STORIA,
ATTUALITA’, DIVULGAZIONE
Il libro di
Ariel Toaff, Pasque di sangue
(Il Mulino), dedicato all’accusa d’infanticidio rituale per
molti secoli rivolta contro gli ebrei, il celebre
blood libel, e stato
ritirato dalla circolazione per volonta del suo autore, docente
nell’Universita israeliana di Bar-Ilan, nel febbraio scorso, un
paio di settimane dopo la suapubblicazione. Il caso d’un libro
cosi rapidamente rinnegato da chi ha impiegato anni per
scriverlo e piu unico che raro, e si fa fatica a spiegarlo con
una forma di resipiscenza che avrebbe alle sue basi un maturato
convincimento scientifico.
Certo, l’assunto delToaff era sconvolgente: a suo dire, la
rilettura di alcuni documenti processuali accompagnata dallo
studio relativo alla cultura degli ambienti ebrei askhenaziti
porterebbe alla conclusione (tirata sul piano dell’applicazione
del “paradigma indiziario”, e quindi del tutto ipotetica in
mancanza di vere prove) che qualche isolato caso d’infanticidio
rituale potrebb’essersi davvero verificato. Frutto evidente di
follia, di rancore degenerato in crimine come reazione malsana e
infame ai soprusi subiti dagli ebrei e cosi via. Insomma, pochi
casi marginali, che certo non compromettono comunque le comunita
ebraiche nel loro complesso: ma eventi effettivi comunque, che
in qualche modo ci aiuterebbero meglio a capire come l’ “accusa
del sangue” fosse riuscita a mettere radici profonde nel
pregiudizio circolante fra i cristiani. Toaff propone eipotizza,
raccoglie elementi indiziari e li discute con grande erudizione,
anche se nel suo assunto sono stati da alcuni recensori rilevati
errori e lacune. Non riesce a fornireprove definitive di quanto
sembra incline a ritenere come davvero accaduto, sia pur appunto
in pochi e marginali casi. Ma, con tutti questi limiti, il suo
libro e parso provocatorio ed esplosivo.
Un libro si puo sbagliare, anche se e difficile che uno studioso
lo “sbagli” del tutto, come si sbaglierebbe una moltiplicazione
o una divisione aritmetiche. Di solito, per convincerlo a tanto,
occorrono lunghe e circostanziate recensioni su riviste
scientifiche e severi, robusti attacchi da parte di autorevoli
colleghi. Nel caso del libro di Toaff, fin dalla sua comparsa si
sono registrate, e vero, molte reazioni negative da parte di
studiosi seri e qualificati, ma evidentemente – non c’e stato il
tempo per altre forme di critica – pubblicate su quotidiani, e
per giunta viziate talora dal sospetto d’una notevole
frettolosita. Un libro di parecchie centinaia di pagine non si
digerisce in pochi giorni, nemmeno se si e acclarati specialisti
in materia. Ma quelle recensioni magari importanti, magari
firmate da storici illustri, comparivano in un contesto politico
e massmediale, insomma scientifico, turbato da un assordante
clamore: esponenti delle comunita ebraiche italiane, membri di
organizzazioni politiche e culturali di vario genere,
opinion makers
giornalistici e televisivi si accanivano contro il libro e il
suo autore, accusati non solo di aver dato di nuovo vita a un
fantasma ormai dimenticato, ma addirittura di aver offerto
argomenti al residuo (e magari risorgente) antisemitismo e di
avere con cio nuociuto sia pur indirettamente alla causa
d’Israele. Nella questione sono entrati perfino l’Anti
Defamation League ebraica e la stessa Knesset israeliana.
Insomma, uno scandalo bello e buono.
E’ parso tuttavia a molti, per quanto non tutti abbiano avuto il
coraggio civile di esprimersi, che la “questione Toaff” stesse
andando a quel punto ben al di la d’una faccenda ispirata da un
libro di storia e che si andasse configurando un vero e proprio
attacco alla liberta di pensiero e di espressione. L’intero
affaire ha
assunto i connotati di una sorta di linciaggio morale contro lo
studioso italo-israeliano. Dal momento che io stesso, che avevo
redatto al riguardo qualchearticolo, ho riportato tale
impressione, ho voluto verificarla rileggendomi serialmente e
ricostruendone l’iter
cronologico, se non proprio tutti quanto meno la
stragrande maggioranza degli articoli comparsi sulla questione
durante il mese di febbraio e ai primi di marzo,, allorche la
questione si e andata smorzando da sola. Ne e uscito un
libretto, Il “caso Ariel Toaff”. Una
riconsiderazione (Medusa) dal quale
mi sembra risulti chiaro che gli studiosi, magari in perfetta
buonafede, con le loro recensioni uscite mentre stava scoppiando
attorno al libro recensito un caso massmediale d’impressionanti
proporzioni e mentre lo storico protagonista della questione
veniva messo sotto accusa (e, pare, addirittura oggetto di
pressioni e di minacce) per ragioni extrascientifiche, hanno
obiettivamente collaborato alla sua lapidazione: salvo poi
protestare quando il libro e stato condannato in sedi religiose
o parlamentari e rivendicare il diritto all’autonomia della
ricerca.
Questo libretto non e piaciuto a uno dei nostri studiosi piu
insigni, Adriano Prosperi, che e partito da un’aspra condanna di
esso e da un duro giudizio sulla sua inopportunita per un lungo
articolo edito su “Repubblica” del 1° maggio 2007,
Se lo storico ama suscitare clamore.
In esso si cita invece in modo giustamente
favorevole lo studio di Tommaso Calio,
La leggenda dell’ebreo assassino
(Viella). Prosperi ricorda che Toaff si e fatto
volontariamente da parte (per quanto vada tenuto anche presente
che il contesto della sua scelta e stato tutt’altro che sereno),
e commenta che si deve rispettare la sua volonta e cessar di
far clamore attorno a lui e al suo libro. E’ vero. Ma allora ci
si chiede perche tale esigenza non sia stata avvertita dagli
studiosi prima di adesso. Toaff ha disposto il ritiro del suo
libro a meta febbraio: ma alcune recensioni, forse le piu dure,
firmate da suoi colleghi, sono uscite dopo tale data. Era allora
e da allora, immediatamente, che si sarebbe dovuto rispettare
la sua scelta e tacere; mentre ormai, a qualche tempo dalla
chiusura dell’episodio, appare francamente non illegittimo
tornarci sopra, se non altro per ricostruirlo “a bocce ferme” in
modo adeguato e legger bene nelle responsabilita reali di chi ne
ha determinato un cosi spiacevole e grave esito.
Ma tutto cio non toglie che Prosperi abbia ragione quando
denunzia, con ferme e dignitose espressioni, il protagonismo che
sembra invadere il mondo degli studiosi e che finisce con
l’inquinare gli ambienti della ricerca, che viceversa esigono
silenzio, rispetto, riserbo. Un’eccessiva attenzione agli umori
dell’opinione pubblica, magari l’occidentalissima sete di “visibilita”,
la pesante attenzione al “mercato delle opinioni”, ha finito con
il contagiare gli stessi studiosi sottraendoli almeno in parte
al loro compito.
La denunzia di Prosperi e assolutamente fondata: e non fingero
di non aver capito ch’essa e partita proprio da un episodio che
mi riguarda. Mi sento in effetti colpito, e giustamente, dalla
sua requisitoria; e mi guardero bene (sarebbe facile farlo) dal
difendermi facendo l’elenco dei colleghi che agiscono nella
stessa maniera o ricordando a lui ch’egli stesso e sovente
presente sulle pagine dei giornali. Queste polemiche sono
inutili. La questione e semmai un’altra. E tocca a questo punto
un problema annoso, che va ben al di la del “caso Toaff”. Il
senso, i limiti e la natura della “divulgazione storica” in una
societa dominata dall’immagine e dall’opinione. Il supermarket
della controstoria, dell’antistoria e della pseudostoria sta
crescendo mostruosamente, nel nostro paese e in tutto il mondo;
i capitali investiti nell’editoria, nelle
fictions e nei
war games ispirati
ad autentiche aberrazioni diseducative e disinformative sono
ormai enormi, mentre vanno sempre piu mancando i fondi per la
ricerca scientifica, siamo costretti a chiudere istituti
specialistici, i nostri laureati e magari i nostri dottori di
ricerca vengono condannati al precariato quando non addirittura
alla disoccupazione. Tutto cio sta producendo, fra l’altro, un
mostruoso fenomeno di analfabetismo culturale, senza cui non si
spiegherebbero fenomeni come il successo dei libri di Dan Brown
o la diffusa, ridicola ma ormai massificata passione per
piramidi egizie e segreti templari.
La storia e gli storici sono ridotti in un angolo, ghettizzati,
ignorati. Qui non si tratta di aver maggiore o minore visibilita,
di “ficcarsi” pokeristicamente nel “piatto ricco” e di
atteggiarsi a piccoli divi del piccolo schermo nei
talk shows domenicali.
Si tratta di recuperare uno spazio vitale non solo e non tanto
per noi quanto per la societa civile. Si tratta di lavorare in
modo tale da provar a imporre di nuovo nel pubblico l’interesse
e il gusto per la storia vera, quella metodologicamente
corretta, quella che si basa sui fatti e sulla loro discussione
critica. Se non lo facciamo noi, lo spazio che noi lasciamo
vuoto verra fatalmente occupato da altri: da mediocri
giornalisti improvvisatisi ricercatori, da mitomani
esibizionisti a caccia di Santi Graal, di Atlantidi e di Tesori,
da riciclatori e plagiatori di quart’ordine che inquineranno
del tutto con la loro sottocultura la gia poco respirabile aria
della nostra societa, che ne abbasseranno ulteriormente il
livello culturale, che metteranno definitivamente in ginocchio
la scuola e l’Universita sottraendo definitivamente da esse
l’interesse dei giovani.
Per risalire la china, e proprio nella sacrosanta direzione
indicata da Prosperi, occorrerebbe a questo punto un forte
sforzo coordinato e congiunto di studiosi, insegnanti, politici
ed esponenti piu onesti e colti del mondo dell’opinion
making massmediale. Il primo passo
sarebbe risanare i programmi “culturali” televisivi, eliminare
l’imperante paccottiglia, rivolgersi per la loro confezione ad
autentici specialisti: e a quel punto gli specialisti, disposti
a una “divulgazione” corretta (e non barbosa) che fosse un
autentico filo diretto tra la ricerca scientifica e il grande
pubblico, non dovrebbero tirarsi indietro e dovrebbero accettare
le regole del gioco, che consistono anche nel piegarsi a parlar
il linguaggio della gente non per farsene inquinare, ma per
gradualmente riqualificarlo. E’ per lanciare un appello di
questo genere che le forze di quanti ad esempio lavorano nell’Universita
dovrebbero unirsi. Altrimenti, a non dir altro, i gestori del
potere politico continueranno a somministrarci col contagocce i
mezzi necessari alla ricerca e a sperperarli altrove,
nell’effimero, nella “cultura-spettacolo”. Questo dovremmo fare.
Perche questa, oggi, e l’emergenza nella quale ci troviamo.
Prof. Franco Cardini
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