SAN ROCCO: UN PELLEGRINO DI TUTTI I TEMPI
Il santo della Croce
Penso a San Rocco su invito dell’Associazione di Studi San
Rocco per l’Italia e del
Comitato Internazionale
Storico-Scientifico
di San Rocco.
Affascinante e nebuloso, uomo del XIV secolo, questa
l’aggettivazione che mi viene spontaneamente pensando a lui.
Da monzese penso ai tetti di case che si affacciano sulla
ferrovia che scorre a Milano, che ha inghiottito ed inghiotte
pendolari. Immota la chiesa che scruta il passaggio dei tanti
pellegrini che si affastellano per procurarsi di che vivere.
Penso alla gente, ai compagni che ho avuto che abitavano in
questo quartiere.
Penso a quel ponte di via Aquileia che ti fa vedere tutto
dall’alto provenendo o da viale Campania diretto verso il
quartiere o da via Monte Santo andando verso San Fruttuoso.
Penso ad un rione -una sorta di frazione, quasi autonoma dalla
città, attaccata da quel lembo di treni, scali merci ora in
disuso e fabbriche da archeologia industriale- che riceve il
nome da un Santo che la Chiesa Cattolica venera come
difensore della peste.
San Rocco
rivoluziona i termini classici della relazione Dio-Uomo. San
Rocco esprime una tensione verso l’Assoluto propria del suo
tempo, contemptus mundi, ove non soltanto Dio può
assimilarsi all’uomo, così anche lo stesso uomo consapevole di
una medesima possibilità esperienziale, è l’«uomo
dei dolori che ben conosce il patire»
che sa individuarsi –distinguendosi- in Dio, può addirittura
avvertire su di sé la divinità fattasi carne, ormai scevra da
mistificazioni.
San Rocco è
icona del Dio invisibile,
«chi
dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch`io lo
riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli;
chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini,
anch`io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».
San Rocco ha
recepito Cristo nel suo vero ed angosciato dolore, ma non solo
lo ha osservato e consapevolmente inteso, San Rocco ha vissuto
pienamente nel suo dolore, nella sua morte che è preludio della
Risurrezione.
Già, mi sovviene anche dalla liturgia, “avvocato del morbo
pestifero” e fra me penso a quanti “morbi”, a quante “pesti” che
ancora ammorbano il mondo, non ultima l’indifferenza. E vorrei
potermi rivolgere a lui. Quando passo in auto, uscendo dalla
tangenziale nord che unitamente all’impianto di depurazione del
consorzio Lambro ha dato un nuovo assetto ad un’urbanistica già
vincolata da quella doppia linea di ferro che come dice Zevi
nella sua “la dimensione metropolitana otto-novecentesca”
è un «macabro scenario […] che, in assenza di qualsiasi
previsione, moltiplicherà quartieri-dormitorio privi di servizi
efficienti e di attrezzature per il lavoro».
E come dice il nostro Arcivescovo
«il problema delle Periferie ci tocca un po’ tutti. […]
–Continua il Cardinal Dionigi Tettamanzi-
e tutti noi siamo chiamati a capire che cosa possiamo fare
concretamente perché questi agglomerati diventino più vivibili e
più umani. Bisogna per questo dare vita a momenti di
aggregazione e di cultura. Occorre inoltre affrontare i problemi
urbanistici ed economici delle aree abbandonate per renderle
migliori».
E all’originalità dell’alto medioevo –in cui visse San Rocco-
dominata da una volontà di unità politica
ci si ritrova, invece, in una giungla di cemento e asfalto, in
cui un’anarchia satolla di interesse individuale, in cui gli
amministratori -in primis- e gli architetti non hanno
rispettato requisiti di vivibilità.
E’ lo scandalo delle “periferie” di cui molti sociologi
hanno tristemente scritto e cercato di descrivere i problemi
reali che li hanno generati.
Anche il quartiere monzese di San Rocco è segnato da
un’urbanistica selvaggia resasi necessaria per dare ospitalità a
cittadini che dovevano lavorare, dato che la Costituzione
Italiana recita che «l’Italia è una Repubblica fondata sul
lavoro». E non è un caso che la chiesa di San Rocco sorga
laddove nel Quattrocento un’edicola antica, dedicata al Santo di
Montpellier, sulla strada che da Nova Milanese giunge a Milano e
che l’11 marzo del 1848 contava già un migliaio di anime.
Un quartiere che si configura –anche a livello urbano- attorno
ad un chiesone di fattura recente –con di fronte la
chiesa iemale (memoria storica del primigenio insediamento), del
secondo dopoguerra, che sorge verso Sesto San Giovanni ed al
confine con San Maurizio al Lambro. La chiesa di San Rocco vanta
un’origine remota, alle cui dipendenze stavano altre chiese,
come San Giuseppe che sorgerà solo negli anni Settanta dello
scorso secolo. Una larga “fetta” di anime da amministrare, San
Rocco e Sant’Alessandro per un’unica parrocchia. Un suburbio dai
confini incerti –molto ampli- che si affaccia sui bei campi
della Cascinazza, sull’ahimé non olezzante fiume Lambro che
proprio verso San Rocco prosegue con un balzo.
Una campagna e la città,
questo il volto di San Rocco a Monza, che nelle giornate terse
dal viale delle Industrie si apre sul frons scenae delle
Grigne, sullo stupendo campanile di San Giovanni Battista e
l’orrendo grattacielo e tanti cumuli di case addossate le une
alle altre in mezzo al verde.
Se dovessi descrivere il volto di San Rocco –ripensando a Don
Tonino Bello che incontra la Madre di Cristo persino nella
popolana- lo trovo nel sorriso schietto, oramai multietnico
della gente, in chi affolla la fermata del bus Brianza
Trasporti di via Aquileia. Questo il mio San Rocco… Mi
basterebbe starmene all’angolo tra via d’Annunzio, via Monte
Santo e via San Rocco per scrutare dietro i finestrini di tanti
tir, auto e motoveicoli fermi al semaforo che nelle ore di punta
tanti volti ed in ciascuno di essi vedere San Rocco! La nostra
vita è riproposizione di storie bibliche, una sorta di
peregrinazione continua. San Rocco nasce in Francia, dona tutto
ai poveri e si fa “cittadino del mondo”, e muore dopo aver
dimostrato che non apparteniamo al mondo, alla patria, ma a Dio.
San Rocco
ci ricorda
tutti i crocifissi, di tutte le epoche. San Rocco si fa
christifideles ossia fedele di Cristo, vuole conoscerlo e
percorre chilometri e chilometri. Scopre –per fortuna non troppo
tardi ed in vita- di scoprirlo fra i fratelli, nella gente. La
fede gli consente di capirlo e trovarlo,
soprattutto nel dolore. Un’esperienza mistica toccante che fa di
San Rocco un grande della storia. Un laico, un uomo, un
pellegrino come tanti, un appestato come troppi.
... un emblema che
rende simile tutti i crocifissi della terra sotto il
segno della Croce e di San Rocco.
San Rocco e Cristo anzitutto... La sua fede che lo porta ad
essere venerato ad Acquapendente già in vita poiché autore di
prodigi e poi a Sarmato, Caorso, Voghera e in ultimo Venezia. E’
un santo dalle molteplici latitudini, che vivo o morto ha
attraversato e segnato l’Europa e l’Italia.
Guardando San Rocco riscopro una mistica –a me cara- Chiara
di Montefalco, monaca agostiniana, detta “Chiara della
Croce”, anche per evitare la sovrapposizione con l’altra
santa omonima però assisana. Ecco che San Rocco non è solo il
“Santo di Montpellier”, ma è anche –e soprattutto- il
“Santo della Croce”. San Rocco è colui che ha portato una
croce, una piccola-grande croce che si è reso con le opere
pellegrino tra i pellegrini, malato tra i moribondi e redento
dal male sotto il segno della Croce. Da questa sua prassi che ha
voluto in un certo senso camminare le vie non solo di Cristo ma
di mettere addirittura i suoi piedi sui passi di Gesù per farsi
realmente il
protettore dei pellegrini, degli appestati, dei contagiati. Per
questo la Chiesa lo ha reso “l’avvocato” dei pellegrini, degli
ammorbati, dei farmacisti, dei becchini, dei conciai… degli
ultimi, ma soprattutto del popolo. San Rocco è il patrono di
numerose città e paesi, è il santo che vanta il maggior numero
di luoghi di culto dedicati, a livello mondiale…
Mi sia concesso un paragone, tutt’altro che azzardato, San Rocco
è un “alter Christi”.
Ma San Rocco non è lo sconfitto, il povero e spogliato di tutto.
E’ il ricco che solo nel suo “nada” ha espresso il suo
“todo”. E’ comparabile all’uomo dei dolori, al Cristo
morto sulla croce. E quest’emblema lo porta sul suo petto, come
una medaglia, come un Cruce Signato.
In un periodo di ostilità e conflitti, persino all’interno della
stessa Chiesa, di rivalità San Rocco ha dimostrato nella realtà
attraversando i monti e le pianure -allora non bonificate- che
non era soltanto il suo volto e la sua figura massacrata dalla
peste a ricordare il Cristo. Fu il gesto di dare la vita per gli
altri e non chiedere per sé che prelude una sensazione di
vittoria della sua causa. Oggi, ancora venendo qui, ho avvertito
quel gusto strano di una causa che continua ad essere viva: la
carità.
San Rocco è un malato che si fa cireneo degli altri, che si
conduce malfermo sulla “Via Dolorosa”, che vuole
abbracciare Cristo. Ma è un Santo che non vuole apparire
invincibile, è fatto di carne ed ossa, di rinunce e perdite, è
fragile, segnato dal dolore –quasi una stigmata invisibile
la sua a voler catalizzare il male del mondo- e quasi sembra un
derelitto, un vinto: lui, la grotta e il cane, una palma
posticcia conquistata irrealmente e senza forze. Tutto ciò è
mera apparenza in quanto sotto il segno della croce di Gesù,
anche noi grazie a San Rocco, arriviamo a comprendere un dono
che contiene un appello alla vita e alla vittoria. Tutto
questo non siamo capaci di negare. San Rocco è l’ultimo, il
povero cristo che in realtà ha le chiavi del Regno e ce lo
indica.
Ci è familiare: un bastone recuperato da una brughiera, il
mantello verdastro, il cappello da pellegrino con relativa
borraccia e conchiglia. Questi gli attributi che a livello
iconografico hanno dato il via a grandi artisti per descrivere
un Santo che noi veneriamo. Ma l’attributo più importante, che
visivamente non si può rendere, e cioè la preghiera e la carità
sono le sue forze, estremamente attuali. San Rocco e Gesù
Cristo, il suo gaudio e la sua santità, la
sua morte e i suoi prodigi.
Ed anche noi cantiamo la supplica scritta nel 1957 dal Patriarca
di Venezia, Cardinal Angelo Roncalli, per l’Arciconfraternita di
San Rocco:
«O
glorioso San Rocco, che nelle pubbliche e private calamità hai
sempre manifestato la tua efficace protezione […] continua, te
ne preghiamo, a rivolgere benigno lo sguardo sopra di noi e le
nostre famiglie, e sopra l'intera città, affinché siamo sempre
liberi da ogni flagello, ma soprattutto dal peccato; sicché,
dopo aver atteso fedelmente in questa vita ad amare e servire
Iddio, meritiamo, per la tua intercessione, di conseguire e di
godere con te il premio celeste per tutta l'eternità. Così sia».
Una preghiera che descrive l’amore e la venerazione che San
Rocco ebbe per Cristo ed i poveri cristi. Certo è che San Rocco
si ispira direttamente a Cristo, al suo amore e all’altruismo di
chi si spoglia e si umilia persino dinanzi l’abominevole
scandalo della Croce. Come Cristo dona agli uomini il suo
amore. E’ questo spirito che vorrei condividere con voi, quella
stessa animosa gioia e nella quale voglio continuare
sottolineare la sua missione insieme a noi. Fino alla
Vittoria in Cristo!
Un culto di San Rocco in Brianza è essenzialmente semplice: nel
futuro erigendo capoluogo di provincia una chiesa parrocchiale
con ahimè una devozione estinta a causa della mobilità dei
lavoratori che già negli anni Cinquanta dello scorso secolo non
partecipavano alla processione ed al festeggiamento del Santo
cui è dedicato il tempio cristiano, poiché in meritata vacanza.
L’allora parroco per ovviare a questo lento ed inesorabile
declino della festa parrocchiale decise di celebrarlo ai primi
d’ottobre unitamente alla Beata Vergine del Rosario che
il calendario liturgico festeggia il 7 ottobre. Questa festività
mariana si collega alla vittoria di Lepanto (1571)
che bloccò l’ampliamento dell'impero ottomano verso l’Europa che
restò cristiana.
San Pio V ascrisse a quella vincita un vero e proprio miracolo
dovuto alla preghiera che il popolo cristiano aveva indirizzato
alla Vergine nella forma del Rosario. Non è un caso che San
Rocco sia associato alla Vergine Madre di Dio, ed alla
preghiera del Rosario, lui che fu pellegrino cristiano e che amò
Maria e che –sotto il segno della Croce- vinse la battaglia
contro l’inutilità e fece della sua stessa vita una fulgida
gemma d’amore, un esempio anche per noi –oggi- da emulare.
Prof. ALESSIO VARISCO
Storico dell’arte e saggista
Direttore “Antropologia Arte Sacra”
L’unità politica Trecentesca è rappresentata anche a livello
urbano (si pensi a San Gimignano, Siena, a tanti centri
eretti in quegli anni e all’armonia decisamente opposta allo
sviluppo random dell’architettura moderna e
contemporanea e alla quasi mancanza di una disciplina
urbanistica che vede le sue basi nel Regio Statuto
Albertino… se non addirittura nelle riforme teresiane)
e nell’iconografia, si pensi al
ciclo di affreschi cosiddetti del «Buon Governo»
di
Ambrogio Lorenzetti, Sala del Palazzo pubblico di Siena
(1338-1339).
La battaglia di Lepanto fa parte delle guerra di Cipro
(1570-1573) e della guerra ottomano-asburgica, è detta anche
delle Echinadi o delle Curzolari (in turco İnebaht,
corruzione di Naupaktos, località sul Golfo di Corinto dove
essa avvenne, chiamata Epaktos dagli abitanti e Lepanto dai
veneziani) - è uno storico scontro avvenuto il 7 ottobre
1571 tra le flotte dell'Impero ottomano e della cosiddetta
“Lega Santa” (un’unione militare cristiana che tentò di
frenare l’avanzata islamica) costituita da forze navali di
Venezia, della Spagna, del Papato, di Genova, dei Cavalieri
di Malta e del Ducato di Savoia. La battaglia, terza in
ordine di tempo e la maggiore svoltasi a Lepanto, si
concluse con una schiacciante vittoria delle forze alleate,
guidate da Don Giovanni d'Austria, su quelle ottomane di
Mehmet Alì Pascià, che perse la vita nello scontro.
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