facciata", mentre le ulteriori tre –son situate nel muro della navata sinistra- dovevano stare su uno dei lati minori.

Ciò che stupisce il visitatore –o pellegrino, sia oggi che nell’antichità-, è la bellezza, l’equilibrio della facciata. Come detto un portico ad arcate, sovrastato da finestre. L’attuale facciata è composta in maniera organica. 

La basilica di Santa Maria in Cosmedin si riconosce nel tessuto urbano anche per il suo bel porticato -centro della visuale di chi giunge in piazza della Bocca della Verità- si eleva un bellissimo protiro, mentre alla destra il campanile romanico -uno dei più belli e conservati della città- a sette piani.

Così come si presenta l'interno della chiesa romana di Santa Maria in Cosmedin è distribuita in tre navate divise da enormi quattro pilastri e diciotto colonne –materiale sicuramente di spoglio-. La preziosità dell’interno, oltre alle colonne reimpiegate, è il pavimento cosmatesco e il soffitto ligneo restaurati durante l’Ottocento.

A riprova del fatto che la basilica cristiana è stata edificata su precedenti edifici romani troviamo in corrispondenza dei muri perimetrali della chiesa -verso la controfacciata e nella sagrestia- le colonne superstiti della Statio Annonae, che addirittura in talune parti conservano ancora i loro capitelli originali.

L'orientamento dell’edificio romano si sviluppava in maniera trasversale rispetto a quello della chiesa attuale, seguendo un allineamento Nord-Est/Sud-Ovest .

Ulteriore caratteristica della chiesa il matroneo –che è stato restaurato- è ancora quello della chiesa dell'VIII secolo.

All’interno della navata centrale si conservano su tre strati nella parte superiore -oltre che sull'arco trionfale- pitture dall'VIII al XII secolo.

Una vera preziosità –dal punto di vista della teologia della liturgia, nonché della prassi cultuale- al centro della navata è certamente la cosiddetta “schola cantorum” –elemento superstite dell’antico modo di fare liturgia- costituita da due pulpiti –e relativi baldacchini- di fine del XIII secolo. L’ altare maggiore sottostante è un antico pezzo di granito rosso finemente lavorato e qui collocato nel 1123. Il cero pasquale è della fine del XIII secolo, mentre il pavimento cosmatesco della schola cantorum è ancora originale.

L’accesso alla sagrestia avviene dalla navata di destra, ove è custodito un preziosissimo frammento di un mosaico originariamente posto in San Pietro nell'oratorio di papa Giovanni VII (705-707) che raffigura episodi dell'Epifania. Degli altri pezzi di mosaico sono mantenuti in Vaticano e un frammento agli Uffizi di Firenze.

Sull'altare è conservata un'immagine della Theotokos (Madre di Dio) -opera trecentesca di scuola romana- ridipinta più volte, ora nella cappella del coro invernale edificata nel 1686.

L’accesso alla cripta - a tre navate, spartite da sei colonne dell'VIII secolo[5]- avviene direttamente dalla navata, dalla schola cantorum. A fine Ottocento –a seguito dei restauri- sono riemersi filari di blocchi di tufo alla luce accertati quali l'Ara Maxima Herculis.

Qui sopra: blocchi tufacei dell’Ara Maxima Herculis custoditi nella cripta.

 

La cappella del Crocifisso -fabbricata su progetti del Giovenale- sorge nella navata di sinistra, ove si conserva un bel tabernacolo in marmi policromi del 1727. Di medesima epoca è anche il bel Battistero.

Papa Clemente XI –nell’anno 1715- diede un nuovo assetto alla piazza e all’intero quartiere facendo risistemare l’intera zona –ormai decaduta-. Il pontefice fece erigere la fontana dei Tritoni –un’amabile opera tardo barocca di Carlo Bizzaccheri- che ancor oggi è davanti la chiesa.

Come altre zone della Roma antica purtroppo anche Ripa Greca ha subito ennesime mutilazioni che ne hanno alterato l'aspetto. L’attuale fisionomia della zona è dovuta alle ampie demolizioni effettuate negli 1924 e 1925 che hanno isolato i due templi tardo repubblicani definiti della Fortuna Virile e di Vesta. In realtà questi due edifici sacri erano invece dedicati rispettivamente a Portunus[6] ad Ercole. Ambedue devono la loro straordinaria ed unica conservazione al fatto che nel corso del XII secolo -ma già a partire dal IX- furono convertiti in chiesa. Questi due templi precristiani, grazie alla conversione in edifici di culto cristiani, costituiscono oggi due tra i più arcaici edifici meglio mantenuti in Roma.

L’aggiustamento urbanistico degli anni venti e trenta del XX secolo ha fatto sparire l'aspetto rurale della zona -mutando con “recenti” sistemazioni l’antico tracciato urbano random- ed ha anche rimosso gli equipaggiamenti industriali e le strumentarie di servizio che negli anni di pontificato di Pio IX si erano stanziate nell'aerea.

L’antica atmosfera si era andata perdendo, tanto che fino al 1935 una centrale del gas invadeva la stupenda valle del Circo Massimo. Alle risistemazioni del ventennio fascista –purtroppo-sopravvisse, oggi variata in uffici comunali, la mole dell'ex pastificio Pantanella[7]. Quest’addensamento industriale -dismesso insediamento produttivo, una sorta di archeologia urbana- che ancor oggi con i suoi volumi comprime le stupende ed equilibrate linee dell'adiacente chiesa di Santa Maria in Cosmedin. Ennesimo orrore estetico, mancanza di applicazione di una legislazione urbanistica che tuteli –o meglio semplicemente applichi, coniugando, la Carta Costituzionale che tutela il “paesaggio” ed il patrimonio storico architettonico italiano- la bellezza dei reperti di un tempo andato.

Attualmente la chiesa è la sede italiana della chiesa greco-melkita cattolica[8], il prevosto è Mons. Mtonio Haddad, archimandrita.

Ancora oggi vale la pena una visita della Basilica. Certamente la posizione strategica in pieno centro –proprio dietro ai Fori Imperiali- ha fatto sì che si determinasse una grande fama. Andare però in pellegrinaggio all’Urbe per farsi ritrarre nel portico della celeberrima Santa Maria in Cosmedin con la mano inserita nella famosa Bocca della Verità non è che uno dei fenomeni del turismo di massa... L’atmosfera e la spiritualità di Santa Maria in Schola Græca è un’altra cosa. Certamente la Basilica è il simbolo dell'attitudine di mozzare la mano dello spergiuro che ve la introduce. Ma la chiesa è anche il simbolo della condivisione, dell’apertura verso il povero, del servizio dell’antica diaconia già praticata precedentemente in epoca cristiana. Con questi occhi si scoprirà un vero tesoro spirituale nella frenetica capitale.

 

Prof. ALESSIO VARISCO

Storico dell’Arte e saggista

Direttore Antropologia Arte Sacra


 

[1] Accanto all'ara, sul finire del IV secolo d.C., un precedente edificio fu trasformato in sede della Statio Annonae, l'istituzione che curava le distribuzioni gratuite di cibo alla cittadinanza romana.

[2] Il complesso abbaziale fu poi trasformato in una diaconia, chiamata “Santa Maria in Schola Graeca”.

[3] Sul luogo ove sorge la chiesa da tempo antichissimo si trovava l'Ara Maxima Herculis, luogo di culto greco semidio che testimoniava della precoce penetrazione di aspetti del culto greco in Roma; anche in relazione al carattere di zona portuale e di commerci dell'aerea del Velabro fin dalla più alta antichità. L'ara è stata identificata da diversi archeologi con il gigantesco blocco di tufo nel quale è scavata la cripta della chiesa, e vicino ad essa sorgeva un tempio di Ercole, che sopravvisse sino alla fine del XV secolo.

[4] In origine era –molto probabilmente- un chiusino monumentale della Cloaca Massima, oppure per taluni storici dell’arte la copertura di un pozzo.

[5] Nella cripta vi è anche un mosaico della medesima epoca.

[6] Portunus è la divinità fluviale preposta alla tutela dell'adiacente porto.

[7] L'edificio,noto ai più per essere sede degli uffici elettorali, conserva anche una curiosa collezione, quella dei fondali scenici del teatro dell'opera.

[8] La chiesa greco-melkita cattolica è retta da Sua Beatitudine Gregorio III, è una chiesa orientale cattolica in comunione con la chiesa cattolica e riconoscente il primato petrino.

 


 
 
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