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SAN ROCCO: UN PELLEGRINO DI TUTTI I TEMPI

Il santo della Croce

 

Penso a San Rocco su invito dell’Associazione di Studi San Rocco per l’Italia e del Comitato Internazionale Storico-Scientifico di San Rocco. Affascinante e nebuloso, uomo del XIV secolo, questa l’aggettivazione che mi viene spontaneamente pensando a lui.

Da monzese penso ai tetti di case che si affacciano sulla ferrovia che scorre a Milano, che ha inghiottito ed inghiotte pendolari. Immota la chiesa che scruta il passaggio dei tanti pellegrini che si affastellano per procurarsi di che vivere.

Penso alla gente, ai compagni che ho avuto che abitavano in questo quartiere.

Penso a quel ponte di via Aquileia che ti fa vedere tutto dall’alto provenendo o da viale Campania diretto verso il quartiere o da via Monte Santo andando verso San Fruttuoso.

Penso ad un rione -una sorta di frazione, quasi autonoma dalla città, attaccata da quel lembo di treni, scali merci ora in disuso e fabbriche da archeologia industriale- che riceve il nome da un Santo che la Chiesa Cattolica venera come difensore della peste[1].

San Rocco rivoluziona i termini classici della relazione Dio-Uomo. San Rocco esprime una tensione verso l’Assoluto propria del suo tempo, contemptus mundi, ove non soltanto Dio può assimilarsi all’uomo, così anche lo stesso uomo consapevole di una medesima possibilità esperienziale, è l’«uomo dei dolori che ben conosce il patire»[2] che sa individuarsi –distinguendosi- in Dio, può addirittura avvertire su di sé la divinità fattasi carne, ormai scevra da mistificazioni.

San Rocco è icona del Dio invisibile, «chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch`io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch`io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli»[3].

San Rocco ha recepito Cristo nel suo vero ed angosciato dolore, ma non solo lo ha osservato e consapevolmente inteso, San Rocco ha vissuto pienamente nel suo dolore, nella sua morte che è preludio della Risurrezione.

Già, mi sovviene anche dalla liturgia, “avvocato del morbo pestifero” e fra me penso a quanti “morbi”, a quante “pesti” che ancora ammorbano il mondo, non ultima l’indifferenza. E vorrei potermi rivolgere a lui. Quando passo in auto, uscendo dalla tangenziale nord che unitamente all’impianto di depurazione del consorzio Lambro ha dato un nuovo assetto ad un’urbanistica già vincolata da quella doppia linea di ferro che come dice Zevi nella sua “la dimensione metropolitana otto-novecentesca”[4] è un «macabro scenario […] che, in assenza di qualsiasi previsione, moltiplicherà quartieri-dormitorio privi di servizi efficienti e di attrezzature per il lavoro»[5]. E come dice il nostro Arcivescovo «il problema delle Periferie ci tocca un po’ tutti. […] –Continua il Cardinal Dionigi Tettamanzi- e tutti noi siamo chiamati a capire che cosa possiamo fare concretamente perché questi agglomerati diventino più vivibili e più umani. Bisogna per questo dare vita a momenti di aggregazione e di cultura. Occorre inoltre affrontare i problemi urbanistici ed economici delle aree abbandonate per renderle migliori».

E all’originalità dell’alto medioevo –in cui visse San Rocco- dominata da una volontà di unità politica[6] ci si ritrova, invece, in una giungla di cemento e asfalto, in cui un’anarchia satolla di interesse individuale, in cui gli amministratori -in primis- e gli architetti non hanno rispettato requisiti di vivibilità.

E’ lo scandalo delle “periferie” di cui molti sociologi hanno tristemente scritto e cercato di descrivere i problemi reali che li hanno generati.

Anche il quartiere monzese di San Rocco è segnato da un’urbanistica selvaggia resasi necessaria per dare ospitalità a cittadini che dovevano lavorare, dato che la Costituzione Italiana recita che «l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro». E non è un caso che la chiesa di San Rocco sorga laddove nel Quattrocento un’edicola antica, dedicata al Santo di Montpellier, sulla strada che da Nova Milanese giunge a Milano e che l’11 marzo del 1848 contava già un migliaio di anime.  

Un quartiere che si configura –anche a livello urbano- attorno ad un chiesone di fattura recente –con di fronte la chiesa iemale (memoria storica del primigenio insediamento), del secondo dopoguerra, che sorge verso Sesto San Giovanni ed al confine con San Maurizio al Lambro. La chiesa di San Rocco vanta un’origine remota, alle cui dipendenze stavano altre chiese, come San Giuseppe che sorgerà solo negli anni Settanta dello scorso secolo. Una larga “fetta” di anime da amministrare, San Rocco e Sant’Alessandro per un’unica parrocchia. Un suburbio dai confini incerti –molto ampli- che si affaccia sui bei campi della Cascinazza, sull’ahimé non olezzante fiume Lambro che proprio verso San Rocco prosegue con un balzo.

Una campagna e la città, questo il volto di San Rocco a Monza, che nelle giornate terse dal viale delle Industrie si apre sul frons scenae delle Grigne, sullo stupendo campanile di San Giovanni Battista e l’orrendo grattacielo e tanti cumuli di case addossate le une alle altre in mezzo al verde.

Se dovessi descrivere il volto di San Rocco –ripensando a Don Tonino Bello che incontra la Madre di Cristo persino nella popolana- lo trovo nel sorriso schietto, oramai multietnico della gente, in chi affolla la fermata del bus Brianza Trasporti di via Aquileia. Questo il mio San Rocco… Mi basterebbe starmene all’angolo tra via d’Annunzio, via Monte Santo e via San Rocco per scrutare dietro i finestrini di tanti tir, auto e motoveicoli fermi al semaforo che nelle ore di punta tanti volti ed in ciascuno di essi vedere San Rocco! La nostra vita è riproposizione di storie bibliche, una sorta di peregrinazione continua. San Rocco nasce in Francia, dona tutto ai poveri e si fa “cittadino del mondo”, e muore dopo aver dimostrato che non apparteniamo al mondo, alla patria, ma a Dio.

San Rocco ci ricorda tutti i crocifissi, di tutte le epoche. San Rocco si fa christifideles ossia fedele di Cristo, vuole conoscerlo e percorre chilometri e chilometri. Scopre –per fortuna non troppo tardi ed in vita- di scoprirlo fra i fratelli, nella gente. La fede gli consente di capirlo e trovarlo, soprattutto nel dolore. Un’esperienza mistica toccante che fa di San Rocco un grande della storia. Un laico, un uomo, un pellegrino come tanti, un appestato come troppi. ... un emblema che rende simile tutti i crocifissi della terra sotto il segno della Croce e di San Rocco.

San Rocco e Cristo anzitutto... La sua fede che lo porta ad essere venerato ad Acquapendente già in vita poiché autore di prodigi e poi a Sarmato, Caorso, Voghera e in ultimo Venezia. E’ un santo dalle molteplici latitudini, che vivo o morto ha attraversato e segnato l’Europa e l’Italia.

Guardando San Rocco riscopro una mistica –a me cara- Chiara di Montefalco, monaca agostiniana, detta “Chiara della Croce”, anche per evitare la sovrapposizione con l’altra santa omonima però assisana. Ecco che San Rocco non è solo il “Santo di Montpellier”, ma è anche –e soprattutto- il “Santo della Croce”. San Rocco è colui che ha portato una croce, una piccola-grande croce che si è reso con le opere pellegrino tra i pellegrini, malato tra i moribondi e redento dal male sotto il segno della Croce. Da questa sua prassi che ha voluto in un certo senso camminare le vie non solo di Cristo ma di mettere addirittura i suoi piedi sui passi di Gesù per farsi realmente il protettore dei pellegrini, degli appestati, dei contagiati. Per questo la Chiesa lo ha reso “l’avvocato” dei pellegrini, degli ammorbati, dei farmacisti, dei becchini, dei conciai… degli ultimi, ma soprattutto del popolo. San Rocco è il patrono di numerose città e paesi, è il santo che vanta il maggior numero di luoghi di culto dedicati, a livello mondiale… Mi sia concesso un paragone, tutt’altro che azzardato, San Rocco è un “alter Christi”.

Ma San Rocco non è lo sconfitto, il povero e spogliato di tutto. E’ il ricco che solo nel suo “nada” ha espresso il suo “todo”. E’ comparabile all’uomo dei dolori, al Cristo morto sulla croce. E quest’emblema lo porta sul suo petto, come una medaglia, come un Cruce Signato.

In un periodo di ostilità e conflitti, persino all’interno della stessa Chiesa, di rivalità San Rocco ha dimostrato nella realtà attraversando i monti e le pianure -allora non bonificate- che non era soltanto il suo volto e la sua figura massacrata dalla peste a ricordare il Cristo. Fu il gesto di dare la vita per gli altri e non chiedere per sé che prelude una sensazione di vittoria della sua causa. Oggi, ancora venendo qui, ho avvertito quel gusto strano di una causa che continua ad essere viva: la carità.

San Rocco è un malato che si fa cireneo degli altri, che si conduce malfermo sulla “Via Dolorosa”, che vuole abbracciare Cristo. Ma è un Santo che non vuole apparire invincibile, è fatto di carne ed ossa, di rinunce e perdite, è fragile, segnato dal dolore –quasi una stigmata invisibile la sua a voler catalizzare il male del mondo- e quasi sembra un derelitto, un vinto: lui, la grotta e il cane, una palma posticcia conquistata irrealmente e senza forze. Tutto ciò è mera apparenza in quanto sotto il segno della croce di Gesù, anche noi grazie a San Rocco, arriviamo a comprendere un dono che contiene un appello alla vita e alla vittoria. Tutto questo non siamo capaci di negare. San Rocco è l’ultimo, il povero cristo che in realtà ha le chiavi del Regno e ce lo indica.

Ci è familiare: un bastone recuperato da una brughiera, il mantello verdastro, il cappello da pellegrino con relativa borraccia e conchiglia. Questi gli attributi che a livello iconografico hanno dato il via a grandi artisti per descrivere un Santo che noi veneriamo. Ma l’attributo più importante, che visivamente non si può rendere, e cioè la preghiera e la carità sono le sue forze, estremamente attuali. San Rocco e Gesù Cristo, il suo gaudio e la sua santità, la sua morte e i suoi prodigi.

Ed anche noi cantiamo la supplica scritta nel 1957 dal Patriarca di Venezia, Cardinal Angelo Roncalli, per l’Arciconfraternita di San Rocco:

«O glorioso San Rocco, che nelle pubbliche e private calamità hai sempre manifestato la tua efficace protezione […] continua, te ne preghiamo, a rivolgere benigno lo sguardo sopra di noi e le nostre famiglie, e sopra l'intera città, affinché siamo sempre liberi da ogni flagello, ma soprattutto dal peccato; sicché, dopo aver atteso fedelmente in questa vita ad amare e servire Iddio, meritiamo, per la tua intercessione, di conseguire e di godere con te il premio celeste per tutta l'eternità. Così sia».

Una preghiera che descrive l’amore e la venerazione che San Rocco ebbe per Cristo ed i poveri cristi. Certo è che San Rocco si ispira direttamente a Cristo, al suo amore e all’altruismo di chi si spoglia e si umilia persino dinanzi l’abominevole scandalo della Croce. Come Cristo dona agli uomini il suo amore. E’ questo spirito che vorrei condividere con voi, quella stessa animosa gioia e nella quale voglio continuare sottolineare la sua missione insieme a noi. Fino alla Vittoria in Cristo!

Un culto di San Rocco in Brianza è essenzialmente semplice: nel futuro erigendo capoluogo di provincia una chiesa parrocchiale con ahimè una devozione estinta a causa della mobilità dei lavoratori che già negli anni Cinquanta dello scorso secolo non partecipavano alla processione ed al festeggiamento del Santo cui è dedicato il tempio cristiano, poiché in meritata vacanza. L’allora parroco per ovviare a questo lento ed inesorabile declino della festa parrocchiale decise di celebrarlo ai primi d’ottobre unitamente alla Beata Vergine del Rosario che il calendario liturgico festeggia il 7 ottobre. Questa festività mariana si collega alla vittoria di Lepanto (1571)[7] che bloccò l’ampliamento dell'impero ottomano verso l’Europa che restò cristiana. San Pio V ascrisse a quella vincita un vero e proprio miracolo dovuto alla preghiera che il popolo cristiano aveva indirizzato alla Vergine nella forma del Rosario. Non è un caso che San Rocco sia associato alla Vergine Madre di Dio, ed alla preghiera del Rosario, lui che fu pellegrino cristiano e che amò Maria e che –sotto il segno della Croce- vinse la battaglia contro l’inutilità e fece della sua stessa vita una fulgida gemma d’amore, un esempio anche per noi –oggi- da emulare.

Prof. ALESSIO VARISCO

Storico dell’arte e saggista

Direttore “Antropologia Arte Sacra”


 

[1] E’ il santo maggiormente invocato nei momenti più difficili della storia.

[2] Isaia cap.53.

[3] Mt 10, 34.

[4] Per approfondimenti: B. Zevi, Controstoria dell’architettura in Italia. Paesaggi e città. Roma, Newton, 1995. 

[5] Idem, p.89

[6] L’unità politica Trecentesca è rappresentata anche a livello urbano (si pensi a San Gimignano, Siena, a tanti centri eretti in quegli anni e all’armonia decisamente opposta allo sviluppo random dell’architettura moderna e contemporanea e alla quasi mancanza di una disciplina urbanistica che vede le sue basi nel Regio Statuto Albertino… se non addirittura nelle riforme teresiane) e nell’iconografia, si pensi al ciclo di affreschi cosiddetti del «Buon Governo» di Ambrogio Lorenzetti, Sala del Palazzo pubblico di Siena (1338-1339).

[7] La battaglia di Lepanto fa parte delle guerra di Cipro (1570-1573) e della guerra ottomano-asburgica, è detta anche delle Echinadi o delle Curzolari (in turco İnebaht, corruzione di Naupaktos, località sul Golfo di Corinto dove essa avvenne, chiamata Epaktos dagli abitanti e Lepanto dai veneziani) - è uno storico scontro avvenuto il 7 ottobre 1571 tra le flotte dell'Impero ottomano e della cosiddetta “Lega Santa” (un’unione militare cristiana che tentò di frenare l’avanzata islamica) costituita da forze navali di Venezia, della Spagna, del Papato, di Genova, dei Cavalieri di Malta e del Ducato di Savoia. La battaglia, terza in ordine di tempo e la maggiore svoltasi a Lepanto, si concluse con una schiacciante vittoria delle forze alleate, guidate da Don Giovanni d'Austria, su quelle ottomane di Mehmet Alì Pascià, che perse la vita nello scontro.


 
 
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