Nella scena finale del dramma del
Golgotha compaiono due figure: Giuseppe d’Arimatea e
Nicodemo.
Giuseppe viene presentato con il
titolo di derivazione: Arimatea. Non si riesce a
localizzare con certezza dove fosse ubicato questo
centro israelitico. Un solo dato sicuro:che era della
Giudea.
Il Vangelo di Marco definisce
Giuseppe “nobile decurione” che è termine romano; per
dire che era membro del gran sinedrio, della categoria
degli “anziani del popolo”, la seconda dopo i sacerdoti.
Lo storico ebreo al soldo
dell’imperatore Tito, definisce questi anziani come
notabili, magistrati, anzi senatori del popolo ebreo. I
rabbini del Talmud concordano con Giuseppe Flavio,
chiamandoli “capi del popolo” ,maggiorenti della città,
seniori; al secondo posto dopo i sacerdoti e prima degli
scribi.
Giuseppe d’Arimatea, era di questa
categoria di uomini, rispettabili per censo, o
benemeriti della nazione giudaica per opere pubbliche o
per beneficenza singolare.
Naturale che, come membro del
Sinedrio si fosse interessato da tempo al “caso Gesù”,
appena il Maestro di Nazareth si fece notare per i suoi
interventi dottrinali e per gesta che avevano finito di
inquietare i caporioni di Gerusalemme e della nazione.
Giovanni lo dice: ”discepolo di
Gesù” , quindi entrato nella sua orbita, chiaramente
dopo una delle visite annuali del divino Maestro nella
capitale, in occasione delle feste. Ma, si aggiunge, che
si teneva occulto per paura dei giudei; ma non è
difficile immaginare che sia stato Gesù stesso a
consigliargli di tenersi a distanza.
Luca, sempre più comprensivo, lo
qualifica per “ uomo buono e giusto”.
Marco completa il ritratto,
aggiungendo che Giuseppe d’Arimatea, come molti giusti
israelitici del tempo, ”aspettava che si manifestasse il
Regno di Dio”.
Don LUCIO LUZZI
Direttore “Vie dello Spirito” |