Il Santo Chiodo di Milano
La reliquia del Santo Chiodo di Milano è
accennata per la prima volta durante un’orazione funebre
pronunziata 25 febbraio 395 da Sant’Ambrogio, allora vescovo di
Milano.
Il santo vescovo esplicita come
grazie a Sant’Elena -madre dell’Imperatore Costantino- furono
rinvenuti i Sacri Chiodi della Crocifissione di Cristo
–unitamente alla Croce-.
Sant’Ambrogio spiega inoltre come due di essi furono modellati
in freno –fu forgiato un morso di cavallo- e in corona, per
devozione e per supplicare l’aiuto divino oltre che come sacro
contrassegno degli imperatori cristiani.
Sant’Ambrogio nella cattedrale milanese fa
accenno per la prima volta della Reliquia del Santo Chiodo della
Croce di Cristo e ne fa memoria all’imperatore Teodosio.
Entrambi i Santi Chiodi vennero mandati a Costantino che li
trasmise ai successori, fino ai tempi di Ambrogio.
Diversi storici dell’epoca
attestano le reliquie della Santa Croce
e ne riferiscono -più o meno- con quasi le stesse parole
impiegate da Ambrogio.
Il Vescovo milanese narra dei “Santi Chiodi”, le
differenze lessicali più considerevoli riguardano: il plurale
impiegato per il sostantivo “freno” da Ambrogio, Ruffino e
Niceforo; i verbi “ad miscere”, ‘‘intermiscere”,
“permiscere” -impiegati da altri storici- che possono far
ritenere con un solo Santo Chiodo non un solo freno fu
fatto, ma più d’uno, tutti ugualmente valorizzati col frazionare
in ciascuno una parte del prezioso ferro.
Prassi dell’epoca era la consuetudine di
“moltiplicare” le reliquie con l’unione di una bassa parte
autentica, forgiare un manufatto pressoché simile –a mo’ di
facsimile- la vera reliquia. In taluni c oppure anche
semplicemente con il contatto, è assai antica nella Chiesa.
Secondo San Gregorio di Tours i Santi Chiodi
furono in origine quattro, dei quali uno fu fissato al
diadema imperiale, due vennero annessi al freno di Costantino,
l’altro immerso nel mare per calmare una tempesta.
Delle vicende del Santo Chiodo dopo Sant’Ambrogio
non ci è dato seguire, per la totale assenza di documenti. Il
Morigia raglie la tradizione al riguardo -su documenti e
relazioni andati completamente purtroppo perdute- ed afferma che
uno dei santi Chiodi è a Milano dai tempi di Ambrogio, il quale
lo ebbe in dono da Teodosio e lo collocò nella cattedrale di
Santa Tecla (dedicata in origine al Santissimo Salvatore).
Certamente i primi elementi della tradizione -riportata dallo
storico- non sarebbero supportati da documenti, la presenza
“ab antiquo” del Santo Chiodo nella Basilica di Santa Tecla
è invece massicciamente comprovata.
La più antica testimonianza del Santo Chiodo è
risalente all’anno 1389, ed è contenuta nel Registro di
previsione che raccoglie gli atti degli anni che vanno dall’anno
1389 al 1397.
In tale registro si annota di una richiesta fatta
dal vicario episcopale Paolo degli Azzoni e dai XII di
previsione a Giangaleazzo Visconti perchè provveda a dichiarare
le festività della Madonna della Neve -festa che si celebra il 5
agosto e doverosa in quanto era dedicato un altare in Santa
Tecla- e San Gallo, titolare di un altare in Santa Maria
Maggiore di cui si rende onore il 16 ottobre. Inoltre si
stabilisce che in tali feste le oblazioni fossero distinte da
parte del comune –e destinate soprattutto in Santa Tecla,
meritevole di uno speciale al riguardo in quanto cattedrale
metropolitana- e perchè vi è riposto “ab antiquo” uno dei
chiodi con cui fu crocifisso il Salvatore.
La presenza della preziosa reliquia è uno dei
titoli che conferivano la dignità basilicale alla cattedrale di
Milano, custode della Reliquia della Croce di Cristo.
Giangaleazzo Visconti con un decreto –nell’anno
1392- ci informa che una nutrita folla di fedeli si recavano
sovente nella Cattedrale per venerare il Santo Chiodo. A tale
riguardo –per ragioni di ordine pubblico- il duca impose il
restauro della vetusta basilica. Dallo stesso documento si
evince che il reliquiario in cui era custodito il Santo Chiodo
aveva forma di Croce. Sopra l’altare maggiore era collocata la
preziosa reliquia su una tribuna di fronte alla quale per
devozione si accendevano abbondanti lumi.
Nell’anno 1444 il cardinale Enrico Scotto aveva
concesso particolare indulgenza a chi contribuiva
all’illuminazione della reliquia del Santo Chiodo.
Taluni storici sostengono che ai tempi di
Ambrogio il Santo Chiodo non si trovasse a Milano, in virtù
delle molteplici prove –autorevoli- che attestano come esistenti
a Costantinopoli, nel sec. VI, alcuni Santi Chiodi.
La tradizione “milanese” possiamo dire non esser
compromessa in quanto -come già detto- vi potevano essere dei
facsimili di Santi Chiodi.
Per non contraddire i documenti taluni storici
hanno ipotizzato che il Santo Chiodo di Milano sia arrivato solo
dopo il sec. VI, prospettando più di una possibilità.
Il Sassi considera tre ipotesi: il Santo Chiodo
sarebbe stato rinvenuto e messo in salvo dalla furia
inconoclasta di Leone Isaurico (sec. VIII), oppure sarebbe
arrivato a Milano col prezioso “bottino” sacro di cui facevano
parte anche i corpi dei Magi, deposti poi nella basilica di
Sant’Eustorgio, o sarebbe stato portato nella città di Milano
dal vescovo Arnolfo II legato dell’imperatore Ottone III
recatosi a Costantinopoli dal quale avrebbe ricevuto in dono una
parte della croce di Cristo.
Da sottolineare che per lo storico A. Fumagalli
invece predilige l’ipotesi che lega l’arrivo del Santo Chiodo
non sarebbe riferibile ad Ambrogio –ed alla sua nota
inclinazione a raccogliere Sacre Reliquie-, bensì ai tempi delle
Crociate.
Tutte queste tesi enunciate restano solamente
ipotesi e non possono assolutamente sminuire quanto -in merito
al Santo Chiodo- viene invece affermato dalla tradizione
“milanese”.
Sino all’edificazione del Duomo la reliquia del
Santo Chiodo restò nella basilica di Santa Tecla, quando si rese
necessaria la demolizione della vecchia basilica e il
trasferimento in Duomo delle suppellettili, delle reliquie e di
tutto quello che vi si trovava. Il trasferimento non fu
indolore e diede avvio ad una lunga contesa tra il Capitolo dei
Canonici di Santa Tecla e la Fabbrica del Duomo. Il 20 marzo
1461 avvenne per mano del vescovo Carlo da Forlì il solenne
spostamento del Santo Chiodo dalla vecchia alla nuova Cattedrale
per mezzo di una processione sontuosa che vide largo concorso di
clero e di popolo.
La nuova collocazione –dove ancor oggi la
reliquia è collocata- del Santo Chiodo fu collocato sulla
sommità della volta absidale del Duomo per sottrarlo, secondo
alcuni, alla cupidigia, diffusa nel Medioevo tra i cristiani, di
possedere reliquie insigni nei propri santuari.
Questa “sete medievale di
reliquie” si riteneva che il culto alla reliquia potesse
assicurata l’incolumità e la prosperità non solo spirituale.
Questa pratica –tipica della religiosità e della devozione
popolare- è più probabile che si sia voluto dare un posto
importante alla reliquia, conformemente alla tradizione
ambrosiana di collocare il Crocifisso sul fastigio dell’arco
trionfale della chiesa, similmente al culto orientale
(ortodosso) della “iconostasi”.
La troppo elevata collocazione favorì
l’affievolirsi della devozione verso il Santo Chiodo. Nei secoli
parve quasi spegnersi la devozione verso la Sacra Reliquia
finché San Carlo Borromeo -durante la peste del 1576- fece
ripristinare sull’esempio di altri santi vescovi, in particolare
in segno di ossequio verso il Santo patrono, iniziatore della
Liturgia Ambrosiana.
L’arcivescovo Borromeo istituì pubbliche
processioni con le reliquie ed altre pubbliche preghiere. Sabato
6 ottobre 1576, nella terza delle processioni da lui
personalmente celebrate, portò appunto il Santo Chiodo,
recandolo a San Celso e da qui ritornando in Duomo, ove espose
sull’altare la preziosa reliquia, ordinando una “stazione” di
quaranta ore, con predica ad ogni ora sui misteri della
passione, e disponendo dei turni di adorazione con
avvicendamento di fedeli in modo che la preghiera fosse
ininterrotta.
San Carlo aveva fatto appositamente costruire una
croce di legno per portare il Santo Chiodo in processione, che
oggi si trova nella chiesa parrocchiale di Trezzo d’Adda.
San Carlo attribuì l’attenuazione dell’epidemia
alla processione del Santo Chiodo -che si ebbe in seguito-. Il
vescovo milanese condannò il suo popolo che malauguratamente
sino ad allora -come attesta il Giussano- il Santo Chiodo aveva
perduto la necessaria venerazione. Al riguardo San Carlo fissò
che il 3 maggio di ciascun anno fosse festeggiato la festa dell’Invenzione
(ossia il ritrovamento) della Croce e che il Santo
Chiodo fosse solennemente trasportato in processione dal Duomo
alla Chiesa del Santo Sepolcro di Milano.
Il vescovo presiedette la prima processione del 3
maggio del 1577 ed al termine della quale predicò al popolo
iniziando l’orazione delle quaranta ore. San Carlo prescrisse
inoltre che in quell’occasione che i fedeli avrebbero potuto
ritrarre Santo Chiodo fosse liberamente in modo che tutti quelli
che lo desideravano ne potessero tenere presso di sé l’immagine.
Inoltre l’arcivescovo fece eseguire un’accurata
riproduzione della reliquia che venne –dallo stesso- messa a
contatto con l’originale. Il facsimile venne donato al re
Filippo II di Spagna.
Gregorio X il 18 aprile 1579 accordò l’indulgenza
plenaria ai partecipanti alla processione e a tutti coloro che
nei giorni successivi all’esposizione -ed entro il 3 maggio-
avessero devotamente visitato il Duomo. La solennità fu sempre
annualmente celebrata con il medesimo rituale per oltre due
secoli.
La prassi prevedeva che alcuni giorni prima del 3
maggio di ogni anno la Cancelleria della Curia Arcivescovile
diramasse a tutti i membri del clero regolare e secolare
l’avviso. In questo precetto della Curia Arcivescovile veniva
perciò fissato il turno che ciascun presbitero doveva
assolutamente osservare per l’orazione delle Quaranta Ore, dal
Borromeo sottolineata come metodologia fattiva di pratica
cristiana.
Oltre alle comunicazioni curiali erano emanate
annualmente dalle autorità civili dei decreti per consentire
l’ordine pubblico, anche queste hanno sempre partecipato al
corteo ed alla processione. L’amore dei milanesi verso l’annuale
corteo obbligò –da un lato- le autorità milanesi di sentirsi in
dovere a partecipare alla processione, in realtà non solo per
obbligo, ma -dall’altro- il fattore di amicizia del potere
civile verso il culto del Santo Chiodo quale protettore della
cittadinanza.
Il rito aveva inizio nella
Cattedrale metropolitana con la consegna a tre canonici maggiori
delle tre chiavi della nicchia ove si teneva il Santo Chiodo -il
cui custode era l’arcivescovo milanese-, della quale consegna si
rogava l’atto notarile. I tre canonici -col sacrista
meridionale- e un ostiario prendevano posto sulla “nivola” e
discendevano con questa fino alla nicchia, dalla quale tiravano
fuori il Santo Chiodo. La reliquia era montata su una croce di
legno dorato opera di F. Mangone su disegno del Cerano
-serviva per l’ostensione durante la processione-. I cerimonieri
addetti alla processione, in mezzo a torcieri accesi, la
mostravano subito ai fedeli.
La nivola calava al piano del
presbiterio ove, durante il canto di Terza e Sesta, il Santo
Chiodo era subito incensato dall’arcivescovo;
si iniziava successivamente la messa pontificale.
Nel frattempo si mettevano in colonna i
partecipanti alla processione che si dirigeva al Santo Sepolcro
di Gerusalemme in Milano. Facenti parte del corteo erano le
confraternite presenti in Milano, il clero regolare, il clero
secolare, i canonici, la Scuola di Sant’Ambrogio, il collegio
elvetico, i mazzeconici, il capitolo maggiore del Duomo.
L’arcivescovo seguiva la solenne processione
baldacchino con il Santo Chiodo, seguitato dai canonici lettori,
dalle cariche di rilievo civili della città -spesso si
alternavano con i nobili e i membri delle confraternite- che
spesso reggevano lo stesso baldacchino.
Il Santo Chiodo al termine della
processione restava in mostra per l’adorazione delle Quaranta
Ore. I padri cappuccini al mattino del 5 maggio riportavano la
Sacra Reliquia –mediante un’ultima processione- all’interno del
Duomo il Santo Chiodo. Quest’ultimo veniva riposto sulla nivola
nella sua nicchia. A questo punto le chiavi erano nuovamente
date in custodia all’arcivescovo e nel contempo si provvedeva ad
un atto notarile della riconsegna.
L’annuale processione fu
ripetuta -con grande seguito- sino al 1797
e fu mantenuta in deroga alle restrizioni delle manifestazioni
religiose pubbliche stabilite da Giuseppe II nel 1786; nei primi
anni della Cisalpina intervennero le autorità repubblicane.
Il rito si iniziò a ridurre allorquando dal
secondo messidoro del V anno repubblicano fu celebrato
all’interno del Duomo e si riprese in forma tradizionale dopo
l’incoronazione di Napoleone.
Con una disposizione delle autorità civili -a
partire dal 1876- venne richiesto che all’interno della
cattedrale fosse celebrato mantenendo il suo carattere
“cittadino”, con l’intervento cioè del clero di tutta la città.
Solo nel 1969 venne sospeso il rito del Santo Chiodo in seguito
al manifestarsi dell’instabilità della situazione statica dei
piloni del tiburio e ai conseguenti interventi di restauro.
Dopo aver provveduto al recupero del Santo Chiodo
nel 1982 con mezzi di fortuna, se ne ricominciò l’ostensione in
Duomo durante la Settimana Santa. Inoltre il culto della Santa
Reliquia si scelse di venerarlo anche nella festività
dell’Esaltazione della Croce.
In Duomo non si era mai spezzata
la consuetudine del corteo della Santa Croce,
la processione si svolgeva il 14 settembre -essendo nel
frattempo era stata abolita la festa del 3 maggio- e senza
l’intervento del clero e delle autorità di Milano.
Nel 1983-84 -anno giubilare
della Redenzione
indetto nel da Giovanni Paolo II- il cardinale Carlo Maria
Martini chiese che fossero di nuovo riuniti il Santo Chiodo
e la croce a suo tempo fatta costruire da San Carlo.
È così che nuovamente –croce e
chiodo- furono portati nel corso di quell’anno in tutte le zone
dell’arcidiocesi per portare a tutti i fedeli ambrosiani il
messaggio della Passione redentrice del Signore nostro Gesù
Cristo.
Il Cardinal Martini volle ripristinare
l’esemplare devozione del Santo Chiodo imitando il gesto del suo
predecessore San Carlo che portò l’alimento per il suo prolifico
ed infaticabile apostolato.
Durante il Venerdì Santo del
1984 il cardinal Martini guidò la solenne processione dalla
chiesa di San Carlino
che
portò personalmente la Croce col Santo Chiodo per le vie di
Milano.
La ricollocazione della Sacra Reliquia avviene in
occasione del VI centenario della Fondazione della Basilica
Cattedrale allorquando -terminati i lavori di restauro statico-
fu ristabilita in Duomo la solenne processione del Santo Chiodo
con il suggestivo rito della nivola.
Orbene il termine “nivola” -mutuato dal dialetto
milanese- indica il particolare ascensore che serve per
raggiungere il tabernacolo del Santo Chiodo, dalla forma
caratteristica di nuvola. Interamente foderata di tela decorata
da dipinti dipinta nel 1612 dal Landriani rappresentanti angeli
e più volte restaurata. Il primo “modello” di nivola risale
quasi certamente all’epoca di San Carlo, a quest’epoca si deve
l’invenzione di una speciale carrucola in grado di trasportare,
mediante funi azionate da argani posti in una cella al di sopra
della volta dell’abside, la Reliquia nella posizione prescelta,
in posizione elevata.
Il Santo Chiodo custodito in Duomo ha fatto
parlare molto per la strana forma: nella parte sovrastante è
modellato a mo’ di cerchio.
L’inusuale forma ha indotto gli storici a
considerare la sua funzione, seppure conservi perfettamente la
forma di chiodo, difatti non ci si spiega il perché della forma
arrotolata della parte soprastante. Sembra che il Santo Chiodo
termini con un anello che lo sostiene.
“Crederei pertanto —scrive il Sassi— che il Santo
Chiodo altro non fosse fuorché un ornamento che pendesse dal
capo dei destrieri del l’imperatore, e circondato poi fosse di
quei vani legami che voi vedete [quel grosso filo di ferro che
lo avviluppa tuttora] acciò venisse con maggior riverenza per
gli accampamenti portato”.
Gli episodi della storia della
Croce e del Santo Chiodo erano un tempo esposti nella cattedrale
in occasione della solennità del 3 maggio. In Duomo esistevano
ben 22 grandi tele
fatte realizzare nel sec. XVIII. Una parte della quadreria sono
ora custodite nella Sacrestia delle Sante Messe –e perciò ancora
visibili presso la Cattedrale-, altre son state trasportate
nella chiesa del Camposanto ed alcune in ambienti della
Veneranda Fabbrica del Duomo.
Prof. ALESSIO
VARISCO
Storico dell’arte
e saggista
Direttore
"Antropologia Arte Sacra"
Per ulteriori approfondimenti:
A. TAMBORINI, Un’insigne reliquia della Passione nel Duomo di
Milano. Milano, Ordine Equestre del Santo Sepolcro, 1933.
Rappresentazioni popolari d’immagini venerate nelle chiese della
Lombardia conservate nella raccolta del le stampe di Milano.
Catalogo descrittivo, a cura di P. Arrigoni e A. Bertarelli,
Milano, 1936, pp. 1-4.
F. RUGGERI, Il Santo Chiodo venerato nel Duomo di Milano.
Milano, NED, 1986.
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