Attenti agli scherzi da templare
«Nonnismo» o eresia? Nuovi studi fanno chiarezza sull'intrigo
che portò alla distruzione dell'Ordine
Qualcuno dei lettori si sarà
senza dubbio imbattuto, qualche tempo fa, nel programma «Stargate»
su Telemontecarlo e avrà assistito alle mie escandescenze
(succede a tutti...) dinanzi alle affermazioni di un cultore di
«tradizione templare» il quale affermava che all'Ordine del
Tempio si deve la costruzione della cattedrale di Chartres e che
l'ultimo Gran Maestro Jacques de Molay, sul rogo allestito per
lui a Parigi il 18 marzo del 1314, pregava «la parte femminile
di Dio» (sic). Mi dicono che quelle escandescenze hanno
provocato una polemica presa di posizione di alcune riviste per
"amateurs" esoteristi: ma, francamente, non ho seguito la cosa.
D'altro canto, ormai si può dir imponente il fenomeno
dell'interesse con cui alcune persone forse anche dotate di
buone intenzioni e di buona volontà (ma del tutto prive di
metodo, di preparazione e di strumenti di lavoro) seguono la
vera o presunta storia dell'Ordine templare e fingono o credono
d'indagare sulle presunte conoscenze teologiche, filosofiche e
scientifiche di quel sodalizio religioso regolare istituito
nella prima metà del XII secolo e sciolto dal pontefice nel
1314. «Sarebbe bello poter leggere il dossier del processo al
Tempio», mi disse una volta con aria di sfida un neotemplare.
«Benissimo - gli risposi -, lo ordini al suo libraio o faccia
una bella vacanza a Parigi e lì, alla sede de "Les Belles
Lettres" in Boulevard Raspail, se lo compri. Fra l'altro, è un
bel libro che costa piuttosto poco». Stupita incredulità del mio
interlocutore. Quel libro edito a Parigi a cura del Lizerand nel
1923 e poi più volte riedito, invece, Barbara Frale - giovane
ricercatrice dell'Università di Venezia - lo conosce al
contrario perfettamente. E conosce tante altre cose. Finalmente,
con il suo "L'ultima battaglia dei Templari" (Viella, pagine
338, lire 48.000), abbiamo a disposizione anche in lingua
italiana un lavoro attendibile sul processo e sulle ultime
vicende che condussero, tra 1307 e 1314, allo scioglimento
dell'Ordine templare e, nel 1314, al rogo per eresia di alcuni
suoi alti dignitari.
La fine del Tempio fu resa
inevitabile da uno straordinario intrico di ragioni politiche ed
economiche nelle quali grande parte ebbe anche una dimensione
della vita associata ch'era allora al suo nascere, ma che si
sarebbe affermata con sempre maggior perentorietà nei secoli a
venire: l'opinione pubblica, la sua manipolazione, la
propaganda. Anche in ciò le vicende del processo ai Templari
sono il primo grande esempio di processo politico «moderno»;
precedente per molti versi a quelli di Giovanna d'Arco e di
Gilles de Rais, e in qualche modo sinistro «modello» - per il
metodo con cui vennero montate e manipolate le prove - delle
purghe staliniane. Anche questa triste modernità del processo ai
Templari dev'essere forse tenuta in considerazione. Sotto il
profilo della letteratura moderna, un paradossale e del resto
noto destino caratterizza l'Ordine templare e il processo che
condusse alla sua abilitazione. Molto vasta, da circa due
secoli, è la produzione parastorica e pseudostorica che li
riguarda. E che è tale da sorprendere, disorientare ma anche
affascinare molti appartenenti al vasto pubblico dei fruitori
della divulgazione, anche quando si tratta di cultori abbastanza
colti e attenti di cose storiche. Al confronto, alquanto
ristretto è il novero dei ricercatori seri in tali ambiti: tra i
più giovani e attendibili a livello europeo, il nome di Barbara
Frale va ormai inserito in un ristretto elenco che comprende
forse due soli giovani studiosi italiani, Simonetta Cerrini e
Francesco Tommasi, e un ricercatore non-professionista ma molto
attento alla documentazione autentica, Fulvio Bramato. Sarebbe
stato piuttosto difficile, prima di questo libro, supporre che
fosse possibile dir qualcosa di nuovo riguardo al processo del
1307-1312. Barbara Frale ha tuttavia conseguito questo difficile
traguardo poggiando su due solide basi: da una parte un attento
e puntuale confronto con gli studi più recenti e attendibili, in
particolare quelli del Barber, del Demurger e del Partner;
dall'altra una rigorosa e sorvegliata scelta metodologica
incentrata e sistematica escussione delle fonti primarie e sulla
«archiviazione elettronica di tutte le deposizioni rilasciate
dai Templari durante l'arco del processo», accompagnata da una
classificazione delle informazioni «secondo lo stesso criterio
che gli inquirenti di Clemente V usarono nell'inchiesta
pontificia» il che ha consentito di rilevare una per una le
oscillazioni, le reticenze, le contraddizioni nelle confessioni
e nelle ritrattazioni e di far emergere quindi, in negativo, le
strategie degli inquirenti. In sintesi, tutti i più recenti e
attendibili studiosi del Tempio e della sua fine hanno finora
concordato sulla sua sostanziale innocenza e sul fatto che
l'Ordine cadde vittima di una macchinazione dei funzionari di
Filippo IV - deciso a farlo condannare e a impadronirsi dei suoi
beni -, mentre Clemente V dovette in ampia misura cedere a un
ricatto e si fece comunque complice di una violenza e di una
frode. L'attenta indagine della Frale giunge sostanzialmente ad
analoghi risultati: ma ha il merito straordinario di articolarli
meglio e di consentirci di seguire in modo più convincente le
differenti fasi del dramma. Si chiarisce anzitutto che l'Ordine
era da tempo oggetto di maldicenze e di sospetti ch'erano
qualcosa di più che non malevole voci originate magari dai
rovesci militari in Terrasanta e dalla fama di superbia e di
avidità che circondava i "milites Templi". Si precisa poi che
all'interno della stessa compagine templare era in atto dalla
fine del XIII secolo un duro scontro che vedeva affrontati
fautori di due diversi modi di concepire l'organizzazione di
future crociate e i rapporti con l'altro Ordine
religioso-militare, quello giovannita, a proposito della
ripetutamente proposta tesi di una fusione con esso. Si dimostra
che il processo fu eminentemente politico e che l'inquisizione
vi giocò un ruolo funzionale alla volontà regia, in contrasto
con la posizione di Clemente V. Si argomenta infine che i capi
d'accusa contro i Templari e i rilievi a proposito delle
cerimonie iniziatiche da loro praticate erano senza dubbio
manipolati, ma che tuttavia poggiavano sull'effettiva esistenza
di pratiche raccolte e ordinate in una sorta di «codice-ombra»
con parecchie varianti seguito e praticato, se non sempre,
quanto meno sovente. Ma la chiave di lettura che di quelle
illecite pratiche - o della formulazione di esse - si fornisce
poggia su due elementi esplicativi. Da una parte quello della
«prova d'obbedienza», tanto più decisiva quanto più la si
proponeva per mezzo di richieste, obbedire alle quali appariva
ripugnante; dall'altra quello dello scherzo degli anziani nei
confronti dei nuovi adepti. Si tratta di elementi che la Frale
discute in modo molto convincente, e che errato sarebbe
sottovalutare. Il primo di essi è importante sotto il profilo
giuridico-comportamentale: da questo punto di vista la prassi
templare fondata sull'obbedienza appare continuar quella strada
aperta dal francescanesimo che sarà più tardi continuata dalla
Compagnia di Gesù e che attraverso varie articolazioni passerà
alla pratica militare, alle sette del XVIII-XIX secolo e sfocerà
nei partiti politici, specie in quelli protagonisti dei grandi
sistemi totalitari del Novecento. Il secondo è viceversa
rilevante a livello antropologico, lo si riscontra in differenti
«società chiuse» e l'autrice ha molte ragioni nell'avvicinarlo
ai fenomeni di «nonnismo» ancora in uso negli eserciti del
nostro tempo. Chi conosce la familiarità col Sacro propria del
mondo medievale sa bene anche delle parodie liturgiche, dell'uso
improprio di paramenti e di suppellettili, dell'ostentata
empietà di certi atteggiamenti di solito collegati alle
solennità religiose. A conoscenza di certe dicerie, forte della
consapevolezza che vizi e peccati albergavano comunque
nell'Ordine templare (non diversamente, del resto, che in altri
Ordini religiosi) e ben sostenuto da una rete d'informatori e di
provocatori, re Filippo riuscì a trasformare consuetudini
ludiche, di solito mai neppure accompagnate da effettivi fatti
di empietà, in prove schiaccianti di eresia dinanzi alle quali
il Papa - che naturalmente non vi credeva, per quanto non
mancasse chi gliele aveva confermate in modo apparentemente
spontaneo - non poté che sciogliere l'Ordine: unico espediente,
tra l'altro, che lo esimeva dal condannarlo. Barbara Frale col
suo studio adempie alla condizione primaria cui deve rispondere
una ricerca storica per essere considerata positiva: non chiude
affatto i problemi; anzi, ne apre di nuovi. L'innocenza del
Tempio viene qui ribadita: ma anche proposta in una diversa,
meglio articolata prospettiva. Il discorso che dopo Barber,
Demurger e Partner poteva considerarsi concluso torna invece ad
imporsi alla nostra attenzione alla luce d'una nuova serie
d'indizi e d'ipotesi.
Prof. Franco Cardini
©2008
Franco Cardini, da «Avvenire» del 7 Agosto 2001, qui
ripubblicato con il consenso dell'autore.
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