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Cartapeste sacre

 

 

Una delle arti plastiche considerata “minore” è la cartapesta una delle tecniche estremamente economiche, subalterna alle altre arti plastiche in quanto impiegata principalmente per l’elaborazione di bozzetti. I maestri cartapestai rappresentano l’artigianato italiano, un particolare mercato di nicchia eppure “simbolo della tradizione popolare” dal rinascimento ad oggi. In particolare la fortuna di questa tecnica si deve alla praticità/malleabilità del materiale che può essere forgiato; per contro l’estrema friabilità della scultura forgiata –dipesa dalla labilità del materiale- unitamente all’eccessiva fragilità se si impiega –nell’alchemica composizione della liquefazione della carta- troppa percentuale d’acqua l’ha resa un prodotto deperibile e meno “nobile”.

A livello lessicale il termine “cartapesta” rappresenta l’effimero -è simbolo di precarietà, difatti basta poco per distruggerla- ha perciò assunto una valenza negativa, troppo spessa vilipesa dalla storia dell’arte. Cartapesta è però anche sinonimo –ai nostri giorni- della festività popolare del “carnevale”, si pensi a Venezia o Viareggio. Ma la cartapesta è anche “teatro”, in particolare quello di Goldoni. Cartapesta è anche la “festa”, durante il Rinascimento ed il Barocco, oltre alle maschere anche carri allegorici. Insomma cartapesta è la gioia della creatività e della versatilità.

 

A livello tecnico la cartapesta è estremamente “povera” nell’elaborazione. Il procedimento di preparazione presenta due tecniche. Essa si può ottenere o tramite la macerazione della carta in acqua (entrambe le componenti si possono trovare ovunque e hanno un’incidenza economica minima), oppure aggiungere delle tele di lino e della farina per aumentare lo spessore e rendere maggiormente solida la struttura della “lamina” di cartapesta. La prima è impiegata nella produzione di calchi, basta lacsciar macerare pezzi di carta in acqua sino ad ottenere una poltiglia modellabile. La seconda tecnica, che prevede l’aggiunta di teli di lino e farina –o in certi casi gesso- e comunque la sovrapposizione di fogli su una forma precedentemente modellati, questa è maggiormente impiegata per la modellazione di superfici a tutto tondo.

In particolare per la produzione di statue troviamo un’articolata costituzione degli elementi impiegati per foggiare la scultura: una struttura lignea verticale (che contente di mantenere i vari elementi di cartapesta), degli elementi orizzontali uno in corrispondenza delle spalle -per consentire l’allocazione delle braccia realizzate in calchi- e del bacino –ove il tronco e le gambe venivano unite-. La statua veniva riempita di saggina oppure con degli stracci per consentire di avvicinare le varie parti foggiate e quelle invece ottenute negli stampi. In tale modo si creavano però visibili “giunte” che venivano coperte da ulteriore materiale per impedire di scorgerne i molteplici segni delle unione delle diverse parti della scultura. Infine il personaggio era dipinto.

Esisteva un vero e proprio mercato di componenti -mani, piedi e teste- che venivano commercializzate da alcune botteghe per elaborare molteplici statue di cartapesta e multipli da uno stesso modello. I soggetti realizzati oltre alla Vergine e a Gesù rappresentano numerosi Santi riprodotti in maniera che potremmo dire quasi seriale e poi rifiniti nelle botteghe.

 

Uno degli impieghi maggiori di questa tecnica è di ottenere delle maquettes –bozzetti- per sculture di –altri materiali- impiegati nelle botteghe dei grandi maestri.

In ambito italiano, almeno durante il Quattro-Cinquecento, la cartapesta serve per la realizzazione di apparati provvisori, bozzetti, studi preparatori che raramente venivano conservati anche a causa della loro deperibilità non sono a noi giunti.

La cartapesta occupa l’ultimo gradino della scala gerarchica delle arti; è difatti un’arte realizzata con materiali poveri, riciclabili. È una tecnica impiegabile con estrema semplicità per calchi, copie e repliche a bassissimo costo e perciò considerata poca cosa.

Persino Vasari, architetto fiorentino, massimo artefice della distinzioni fra arti maggiori e minori parla spesso dell’utilizzo di questa tecnica e del materiale da impiegarsi, “vile” in relazione anche ad artisti molto noti. La cartapesta venne occupata dai maggiori artisti da Donatello e Sansovino a Bernini, fino ai nostri giorni.

Certamente la devozione popolare, oltre all’impiego presso feste mondane e carri mitologico/allegorici, portano la cartapesta anche in solenni processioni religiose. L’arte sacra sicuramente ha occupato l’arte sino all’Ottocento in maniera quasi egemone occupando artisti -santi e peccatori come la chiesa in cui crebbero ed il loro tempo- ad impiegarsi per esprimere, seguendo la loro vena ed il loro gusto estetico, le tematiche più famose delle vicende bibliche. Si può addirittura affermare che questa “biblia pauperum” -creata da pittori, scultori, mosaicisti ed anche, in ultimo cartapestai- attivò un’estetica delle Sacre Scritture dando sfoggio all’interpretazione esegetica, alla teologia ed al magistero della Chiesa di dare “foggia” alle idee mediante immagini, dipinti, sculture ed anche –in ultimo- a cartapeste.

La prima grande rassegna “La scultura in cartapesta” in Lombardia ha trovato una solenne collocazione presso il Museo Diocesano di Milano dal 15 gennaio al 30 marzo 2008. Il sottotitolo dell’esposizione “Sansovino, Bernini e i maestri leccesi tra tecnica e artificio” esplicita i contenuti divisi fra il faceto ed il tragico. La cartapesta è proprio questo: sintesi della drammaturgia e della commedia. In sé presenta –e sintetizza- elementi del “dionisiaco” e dell’“apollineo”; anche per questo la cartapesta è l’emblema del teatro.

L’utilizzo della cartapesta ha diffusione geografica in ambito fiorentino, senese e veneziano, nelle botteghe romane per concludersi in molteplici laboratori dell’Italia meridionale, di produzione di presepi campani, nonché del leccese e del salento. Un argomento poco studiato e non molto valorizzato, fuori dai grandi circuiti dei percorsi museali, seppure l’arte della cartapesta trovi in Italia un background davvero favorevole per lo sviluppo estetico e tecnicistico.

Certamente la storia dell’arte non può dimenticare la “Madonna col Bambino” attribuita alla bottega fiorentina di Antonio Rossellino (scolpita nel 1460) dalla dolcezza struggente di una Maria che con estrema maternità difende il suo piccolo Gesù. Un’altra rappresentazione mariana –dal medesimo tema, una sorta di “gemella”- di Jacopo Sansovino presenta un toccante sfiorarsi di teste, in un estatico abbraccio di Madre e Figlio, così naturale e ricco di tenerezza.

I busti dell’“Ecce Homo”, di bottega fiorentina, dallo scenografico pathos sino “Madonna del Candelabro”. Per toccare l’apice bisogna osservare -scevri di pregiudizi sulla tecnica così povera- “L’anima dannata” e “Suor Maria Raggi” di Gianlorenzo Bernini. La prima scultura presenta il modello della celeberrima scultura eseguita in marmo con la “sorella” ovvero “L’anima beata”. Molto probabilmente questa scultura è una prova per una mai realizzata statua bronzea dell’anima dannata.

Altri artisti fra cui il Baldinucci, Alessandro Algrugi ed una stupenda “Maddalena in estasi” possono dire la maestria nell’utilizzo della cartapesta presso le molteplici botteghe di grandi artisti.

Tanti Santi protettori che in maniera estremamente umile e dimessa, come i loro materiali, occupano molti altari delle nostre chiese, anche delle più povere. Busti-reliquiari ed ostensori parlano di una devozione popolare forse oggi ahimé perduta. Sino a semplici ma toccanti per la loro vibrante veridicità statuette di presepi.

La rassegna milanese vuole dare un nuovo impulso: restituire la giusta cittadinanza artistica ad una tecnica bistrattata e vilipesa da critici e storici dell’arte. Questo primo risultato porta a riflettere maggiormente sulle peculiarità tecnico-stilistiche quali: leggerezza e duttilità, in grado di fornire un realismo espressivo grazie ad una morbidezza plasmabile. Certamente non si può restare insensibili dinanzi questa grande maestria nel foggiare simili figure, anche a tutto tondo, ricche di suggestione, di pathos e di devozione popolare.

Auspichiamo che una simile iniziativa possa essere realizzata anche altrove e che possa entrare in percorsi museali anche un’arte ritenuta vile e povera, così ricca e bella, vibrante e rivelante non solo il “Verum”, ma anche in maniera toccante in molte pagine della storia dell’arte, anche il “Bonum” che ci deriva da Lui ed il “Pulchrum”.

Una riprova che la Bellezza può salvare il mondo… e che anche “povere” statue “minori” possono ricondurci a Dio!

 

Prof. ALESSIO VARISCO

Storico dell’arte e saggista

Direttore "Antropologia Arte Sacra"


 
 
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