Tomar
dei Templari
Nel 1983, l’Unesco ha classificato
la chiesa e il convento di Tomar,
sede dell’Ordine religioso-militare del Cristo, come
World
Heritage Site, “Patrimonio dell’Umanità”.
Chi conosce in modo solo turistico e superficiale questo
celebre monumento sa che esso è
incentrato su una cappella di pianta poligonale, risalente al
XII secolo e fondata dai Templari, che s’ispira alla moschea
di Umar a Gerusalemme, ma ricorda
anche da vicino la chiesa della Vera Cruz
di Segovia, edificata dai
fratres
dell’Ordine Ospitaliero di San
Giovanni, fratello e rivale di quello del Tempio.
L’Ordine Templare, fondato in Terrasanta
come
fraternitas di “poveri cavalieri” alla fine
del secondo decennio del XII secolo, penetrò nella penisola
iberica solo un decennio più tardi, più o meno
contemporaneamente alla sua laboriosa legittimazione da parte
della Chiesa romana. I re di
Castiglia e i loro vassalli, i
conti di Borgogna, responsabili della nuova contea del
Portogallo, furono generosi in donazioni al nuovo Ordine, che
costituiva un valido aiuto nella loro “crociata” contro i
vicini potentati musulmani e soprattutto contro i temibili
almoravidi, da poco giunti dal
Maghreb. La donazione del
1128 della contessa Teresa, moglie di
Enrico di Borgogna, comprendeva
Soure presso Coimbra,
mentre quella di suo figlio Alfonso
Henriquez dovette riguardare prima
Pombal, quindi Ceras.
Tali concessioni – che non ci consentono
tuttavia di sapere con certezza quando i castelli
corrispondenti cominciarono a essere costruiti – provocarono
naturalmente un interminabile contenzioso con i poteri locali,
a cominciare dal vescovo di Lisbona. I Templari si affermarono
come insostituibile sostegno dei
castigliano-borgognoni nella conquista dell’ovest
della penisola iberica,
progressivamente sottratto ai musulmani; nel 1147
parteciparono tra l’altro alla presa di
Santarém, che fruttò loro notevoli proprietà. Ma fu
solo nel 1159 che Alfonso Henriquez,
divenuto re Alfonso I, il primo
sovrano del Portogallo, concesse all’Ordine – che stava
fortificando sistematicamente la linea del fiume
Tago – il castello di
Ceras presso il fiume
Nabão, un centinaio di miglia
nell’interno a nord-est di Lisbona, nella provincia attuale di
Ribatejo, quasi alla confluenza
del Tago con il suo grande
affluente di destra, lo Zezere.
Lì, nel 1160, il Maestro provinciale (o
Procuratore) del Tempio, Gualdim
Pais – un eroico veterano delle
guerre in Terrasanta, che era
giunto in Portogallo da tre o quattro anni –, dispose la
costruzione di un castello su una collina vicina, circondata
da un corso d’acqua che gli arabi chiamavano
Tomar. Ma l’epigrafe murata
all’ingresso del complesso di Tomar
parla solo del 1209: una data espressa secondo lo stile
iberico dell’epoca, con riferimento alla conquista romana
della penisola da parte di
Ottaviano Augusto (38 a.C.), e che corrisponde al 1171.
L’elenco delle fondazioni templari in Portogallo, volute da
Pais con l’appoggio del re (del
quale si è detto che fosse a sua volta in qualche modo legato
all’Ordine), comprende, oltre a Tomar,
i castelli di Pombal,
Ozezar e
Almourol – e forse anche
Idanha-a-Velha e Montsanto,
che però sono attestati da un’epigrafe sospetta di essere
stata interpolata e potrebbero in realtà essere fondazioni
cinquecentesche alle quali si sarebbe
cercato di attribuire falsamente più antica origine. Il
contenzioso con il vescovo di Lisbona fu risolto mediante la
fondazione, nell’area di Ceras-Tomar
passata in termini feudali dal re all’amministrazione del
Tempio, di una
diocesis
nullius, vescovo della
quale era, formalmente, il sommo pontefice che l’amministrava
attraverso vicari appunto residenti a
Tomar.
Secondo una tradizione che sembra essere stata condivisa dai
Templari, ma che non era comunque
loro esclusiva, la fortezza fu costruita seguendo un impianto
simbolico ispirato alla “rotonda” della basilica della
Resurrezione di Gerusalemme, conosciuta in Europa come la
chiesa del Santo Sepolcro. In realtà, è probabile che la fonte
ispiratrice degli architetti dell’Ordine, o
comunque di quelli che lavoravano
sotto la loro committenza, fosse – più specificamente – quello
che per i cristiani occidentali del tempo era detto il
Templum
Domini, vale a dire il Qubbat
al-Sakhrah, la “Cupola della
Roccia”, lo splendido santuario fatto edificare alla fine del
VII secolo dai califfi umayyadi di
Damasco sul Haram
esh-Sherif, il “Nobile Recinto”,
vale a dire la spianata che era stata sede del Tempio di
Gerusalemme, originariamente fatto costruire nell’XI-X secolo
a.C. da Salomone e poi ripetutamente abbattuto e ricostruito,
fino alla definitiva distruzione da parte dell’imperatore
Adriano nel 135 d.C.
L’edificio è ormai noto con l’impropria denominazione di
“moschea di Umar”, dal nome del
califfo che nel 638 aveva conquistato la Città Santa
all’Islam, aveva sgombrato da macerie e da rifiuti la spianata
del Tempio, che i cristiani avevano sempre trattato con
disprezzo, e sul luogo che presumibilmente coincideva con la
roccia del “monte Moryah” – sulla
quale Abramo aveva preparato l’altare per il sacrificio del
figlio Isacco – aveva fatto costruire un piccolo oratorio in
legno di cedro, poi sostituito dal sontuoso edificio
umayyade celebre per la sua forma
ottogonale ispirata probabilmente
a modelli bizantini, nonché alla cappella eretta sul vicino
monte degli Olivi e luogo di partenza, secondo i cristiani, di
Gesù per la sua Ascensione al cielo. In concorrenza con il
Luogo Santo cristiano, la tradizione musulmana celebrava
difatti l’ascesa del Profeta al cielo, narrata nel
Kitab
al-Miraj,
il “Libro della Scala”. Nel Medioevo occidentale la memoria
del Tempio di Gerusalemme si era curiosamente sdoppiata.
Era difatti noto che il Tempio di Salomone, quello nel quale –
ricostruito e ampliato da Erode III il Grande – Gesù stesso
aveva predicato, era stato poi
distrutto; ma sul luogo nel quale esso era sorto i musulmani
avevano eretto due edifici sacri, la Cupola della Roccia,
appunto, a nord, e la moschea di al-Aqsa,
a pianta basilicale di tipo cristiano-bizantino, a sud. I
cristiani denominavano
Templum
Domini la prima e
Templum
Salomonis la seconda.
Quando nel 1099 i guerrieri-pellegrini di quella strampalata
spedizione che ormai si è convenuto
di definire “prima crociata” occuparono Gerusalemme, la Cupola
della Roccia fu trasformata in chiesa
cristianolatina dedicata alla Vergine e affidata a
canonici agostiniani (al pari di quelli che officiavano nella
chiesa del Santo Sepolcro), mentre la moschea di
al-Aqsa venne adibita a usi
militari e l’anno successivo il primo re di Gerusalemme,
Baldovino di Boulogne, l’adattò a
propria residenza.
Ma a quanto pare nel 1118 egli, o
il suo successore Baldovino II, si ritirò a ovest della città,
presso la Porta di Giaffa, dov’era
la fortezza detta Torre di David, e lasciò alla
fraternitas templare la moschea di
al-Aqsa con le sue dipendenze – i
famosi sotterranei sottostanti, detti “le stalle di Salomone”.
Da allora, l’edificio divenne il “monastero-fortezza” centro
dell’Ordine denominato appunto
Militia
pauperum
militum Christi.
Peraltro, nei sigilli templari, l’edificio schematicamente
raffigurato è un sacello a pianta centrale che ricorda non la
moschea di
al-Aqsa, bensì la Cupola della Roccia e che rinvia
altresì, data la sua forma, alla “rotonda” dell’Anastasis,
cioè della chiesa della Resurrezione. Si andò da allora
creando un certo malinteso, poiché i Templari non erano
insediati in alcuno di questi due edifici sacri né avevano su
di essi giurisdizione: ma di essi,
in un certo senso, i
pauperes
milites si
appropriarono simbolicamente, e – per quanto le polemiche
sull’effettiva esistenza di un’“architettura templare” siano
ben lungi dall’essersi placate tra gli specialisti – sembra
che talvolta ne riproducessero schematicamente le forme nelle
loro chiese disseminatin Europa,
dove peraltro l’uso di costruire chiese
ad instar
Sancti
Sepulcri era già vivo e attestato da secoli.
Quando nel 1312 fu assunta nel concilio di
Vienne la decisione di sciogliere
l’Ordine Templare, il re Dionigi del Portogallo obbedì solo
formalmente: raccolse difatti i membri portoghesi del
disciolto Ordine e con essi –
ottenuto nel 1319 il tardivo avallo di papa Giovanni XXII con
la bolla Ad
ea ex quibus
del 14 marzo – ne fondò uno nuovo, detto
Militia
Christi, l’Ordine del
Cristo, che per volere del papa assunse la Regola benedettina
e il cui primo Maestro fu Gil
Martins, che era anche Maestro
dell’Ordine di Avis; mentre a
Vasco Fernandes, il più alto
dignitario del Tempio residente in Portogallo quando fra 1307
e il 1312 si era svolto il processo all’Ordine, venne affidata
la commanderia di
Montalvão: difficile immaginare un
segno più alto della continuità tra i due Ordini e di fiducia
nell’assoluta innocenza del Tempio rispetto alle infamanti
accuse delle quali esso era stato fatto bersaglio per volontà
del re di Francia.
L’Ordine del Cristo fece propria la regola di quello di
Calatrava e fu posto sotto la
tutela dell’abbazia cistercense d’Alcobaça;
la sua sede centrale fu in un primo
momento fissata a Castro Marim,
un insediamento templare posto presso la foce della
Guadiana, ma nel 1357 fu
trasferita a Tomar. I capitoli del
nuovo Ordine, celebrati nel 1321 e nel 1326, consentono di
farsi un’idea della sua importanza: quarantun
commanderie, beni diffusi in dieci
diverse città e possesso di quarantatré
centri demici di varia entità,
tutti produttivi. Il nuovo Ordine ereditò tutte le vecchie
proprietà dei Templari in Portogallo e mantenne come suo
simbolo la croce vermiglia templare con una piccola
modifica (il suo disegno a “croce
patente” fu leggermente modificato e all’interno dei suoi
bracci fu inserita una croce greca d’argento). L’emblema
dell’Ordine del Cristo, che si distinse per il suo appoggio
alle spedizioni marittime nell’Oceano, era orgogliosamente
dipinto sulle vele delle navi portoghesi che nel Quattrocento
partirono alla volta dell’India e del Nuovo Mondo. Nel corso
del XV secolo si stabilì che il
Gran Maestro dell’Ordine del Cristo fosse un chierico nominato
dal papa e affiancato da un Maestro o Governatore dell’Ordine
nominato dal re. Il primo Maestro-Governatore fu, appunto,
Enrico il Navigatore (1394-1460) che collegò strettamente le
fortune dell’Ordine al mare e alle scoperte. L’Ordine fu
abolito definitivamente nel 1834.
Abbastanza poco resta dell’edificio originario di
Tomar, quello commissionato dal
Maestro templare Pais: il
monastero-fortezza venne difatti considerevolmente ingrandito
e abbellito durante i regni di Manuele I
(1495-1521) e Giovanni III (1521- 1557), ed è oggi noto come
esempio illustre di quello stile artistico di segno gotico
“fiorito”, tanto elaborato da confinare col barocco, che viene
appunto definito “manuelino”.
Oggi il complesso di edifici, che
si configura come uno splendido sistema di chiostri attorno
alla chiesa-cappella, è ben separato dalla città, che presenta
a sua volta interessanti edifici degni di visita, tra cui il
castello costruito nel 1160 per il Maestro
Gualdim Pais,
l’alcazaba,
distinta dal monastero-santuario-fortezza
vero e proprio; l’edificio militare sostenne validamente, nel
1190, un assalto almohade guidato
dal califfo Abu
Yusuf Ya’qub
al-Mansur. Poco sappiamo purtroppo
del primitivo aspetto del monumento, alterato da successivi
restauri. La sistemazione generale del sito, articolato
secondo un sistema di cinte successive che seguivano le curve
altimetriche del terreno, ricorda analoghe esperienze
architettoniche dell’area
siro-palestinese, ma certo la concezione è
in questo caso grandiosa: l’immensa
area lasciata libera da monumenti, nella parte meridionale
dell’originario impianto castellano (che escludeva tutto il
complesso dei chiostri, edificati a est della cappella rotonda
la quale originariamente faceva parte della cortina difensiva
orientale) fa pensare che la cinta muraria dovesse venire
utilizzata per ospitare una gran massa di eventuali profughi
dall’intera regione in caso di attacchi da parte dei mori.
Dal punto di vista propriamente simbolico è evidente che la
concezione originaria della cappella, cioè
la “rotonda” che oggi viene chiamata la
Charola,
e che è stata tramandata sostanzialmente intatta nei suoi
elementi di fondo, si basava su una struttura prismatica cava
a base ottogonale (ispirata quindi
semmai, parrebbe, alla “Cupola della Roccia”), delimitata da
otto pilastri quadrangolari con semicolonne addossate che
sostenevano una cupola e che erano a loro volta circondati da
un deambulatorio di sedici lati, quindi da un doppio ottagono.
È piuttosto arduo pensare che tale complessa struttura sia
davvero quella originale: forse si
tratta di un corpo primitivo, corrispondente al prisma
ottogonale, che in un successivo
momento sarebbe stato rialzato e complicato dall’aggiunta
dell’ambulacro che ne raddoppia i lati. All’esterno, il
complesso ha oggi l’aspetto di un’alta
torre rotonda – la struttura poligonale dell’interno non vi si
riflette se non impercettibilmente – rafforzata da
possenti contrafforti.
Re Manuele – o i frati-cavalieri del Cristo durante il suo
regno – dispose che la cappella rotonda divenisse il coro di
una chiesa la cui navata fu ad essa
aggiunta. Sembra evidente che tale idea s’ispirasse
in qualche modo alla basilica della Resurrezione, cioè al
Santo Sepolcro di Gerusalemme, un santuario che in età
costantiniana era costituito dal
complesso di una rotonda e di una struttura basilicale
separate da un cortile-giardino, ma che nel XII secolo, dopo
ripetute distruzioni e riedificazioni, gli architetti del
regno crociato di Gerusalemme avevano fuso in un solo edificio
di stile romanico-gotico. Sembra
quindi che, durante il XVI secolo,
l’originaria ispirazione templare che riferiva il sacro
edificio al
Templum
Domini, alla “Cupola della Roccia”, fosse ormai
dimenticata e divenuta incomprensibile; mentre la struttura
del Santo Sepolcro era ben nota dal momento che la Città Santa
era continuamente visitata da pellegrini che la descrivevano
nei loro resoconti. Inoltre lo stesso piccolo splendido
edificio della Vera Cruz di
Segovia, edificato a quanto pare dai
fratres
dell’Ordine Ospitaliero
di San Giovanni di Gerusalemme
(divenuto poi di Rodi, quindi di Malta), aveva la stessa forma
circolare fornita di un corpo rettangolare.
È difficile dire se, con tale planimetria, si
volesse alludere poi alla chiesa
del Santo Sepolcro nel suo complesso o alla semplice edicola
del Santo Sepolcro custodita al centro della “rotonda” che ne
fa parte, dal momento che anche nel piccolo complesso si
ripete il rapporto fra un corpo circolare (l’esterno della
camera sepolcrale vera e propria) e uno quadrangolare
aggettante, orientato verso est (il cosiddetto “Vestibolo
dell’Angelo” che ospita la reliquia del frammento della grande
pietra circolare che serviva da copertura dell’ingresso del
sepolcro).
È stato notato che, in realtà, nell’architettura templare (e
forse non solo) si adottava uno schema costruttivo che fondeva
coerentemente i due elementi che nella basilica gerosolimitana
della Resurrezione erano e sono compresenti ma ben distinti e
concentrici, vale a dire l’edicola del Sepolcro e la “rotonda”
dell’Anastasis,
fondamentalmente ispirata al Pantheon di Roma, fin
dal IV secolo edificata per
contenerla e proteggerla.
Al tempo di Manuele comunque la
“rotonda” fu non tanto
architettonicamente rimaneggiata, quanto riccamente
adornata di stucchi dorati e di soffitti in legno intagliato
(opere originali in gran parte perdute in un incendio
appiccato dai francesi nel 1810); inoltre oggi l’edificio
presenta anche una serie di pitture su tavola di artisti
cinquecenteschi portoghesi. La chiesa a
una sola nave rettangolare fu costruita nel 1510 da
Diogo de
Arruda, fratello del più celebre Francisco,
l’architetto della Torre di Belém
a Lisbona. Il portale laterale della chiesa, posto in modo da
far pensare ch’esso voglia a sua
volta in qualche maniera ricordare quello della chiesa
gerosolimitana, fu concepito da un artista spagnolo,
Juan Castillo
(João de
Castilho per i portoghesi), che la disegnò nel 1515 in
stile rinascimentale. L’interno, superbamente decorato “alla
manuelina”,
veniva utilizzato nella parte superiore come coro,
mentre quella bassa serviva da sala capitolare.
Il complesso monastico di Tomar
unisce alla chiesa uno spettacolare insieme di ben otto
chiostri concepiti secondo stili differenti. Un passaggio
unisce la chiesa al chiostro di Santa Barbara, anch’esso
edificato secondo un progetto di Castillo:
era stato concepito su due piani, ma quello superiore fu
abbattuto per far risaltare quello che oggi si considera uno
dei capolavori dell’insieme, la finestra del capitolo (Janela
do Capítulo) in stile
manuelino scolpita in pietra
calcarea grigia tra il 1510 e il 1513 e anch’essa opera di
Diogo de
Arruda. Si tratta di un’arditissima
opera di scultura alta quattro metri, decorata da simboli di
piante e di elementi marini che
sembrano rinviare ai viaggi e alle scoperte, nonché dalle armi
araldiche dei re portoghesi – la sfera armillare, i castelli
strappati ai mori, le cinque piaghe di Cristo – e culminante
nella croce dell’Ordine del Cristo. Dal lato destro della
chiesa si accede invece al Gran
chiostro, o
Claustro
dos Filipes, in tal
modo denominato in quanto fu sede dell’incoronazione di
Filippo II di Spagna come re del Portogallo, dopo la morte nel
1578 in Marocco di re Sebastiano. La devoluzione della corona
portoghese al sovrano spagnolo era stata appunto dichiarata
nelle
cortes di
Tomar il 15 aprile del 1581. Il
progetto del chiostro, a due piani e decorato “alla
manuelina”,
era dovuto a Diego de Torralva,
che lo concepì nel 1557, ma fu completato nel 1591
dall’architetto militare Filippo Terzi al servizio del sovrano
(da qui la strana denominazione “dei
Filippi”: il
rey
prudente e l’architetto).
Ancora degno di nota il
Claustro
do Cemitério, costruito
al tempo dell’Infante Enrico il Navigatore in stile gotico
tardivo, secondo un progetto di Fernão
Gonçalves, adorno di colonne
accoppiate, begli azulejos in
stile mudéjar e sepolcri
d’illustri personaggi del XVI
secolo, tra cui Diogo de
Gama, il fratello del navigatore
Vasco, sepolto in una tomba in stile
manuelino databile verso il 1523. Da lì si
accede al
Claustro
de Lavagem, a due
piani, edificato intorno al 1433, e infine alla
Capela
de Portocarreiros,
seicentesca, anch’essa adorna di azulejos.
Adiacenti, ancora, il
Claustro de Hospedaria, dal
quale si ha una splendida vista della finestra di
Diogo de
Arruda, e il
Claustro
de Micha, costruito nel
1543 e adibito alla distribuzione del cibo ai poveri.
Segue un piano prestabilito, ha un
senso nascosto, questo dedalo di sale opulente e deserte, di
chiostri schiacciati dagli ornamenti architettonici e dal
silenzio? Sopravvissuto a calamità naturali, guerre e
rivoluzioni, più volte rimaneggiato, oggetto di fantasie e di
speculazioni esoteriche, tempio delle fantasie e delle
illusioni sebastianiste,
quintomonarchiste e
pessoaiane,
Tomar continua a fluttuare –
al pari della cattedrale di Chartres,
della rocca di Montségur, di
Castel del Monte, del “Bosco
Sacro” di Bomarzo, dell’Alhambra
di Granada – sul mare incantato e
agitato della coscienza europea; a riempire di segni ermetici
l’oscura e vuota caverna dalla quale sciamano i sogni di
un’identità che non è mai esistita, di un segreto tesoro
filosofico che nessuno rintraccerà mai perché non esiste,
dell’Isola-mai-trovata perché è l’Isola-che-non-c’è.
Shangri-Là di legioni
di occultisti e di esploratori
dell’Impossibile, Xanadu dei
fedeli dell’Irreale. Come diceva il
vecchio Arturo Graf,
incoercibile è la forza delle cose che non sono.